Pekka Abrahamsson: "Per l'Alto Adige meno micro-progetti e burocrazia e più inglese"
Pekka Abrahamsson è tornato in città. L’ex preside finlandese della facoltà di informatica di Unibz, ora docente dell’Università di Scienze e Tecnologie dell’università di Trondheim, in Norvegia, è tornato a Bolzano per qualche giorno, in occasione di un convegno. Di fronte a un vin brulè con vista su Piazza Walther, ha accettato di ragionare su innovazione, ricerca e università, a nove mesi dall’addio all’Alto Adige. Difficile notare cambiamenti in così poco tempo, ma anche un osservatore esterno si accorge di come Abrahamsson sia molto più tranquillo. I motivi non ci riguardano, ma il suo punto di vista appare assolutamente neutro, non ha sassolini da togliersi dalle scarpe e, abitando a più di duemila chilometri dall’Alto Adige, può pemettersi di analizzare le questioni con sufficiente distacco sommato all’abituale lucidità. Non a caso, si presenta all’intervista con idee chiare e punti precisi da cui partire, parlando un italiano che sembra addirittura migliorato.
Abrahamsson, la Norvegia è così lontana dall’Alto Adige/Südtirol?
“Non direi, il mondo si è fatto più piccolo, anche là ci sono le montagne, anche in Norvegia si scia, entrambe sono zone ricche che vorrebbero preservarsi come isole felici”.
Differenze tra Unibz e l’Ntnu di Trondheim?
“Intanto i numeri, la facoltà di informatica di Bolzano ha 230 studenti, il dipartimento di Trondheim 3000, ci sono vantaggi e svantaggi, cose che funzionano meglio e altre che funzionano peggio, come sempre e ovunque”.
Anche alla luce di questa esperienza, cosa consiglierebbe a chi si occupa di innovazione a Bolzano e dintorni?
“Credo che in Alto Adige vadano risolti tre problemi. Il primo riguarda l’interazione tra economia e ricerca. Il tempo che si impiega a lavorare per un progetto da 50.000 euro è uguale a quello che si impiega per un progetto da dieci milioni, quindi sarebbe meglio concentrare le risorse sui progetti più importanti e non disperdere risorse in mille rivoli. Lavorare a un microprogetto da cinquemila euro è inutile. Sempre restando ai progetti, andrebbero festeggiati i risultati e non l’ottenimento del finanziamento”.
Due?
“Occorre una visione più ampia. Il contesto è globalizzato e occorre migliorare le connessioni con il resto del mondo. Il Sudtirolo non ha visibilità in Europa, occorre migliorarla. Intanto si comprenda che la lingua del business e della ricerca è una sola, l’inglese, il trilinguismo è figlio di esigenze locali. Poi andrebbero sfruttate meglio alcune possibilità, attraverso piattaforme già esistenti. Penso, per esempio a Itea e che mette in collegamento grandi aziende e centri di ricerca, ma anche a contatti personali, io per esempio, lavoro in Scandinavia ma sono un potenziale ambasciatore del Sudtirolo in Scandinavia e soprattutto in Norvegia. Basti pensare alle potenzialità delle aziende sudtirolesi che si occupano di sport invernali o di alpinismo…”
Il tessuto economico locale non l’ha sfruttata quando era qui, difficile che lo faccia ora che vive così lontano, ma grazie della proposta a nome di tutti. Terzo aspetto?
“Il terzo aspetto tocca questioni che sono non solo sudtirolesi, ma più in generale italiane. Troppa attenzione alla teoria e troppo tempo perso con la burocrazia. Occorre ridurre i tempi di lavoro dei progetti e soprattutto per gli acquisti. Non è possibile che per ogni acquisto occorra ricevere tre proposte prima di poter decidere. Non posso aspettare sei mesi per poter acquistare un telefono. In Norvegia, ma non solo, si fa un bando per gli acquisti tecnologici che dura due anni. Chi si aggiudica l’appalto fornisce tutto il materiale per quel periodo e tutto diventa più semplice. Ancora, se si acquistano oggetti costosi li si usano al massimo delle loro potenzialità, non con parsimonia perché altrimenti si guastano”.
Cosa le manca di Bolzano?
“Ho comprato la macchina per l’espresso e una per fare la pasta. Ma al di là dei piaceri del palato, posso dire che gli studenti che ho avuto a Bolzano erano davvero capaci e preparati. A Trondheim ho mostrato pubblicamente i progetti che hanno realizzato negli anni in cui ero in Alto Adige (per esempio questo). Sono ragazzi pronti a fare grandi cose, l’università ha fatto un primo passo, ne deve fare altri, ma è l’intera società sudtirolese che deva capire che l’innovazione può arrivare da ogni parte e occorre essere pronti a comprendere e a investire”.
di Massimiliano Boschi