La solitudine in Alto Adige: gli anziani. Intervista a Francesca Francia

Secondo statistiche ufficiali, in Alto Adige una famiglia su tre è costituita da una sola persona e più di 90.000 persone vivono da sole, circa 45.000 uomini e oltre 47.000 donne.  Come mostra il grafico dell’Astat, per la maggior parte sono persone con più di sessant’anni e il loro numero cresce anno dopo anno.

Allargando lo sguardo, la situazione non sembra migliorare: l’età media della popolazione continua ad aumentare, l’Italia è già il paese più vecchio di Europa. Senza cambiamenti al momento non prevedibili, sempre più persone si ritroveranno, quindi, ad affrontare in solitudine la loro vita. Per questo, Alto Adige Innovazione ha deciso di dedicare una serie di articoli al tema, cercando di capire, innanzitutto, chi sono queste persone e come affrontano la quotidianità. La prima puntata è a cura di Walter Donegà.
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La solitudine è una condizione e un sentimento molto particolare. Da molti è cercata come momento di riflessione e indipendenza, nell’adulto autosufficiente la solitudine può, quindi, non rappresentare un grosso problema. Grazie anche ai social, alla tecnologia dei vari media abbiamo la possibilità di non essere mai realmente soli. Il contatto attivo o passivo con il mondo è oggi sicuramente più facile che in passato, ma come vive, oggi, un anziano solo?  La prima tappa del nostro viaggio alla scoperta della solitudine, la facciamo insieme a Francesca Francia, che fa parte dell’Associazione tempo libero anziani di Bolzano.

La solitudine ovvero la mancanza di interazioni sociali significative raggiunge numeri notevoli anche in Alto Adige e di certo il periodo pandemico non ha aiutato. Lavorando sul territorio avete riscontrato la problematica? Vi sembra aumentata negli ultimi quattro anni?
Si, la problematica si è accentuata con l’arrivo della pandemia e ha isolato molti anziani che hanno fatto fatica, anche ad emergenza terminata, a rientrare in società con fiducia. La pandemia ha imposto un isolamento sociale pesante basato su un confinamento e una immobilizzazione prolungata. Ha reso impossibile il ricorso a cure mediche e ospedaliere o ne ha ritardato l’accesso. Ha probabilmente accelerato per molti il momento della dipendenza da altri per la gestione delle consuete attività quotidiane. Basta poco per fare entrare anche le persone anziane meno fragili in situazione di grave scompenso. Ad esempio una cattiva alimentazione, una scarsa idratazione, una affrettata igiene, lutti, un abuso anche leggero di alcool e sigarette, lo scarso movimento creano contesti di ridotta salute in cui, se non si interviene tempestivamente, eventuali conseguenze sono difficilmente recuperabili. Uno per tutti: il movimento fisico è essenziale perché una ridotta attività indebolisce ulteriormente la muscolatura e la capacità aerobica già debilitate. Può inoltre aumentare il rischio di osteoporosi, e malattie cardiovascolari e altro. L’immobilità genera immobilità. Solo negli ultimi mesi vediamo finalmente tornare i più restii, che però sono visibilmente affaticati dall’isolamento nel quale si sono rinchiusi e dalla mancanza di attività motoria.

Come definiresti la solitudine nell’anziano? 
La definirei una condizione che ha come conseguenza l’inevitabile degenerazione emotiva che porta spesso alla depressione. La depressione è un male nascosto, non subito riconoscibile, che purtroppo porta all’apatia, nell’anziano l’apatia porta all’invecchiamento fisico e alla conseguente degenerazione.

I Baby boomer, ovvero i nati nell’esplosione demografica tra il ’46  e il ’64’, si stanno ormai avvicinando nella fascia della cosiddetta terza età. Voi come associazione riscontrate un effettivo aumento alle vostre attività rispetto al passato?
È un po’ difficile rispondere a questa domanda, le conseguenze della pandemia nel nostro settore “anziani” e “aggregazione” come puoi immaginare ha subito un fortissimo calo e la ripresa alla vita normale è stata molto più lenta che in altri settori. La paura  di stare in gruppo si è profondamente radicata soprattutto negli anziani, i tempi per la ripresa di fiducia e coraggio nel ritornare alla propria vita sociale sono stati un percorso molto lungo. Solo da quest’anno possiamo dire che le attività non solo sono ripartite a pieno ritmo. ma addirittura incrementate rispetto al passato, difficile dire se per il maggior numero di persone in questa fascia d’età o se per una reazione ai forzati anni di reclusione.

Quanto è difficile per una persona accettare il fatto di essere anziano? Questa mancanza di accettazione costituisce essa stessa un ostacolo alla partecipazione di attività che possono fronteggiare la solitudine?
Non riscontro in realtà una difficoltà nei nostri soci ad essere anziani di per se, è la solitudine il vero problema dell’invecchiamento. Uno dei fattori di rischio dell’isolamento è anche il pensionamento. Il pensionamento infatti è un momento delicato della vita, durante il quale si perde un ruolo sociale lavorativo. Questo può essere un passaggio problematico e, non di rado, può determinare l’insorgenza di una qualche forma di disturbo depressivo. Inoltre, con l’invecchiamento, la rete sociale e amicale si riduce. Con l’avanzare dell’età, infatti, i lutti tra amici a familiari diventano più frequenti. L’avanzare dell’età può quindi coincidere con un aumento della solitudine, generando così anche una maggiore fragilità delle persone anziane verso i disturbi dell’umore. Chi per motivi d’abitudine sociale non ha coltivato interessi, amicizie e magari si è dedicato tutta la vita al lavoro e alla famiglia, spesso si ritrova solo. I figli vivono in altre città, la persona anziana diventa psicologicamente più debole e può camminare verso uno stato depressivo se non riesce ad integrarsi nel tessuto sociale tramite le associazioni presenti sul territorio. Quello che spesso lamentano i soci è il fatto di sentirsi trattati da “anziani” dalla società, spesso sono valutati più per il loro anno di nascita che per il loro valore. Sono molto sensibili su questo punto e percepiscono chiaramente quando un medico, il farmacista, la cassiera, la commessa li tratta come se non capissero o avessero meno valore in quanto anziani.

Cosa lamenta maggiormente la persona anziana soprattutto nei confronti dei servizi sociali e/ dei propri familiari? 
Rispetto ai servizi sociali lamentano la mancanza di rapporti umani, si ritrovano a dover prenotare visite mediche, rinnovi carta d’identità, appuntamento per lo SPID e tantissime altre solo tramite computer. L’espletamento di tutte le pratiche burocratiche e amministrative in relazione, ad esempio, all’assunzione di un collaboratore domestico, sono complicate dalla difficoltà di accedere al servizio. Non tutti sono capaci di districarsi tra domanda, spesso online, o appuntamenti da prendere sempre su piattaforme online, e non tutti hanno i figli che possano aiutarli. È vero che esistono delle strutture di supporto quali Patronati, ACLI, etc, ma spesso per l’anziano è faticoso prepararsi all’appuntamento e spesso vengono congedati con l’indicazione che devono ripresentarsi integrando la documentazione raccolta. Si scontrano con una macchina burocratica che non li agevola e che anzi vivono come respingente. Rispetto ai familiari l’unica eventuale lamentela è quella che vorrebbero essere chiamati di più, che i figli dedicassero più tempo a loro. Soprattutto quando un genitore resta da solo. Noto sempre una forte dignità nella persona anziana, che non deve essere mai sminuita e spesso non chiede per non essere un peso.

L’anziano di oggi è diverso dagli anziani della fine del secolo scorso?
La nuova generazione di anziani, i “boomer” sono diversi dagli anziani di “old generation” mi sembrano più attivi, si approcciano alla terza età avendo coltivato nella loro vita già diversi interessi e hobbies. Non vedono l’ora di arrivare in pensione per godersi appieno il nuovo tempo libero. La “old generation”, invece, aveva solo lavorato duramente tutta la vita e rispetto alla pensione erano un po’ disorientata. La conseguenza  naturale era riversarsi nelle varie associazioni per fare volontariato e occupare il tempo libero (spesso erano le mogli a raccomandare che li tenessimo occupati per non averli in casa). La nuova generazione di anziani è più concentrata sulla propria vita, magari milita già in associazioni sportive alle quali è rimasta legata grazie all’attività sportiva dei figli o per interesse personale. Confido che questa nuova old generation, più in confidenza con i sistemi informatici e più attiva nella vita sociale e sportiva della propria città, sia una generazione di anziani ancora più attiva e consapevole della necessità di fare azione preventiva per contrastare l’invecchiamento.

Immagine di apertura: foto Venti3

 

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