Dai "piatti forti" alle latrine. Al Museo di Ötzi la mostra su 15mila anni di alimentazione

Bolzano. Ha perso di fragranza ma è comprensibile considerata l’”età”: parliamo di un pezzo di pane che definire vecchio è riduttivo perché è datato tra il ventesimo e il quindicesimo secolo avanti Cristo. Questo pane “antico” è visibile – e non assaggiabile, tranquilli- insieme a molti altri reperti nella mostra “Past food, 15.000 anni di alimentazione” al Museo Archeologico dell’Alto Adige (fino al 3 novembre 2024). L’esposizione invita a un viaggio culinario nel passato, curiosando nel menu dei nostri antenati fin dalla Preistoria per scoprire come preparavano e consumavano il cibo. La narrazione, che copre un vasto arco temporale, si snoda attraverso reperti archeologici regionali dall’Età della pietra al periodo romano (9.000 a.C. – 400 d.C.) ed è integrata da elementi interattivi e agili illustrazioni storiche.

Per ritrovare i cibi e sapori svaniti nei millenni iniziamo da qualcosa che -volenti o nolenti- ad essi è strettamente collegato, ovvero le feci. Grazie alle analisi genetiche gli escrementi sono infatti una fonte importante per l’archeologia perché danno tantissime informazioni sulle abitudini alimentari dei nostri antenati. Da profani, la domanda sorge spontanea: come hanno fatto a conservarsi? “Ce ne sono tantissime nelle miniere di sale di Hallstatt in Austria dove i miniatori hanno scaricato le feci, che proprio grazie al sale si sono preservate. Ma ci sono esempi anche nelle latrine romane… lo stesso vale nelle palafitte grazie alla conservazione climatica. È da lì che provengono le analisi e quindi i risultati che abbiamo in parte presentato nella nostra mostra” spiega Andreas Putzer, archeologo e co-curatore di “Past food” insieme a Vera Bedin, Margit Tumler e Günther Kaufmann, e continua: “Abbiamo deciso però di basarci sulle informazioni principali e non approfondire troppo i metodi perché il tema è vastissimo. Anche per motivi di spazio, sfioriamo tematiche cercando di attivare l’attenzione del pubblico”.

L’inizio del percorso di mostra “Past food” che riporta diversi proverbi legati al cibo. Foto © Museo Archeologico dell’Alto Adige / Lafolger

Senza perdersi in eccessivi specialismi, l’esposizione mette in luce alcuni momenti e fenomeni cardine, che hanno segnato un punto di svolta nelle abitudini alimentari dei nostri antenati: si apprende, ad esempio, che fino a 2.5 milioni di anni fa eravamo vegetariani e che con l’introduzione della carne nell’alimentazione sono state apportate proteine, che hanno poi permesso al cervello umano di evolversi. “Ma il fuoco è stato più importante: è la cottura che ha reso possibile o comunque più facile assumere proteine che servono per crescita del cervello. Il primo a consumare carne è stato l’Australopithecus africanus 2.5 milioni anni fa, ma avveniva casualmente, con i cadaveri di animali trovati, mentre con l’Homo erectus si è iniziato a cacciare ed addomesticare il fuoco”. La crescita del volume del cervello umano è notevole: si passa dai 700 centimetri cubi dell’Australopithecus ai 1350 dell’uomo attuale.

L’influenza del cibo non si limita alle sostanze ingerite, ma ha effetti anche sullo sviluppo del cervello dell’Homo sapiens, come spiega Putzer. “Un aspetto importante riguarda ad esempio le mani, che vengono utilizzate per gli attrezzi e non più per camminare – il cervello è quindi costretto a svilupparsi di conseguenza per farle funzionare”. In mostra si scopre poi quanto molti cereali e antenati di animali domestici siano arrivati a noi grazie all’immigrazione. “Tutta l’agricoltura viene dal Medio Oriente, è un sistema economico che nasce lì e viene portato in Europa, altrimenti saremmo ancora qua a fare i cacciatori” sottolinea il curatore. Si apprende, ad esempio, che i primi maiali domestici sono asiatici e solo in seguito discenderebbero dal cinghiale. Curiosità: il più antico reperto di ossa suine in Alto Adige proviene da Bressanone-Stufles e risale alla prima metà del V millennio avanti Cristo. Anche l’Auerochse (bos taurus asiaticus) che è un antenato delle vacche europee, è arrivato a noi dall’Oriente. Insomma, l’immigrazione ha portato diversi vantaggi. “Ora tendiamo a vederla in maniera negativa, ma in passato è stata un punto essenziale di sviluppo di nuove tecnologie. Lo stesso vale per l’Homo sapiens, per il cui sviluppo è stata importante la mescolanza tra diversi poli genetici –lì dove non c’è scambio genetico, come ad esempio nelle valli, emergono malattie. Insomma, se ci si chiude nascono solo problemi – il discorso vale anche per l’agricoltura, basti pensare ai problemi che porta la monocultura” spiega Putzer.

Foto © Museo Archeologico dell’Alto Adige / Lafolger

A proposito di valli, guardando all’Alto Adige, quello che emerge sull’alimentazione del passato è che l’economia e l’agricoltura del neolitico sono sostanzialmente allineate su quelle del centro Europa “l’orientamento dell’agricoltura è dovuto al clima: i cereali coltivati nel nostro territorio sono quelli coltivati in Svizzera e nel Nord Italia o nella Baviera” continua Andreas Putzer. Diversi sono, in mostra, i materiali che hanno a che fare con il consumo e la preparazione del pasto, come ad esempio un contenitore per il garum, una salsa a base di pesce fermentato che in epoca romana serviva come condimento. “Gusti e sapori che faremmo fatica ad apprezzare oggi perché ci risulterebbero troppo forti” dice Putzer. Lo stesso vale per il vino, la cui produzione locale sarebbe attestata dal V secolo avanti Cristo. La mostra termina con una stazione tutta dedicata alla latrina romana, con una divertente rassegna di graffiti e iscrizioni dell’epoca. Al contrario di oggi, la “ritirata” non era affatto un luogo di tranquilla solitudine: “Le latrine erano pubbliche e non c’era divisione tra quelle maschili e femminili e nemmeno tra classi sociali. Certo, i patrizi ne avevano una presso la propria abitazione, ma al bisogno non disdegnavano quella pubblica…il bagno era un punto incontro per parlare come oggi si fa al bar, ma non solo: nelle latrine si prendevano decisioni importanti che hanno segnato la storia” conclude il curatore.

Caterina Longo

Immagine in apertura: giovani visitatori nella mostra “Past food” © Museo Archeologico dell’Alto Adige / Lafolger

 

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