Anche i bovini mangiano fagioli? Come ridurre l'inquinamento da flatulenze. Intervista a Matthias Gauly (Unibz)
Bolzano. Le flatulenze inquinano, e non poco: non è una battuta, ma una certezza scientifica. Parliamo in particolare delle flatulenze emesse dalle mucche- in termine tecnico del gas prodotto dalla fermentazione enterica dei bovini. Come illustrato nel rapporto 2022 dell’Ispra, (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) la formazione di gas metano è particolarmente elevata nei ruminanti per la peculiarità del loro apparato digerente ed è invece di minore entità nelle altre tipologie di animali. Tra flatulenze e deiezioni una mucca può arrivare infatti a produrre fino a 500 kg di gas metano al giorno: non poco se consideriamo che sul territorio altoatesino vivono 121.726 bovini (fonte: Relazione agraria e forestale 2023 della Provincia di Bolzano). “In Alto Adige, l’agricoltura “pesa” sulle emissioni totali per circa il 18%, di cui l’85% dovuto all’allevamento, che quindi influisce molto, più della frutticultura e della viticoltura” ci ha detto il professor Matthias Gauly, docente di zootecnia speciale alla facoltà di Scienze agrarie, ambientali e alimentari all’Università di Bolzano. Da tempo Gauly studia i fattori che influenzano le emissioni di gas bovino e lavora a possibili soluzioni per il loro contenimento.
Professor Gauly, considerando che gli obiettivi del Piano Clima Alto Adige prevedono una riduzione del 40% delle emissioni provenienti dall’agricoltura entro il 2040, come si può intervenire, visto l’impatto dell’allevamento?
La cosa più semplice sarebbe eliminare i bovini, ma avrebbe molti effetti collaterali. Avremmo “ripulito” il nostro Alto Adige, scaricandolo ad una regione vicina – bisogna tenere conto delle abitudini di consumo, finché tutti noi consumiamo i prodotti derivati dall’allevamento non risolviamo il problema, ma lo spostiamo.
Come si può agire realisticamente?
Ci sono diversi approcci, una soluzione potrebbe essere che le aziende agricole compensino le emissioni piantando alberi e con il carbone vegetale, ma non è realistico: per compensare un allevamento di dieci mucche in 20 anni bisognerebbe piantare 5 ettari di alberi… Una via più realistica è invece quella di lavorare sulla salute e quindi sulla durata di vita di una mucca – più vive e meglio è.
Insomma, meglio avere mucche adulte e anziane?
Si, bisogna considerare che in media una mucca vive tre anni, con al suo attivo solo un anno di produzione perché per i primi due non è produttiva, ma emette comunque metano. In Germania si arriva a quattro anni di vita, ma dovremmo portare le mucche ad un’età di sette-otto anni o anche nove … Così si avrebbe una produzione di metano distribuita su più anni, per riequilibrare il periodo in cui l’animale è improduttivo. Ma serve tenere le mucche in salute.
Il professor Matthias Gauly, Unibz
E come si fa?
Mangime buono, aria e movimento, ci vorrebbero ancora più mucche all’alpeggio, ce ne sono sempre meno! E poi poco stress… un po’ come noi umani, se sei stressato ti ammali. Per quanto riguarda le emissioni, un altro fattore importante è il mangime.
In che modo l’alimentazione pesa sulle emissioni?
Ci sono additivi in grado di cambiare i microorganismi – a seconda di come è composto il mangime, alcuni tipi producono molti microorganismi responsabili delle emissioni e altri meno. Ad esempio, in Alto Adige si potrebbero utilizzare additivi provenienti dagli scarti della produzione del vino e della coltivazione delle mele, con cui potremmo quindi chiudere il cerchio, lavorando in un’ottica circolare. E poi c’è anche la genetica, che influisce molto.
Quindi, banalizzando, possiamo dire che la propensione ad emettere emissioni flatulente sarebbe anche una questione “di famiglia”?
Si, quello dell’ereditarietà è un fattore molto importante che favorisce i microorganismi e quindi le emissioni. Possiamo individuarlo analizzando la composizione dei grassi nel latte. Quello genetico è un approccio importante perché permette di stabilire anche la predisposizione a determinate malattie.
E come si può intervenire concretamente?
È possibile misurare le emissioni all’interno di un singolo allevamento e operare una selezione – in altri paesi se ne sono accorti e già applicano questo metodo all’interno di un programma di allevamento, ad esempio in Canada. E su questo punto siamo ottimisti: potremmo ridurre le emissioni dal 20 fino al 40%, a condizione di iniziare ieri e non dopodomani se vogliamo raggiungere gli obiettivi del piano clima Alto Adige 2040.
Ma…
Purtroppo, non è così, mancano i fondi per lavorare su questi ambiti e applicarli nelle prassi, raccogliendo i dati di più animali. E non vedo molto sostegno, al momento c’è un tool dell’Agenzia CasaClima attraverso cui ogni allevatore può misurare le emissioni.
A proposito, ad esempio, in Danimarca si sta discutendo una legge per tassare gli allevatori per i gas a effetto serra emessi da mucche, pecore e maiali a partire dal 2030… in Alto Adige che tipo di sensibilità ha riscontrato da parte loro?
È importante spiegare ai contadini il problema e che tutti devono dare un loro contributo, per non sono i soli responsabili e il problema delle emissioni riguarda tutti noi – dal momento in cui decidiamo di prendere o meno la macchina alla prenotazione di un viaggio aereo, che forse non è poi così necessario. Ricordiamoci che gli agricoltori producono alimenti di cui abbiamo bisogno.
Caterina Longo
Immagine in apertura: Foto di Christian B. da Pixabay