"Con BAW proviamo a superare i limiti del mondo artistico". Intervista a Nina Stricker

Bolzano. “Giochiamo a mescolare piani, livelli e competenze, io lo chiamo mescolare le carte e in questo gran bel miscuglio svaniscono alcune classiche limitazioni e atteggiamenti del mondo dell’arte”: Nina Stricker è un fiume in piena quando parla del suo progetto del cuore di cui è curatrice e iniziatrice, le  BAW- le Bolzano Art Weeks. L’iniziativa è un festival artistico collettivo che per dieci giorni d’autunno riunisce ogni anno eventi e appuntamenti mescolando felicemente -e volutamente- quella che consideriamo cultura high and low, scapigliando il composto panorama artistico altoatesino (ne abbiamo parlato qui). “Ormai abbiamo quasi raggiunto l’età della scuola elementare”, scherza Stricker, che con testarda energia ha traghettato BAW verso la sua quarta edizione, conclusasi il 6 ottobre scorso. La raggiungiamo in videochiamata a Milano per farci raccontare com’è andata, e soprattutto capire cosa muove quella voglia di “mescolare le carte” che suscita entusiasmi, ma anche qualche sguardo critico.

Sei contenta di com’è andata?

L’edizione di quest’anno è stata particolarmente gratificante, c’è sempre maggiore partecipazione e convinzione e sta crescendo anche la qualità dei progetti. Inoltre, funziona bene l’interscambio tra gli operatori, che aiuta a far entrare in contatto nuove realtà giovani con istituzioni più grandi. Ma quello che mi manca sono le masse, voglio che questo evento sia per tutte e per tutti e per questo ci vuole una certa forza nella comunicazione con investimenti pubblicitari più pesanti, che noi non abbiamo, facciamo questo evento con 60mila euro e ce ne vorrebbero almeno altri venti.

Una critica che ti viene fatta è che nel programma di BAW tra i tanti eventi si rischia di perdere la qualità.

È la critica classica che c’è fin dall’origine, penso che in quattro anni abbiamo dimostrato che si tratta di un pregiudizio. Siamo molto condizionati da certi meccanismi nel voler definire la qualità che dovrebbe essere garantita dall’istituzione, dalla notorietà dell’artista, dal contesto e dall’importanza del critico …tutta una serie di informazioni abbastanza accessorie, quando invece spesso il meno quotato tra i vari appuntamenti è quello che regala l’esperienza più incredibile. Ci sono anche eventi internazionali che lo hanno dimostrato, come l’ultima documenta a Kassel, lì è emerso come in realtà questa qualità noi la definiamo secondo schemi della nostra cultura di appartenenza occidentale e una scala di valori legata al mercato e non alla qualità intrinseca.

E cosa rispondi a chi dice che cento appuntamenti sono troppi da seguire?

In realtà il 90% degli appuntamenti nel programma di BAW sono cose che accadrebbero comunque, solo noi le rendiamo un po’ più fruibili. E poi la cultura non è mai troppa. Bisogna toglierci dalla testa di voler fare un programma, programmiamo tutto, dal lavoro al tempo libero, leggiamo i programmi degli eventi, scegliamo a quale andare e come vestirci e truccarci e già passa la voglia…e poi c’è il pagamento del biglietto online che magari s’inceppa. Invece con BAW prendi una mappa e vai, non devi adeguarti ad etichette o pensare ‘oddio non ho la camicia stirata’. Possibile che non riusciamo a vivere la cultura nel quotidiano come qualcosa che ci arricchisce sempre?

BAW porta un fitto programma di appuntamenti nello spazio pubblico di una città come Bolzano, che altrimenti tende a identificarsi nel mercatino di Natale o come città della celebre mummia Oetzi.

Devo dire che il supporto dell’Azienda di soggiorno quest’anno è stato molto più convinto rispetto al passato, anzi ha puntato sul nostro evento come offerta turistica alternativa. Lavoriamo nello spazio pubblico per coinvolgere anche i passanti, fa parte della strategia del portare l’arte a tutte e tutti. È un discorso che non vale solo per Bolzano, ma in generale, abbiamo un patrimonio culturale molto chiuso in delle scatole che siano teatri o musei, e poi c’è anche un problema di accessibilità concreta che è quello del ticketing. Ormai parliamo di situazioni di polarizzazione sociale, in cui davvero questi 15 o 20 euro d’ingresso possono incidere sulla accessibilità reale, soprattutto da parte delle famiglie.

Una barriera economica, quindi.

È un paradosso, abbiamo un’offerta pubblica finanziata dai soldi dei cittadini e quindi dovrebbe essere accessibile e basta. E naturalmente nel caso dell’arte contemporanea accessibilità significa soprattutto esperibilità diretta. Noi quest’anno avevamo in programma diverse performance partecipative, anche se è un festival nato innanzitutto per essere fatto dagli artisti e dalle artiste, e dalle loro creazioni.

In che senso?

Puntiamo su una manifestazione in cui non occorre un testo critico di cinque pagine o qualcuno che spiega la didascalia. Se l’opera ha una sua “verità” -ammesso che esista-, diciamo una sua essenza, questa arriva senza grandi necessità di mediazione.

Perché in genere non è così?

Purtroppo, nel sistema dell’arte contemporanea, che conosco ed in cui lavoro da lungo tempo, anche fuori da Bolzano, non c’è questa sostanza. È un mercato come un altro e non emerge nulla di sostanziale o utile al prossimo. Le opere sono create per il mercato, anzi per singoli collezionisti e le esperienze che vengono offerte sono superficiali e consumistiche, non lasciano nulla. Noi vogliamo dare spazio alle forze creative originali, che sono gli artisti e le artiste, coloro che dedicano il 90% del loro tempo a questo genere di profondità e non a quello che stanno facendo i giovani negli ultimi 20 anni.

Cioè?

Produrre opere per il mercato con un’estetica e un marketing e uno storytelling perfetto. Vedi per me questo evento comincia ad avere una rilevanza anche nazionale perché è una piccola oasi in cui si fa l’esatto contrario di quello che generalmente si fa nel sistema dell’arte contemporanea in Italia, ovvero dare spazio agli artisti, cercare di trasmettere valori che invitano a riflessioni basilari come “per chi lo sto facendo e perché” prima ancora di chiedermi dove faccio la mostra, chi la cura, la galleria, il curriculum.

La performance di MOC Mara Oscar Cassiani, Be Water My Friends al Parkhotel Laurin. Foto Fanni Fazekas

Eppure, il sistema ha le sue regole.

In questo sistema così elitario ci sentiamo in difetto se non abbiamo abbastanza conoscenza o competenza per dire che una cosa non è chiara o non ci convince o ci sembra una cavolata totale. E chi dice la verità la paga con una serie di ripercussioni e conseguenze.

E quindi?

Il vero problema di questo sistema -a parte pochi critici e qualche collezionista- è che nessuno osa intervenire, è un settore che non ha occhi e non ha orecchie e non c’è nessuno che realmente vede e giudica o critica quello che avviene. È un sistema chiuso.

La chiave per avvicinarsi all’arte rimane quindi per te quella dell’immediatezza e dell’accessibilità.

Si, la modalità deve essere il meno possibile mediata e il più possibile diretta. Guardando alle città, perché ci piacciono i quartieri popolari? Perché sono gli unici in cui è rimasta un’anima, un commercio di vicinato in cui ci sono anche dei problemi nel senso che non va sempre tutto liscio. Ci muoviamo su una superficie liscissima consumistica, in cui in realtà non viviamo più. E questo effetto patinato lo rischia anche una provincia ricca come quella di Bolzano, con il suo spostarsi sempre di più verso un segmento solo alto, ma non culturale.

Anche nel turismo.

Per quanto riguarda lo sviluppo turistico dell’Alto Adige al momento viviamo una tendenza ancora più pericolosa, verso un turismo improntato solo su un segmento di lusso, che diventa davvero esclusiva espressione di una polarizzazione economica e della società presente in tutti i settori. Quindi una manifestazione come BAW, che è per tutti ed è gratuita e accessibile ovunque, è necessaria come contrappeso, non solo a Bolzano.

Eppure, nell’edizione di BAW 2024 avete parlato di “wellbeing” in cui risuona l’amato wellness turistico.

Anche il tema del wellbeing è una provocazione, è il contrario del wellness, ovvero chiudersi per quattro ore in un’altra scatola in alta montagna a fare non so quali saune e riti etc. E poi la cosa brutta è che gli stessi operatori culturali imitano quel genere di ritualità, un’altra volta patinata.

Il lavoro di Agata Torelli, una delle vincitrici della “call for artists” al Parco delle Semirurali. Foto Fanni Fazekas

Ultimamente, il tema dell’arte che cura è molto presente nei programmi di musei e istituzioni culturali.

Ma l’arte non cura, previene la cura! Il nostro compito non è curare. Occorre distinguere tra benessere e cura, come ci ha spiegato il sociologo Flavio Zandonai nella conferenza di quest’anno. L’arte viene prima della cura, ed è quella che stiamo perdendo. Io l’ho declinata su una questione di profondità interiore, quasi di spiritualità universale, elementi che ci uniscono e ci fanno essere parte di uno stesso tutto. L’arte e la cultura possono ritrasmettere queste sensibilità, che sono anche etiche.

Anticipazioni sull’edizione di BAW 2025?

L’anno prossimo amplieremo i temi verso un’emergenza inevitabile che è l’ambiente, problema di tutti gli esseri che condividono il nostro ecosistema.

Ultima domanda: organizzare BAW è un lavoro immenso. Perché lo fai?

Senza l’arricchimento dell’arte e della cultura non potrei vivere e vorrei portare questo arricchimento a tutti e tutte – il fatto che non sia fruito credo dipenda dalle modalità di trasmissione e di accessibilità e non dal contenuto, che se ha la forza arriva. Come l’effetto di una passeggiata nel bosco.

Nina Stricker, originaria di Merano, è una produttrice e manager culturale, con oltre 15 anni di esperienza come curatrice di fiere e festival, come ArtVerona, BOOMing Contemporary Art Show a Bologna, Affordable Art Fair a Milano e Videocittà a Roma. Ha fondato BAW Bolzano Art Weeks nel 2020 e lo cura insieme ad un team di cui fanno parte Valentina Cramerotti, Massimiliano Gianotti, Barbara Brugnara e Hannes Egger.

Caterina Longo

 

Immagine in apertura: Nina Stricker, 2024. Foto Fanni Fazekas

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