I pannelli fotovoltaici sono brutti? Non necessariamente. Intervista a Martina Pelle di Eurac Research
Innovazione. Negli ultimi anni, le energie rinnovabili hanno assunto un ruolo sempre più importante nell’architettura e nel settore delle costruzioni, ma i pannelli solari sono ancora spesso considerati invasivi e adatti principalmente a edifici moderni. In dialogo con Martina Pelle, ingegnera edile specializzata in efficienza energetica e sostenibilità, attualmente ricercatrice postdoc presso Eurac Research a Bolzano, abbiamo cercato di capire se il fotovoltaico potrà davvero diventare un elemento estetico sostenibile per le città del futuro. La ricercatrice ci ha spiegato come questa tecnologia possa in realtà essere compatibile con gli edifici storici, anticipandoci anche alcuni sviluppi futuri per il mercato altoatesino.
Il suo lavoro si concentra sull’integrazione delle energie rinnovabili nell’ambiente costruito. Secondo lei, quali sono le sfide più grandi che le città devono affrontare per diventare davvero sostenibili?
Il percorso verso la sostenibilità ambientale, economica e sociale delle nostre città è costellato di sfide complesse e interconnesse. Tra i principali ambiti di intervento troviamo l’efficientamento energetico degli edifici, l’elettrificazione della domanda termica e una maggiore integrazione delle fonti rinnovabili nel sistema energetico. Per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione, sono necessari anche profondi cambiamenti culturali, che trasformino il nostro approccio alla vita quotidiana, promuovendo un uso razionale delle risorse, la cultura della circolarità e sistemi di mobilità a basso impatto ambientale.
Nel suo intervento al Science Slam svoltosi lo scorso ottobre all’Eurac, ha parlato della “bellezza del fotovoltaico colorato”. Cosa intende con questa affermazione e quali sono i vantaggi che offre questa tecnologia?
Il fotovoltaico è solitamente associato a lunghe file di pannelli scuri installati in campo aperto o sui tetti delle abitazioni. L’aspetto dei moduli fotovoltaici tradizionali può costituire un ostacolo all’adozione diffusa, in quanto spesso considerato poco gradevole e più adatto all’utilizzo in contesti moderni, e meno adatto in aree in cui l’armonia con l’ambiente costruito è fondamentale ed il patrimonio architettonico è considerato un valore culturale identitario. Per rispondere a questa esigenza, negli ultimi anni si è diffuso il concetto di “fotovoltaico integrato in edificio” (BIPV, dall’inglese building integrated photovoltaics), che prevede l’utilizzo di materiali fotovoltaici al posto dei tradizionali materiali da costruzione, come tegole, rivestimenti e finestre. Nel BIPV, si utilizzano elementi colorati nei moduli per nascondere le celle solari e migliorare l’estetica, rendendo l’installazione più armoniosa con il contesto.
Ma i risultati sono paragonabili a quelli del fotovoltaico “classico”?
Si, questo approccio consente di produrre energia rinnovabile in modo distribuito, di ottimizzare l’uso del suolo sfruttando le superfici esistenti e di garantire un equo accesso all’energia solare, anche per chi vive in centri storici o aree soggette a tutela paesaggistica. Inoltre, mette a disposizione di architetti e progettisti soluzioni variegate che lasciano spazio alla creatività nell’espressine del linguaggio architettonico.
Spesso il fotovoltaico viene visto come invadente e adatto solo agli edifici moderni. Ci può fare qualche esempio pratico in cui questa risorsa è stata utilizzata con successo su facciate storiche?
Degne di nota sono le coperture fotovoltaiche color terracotta installate sull’isola della Certosa, nella laguna di Venezia, e i moduli grigio-argento recentemente posizionati sul tetto del celebre Guggenheim Museum di Bilbao, grazie al lavoro di due aziende italiane. Questi sistemi vanno considerati veri e propri materiali da costruzione a doppia funzione: da un lato, assolvono il compito dell’elemento strutturale che sostituiscono, come protezione dalle intemperie (nel caso delle tegole) o controllo termico (nel caso di facciate o vetrate). Dall’altro, generano energia pulita. L’uso di moduli colorati, che cambia l’estetica dell’installazione, può influire anche sulle prestazioni, con effetti potenzialmente benefici in base al colore e ai materiali selezionati, ad esempio riducendo le temperature operative del sistema. Inoltre, sul sito dedicato di Eurac Research è possibile consultare diversi esempi di edifici storici in cui è stato integrato il fotovoltaico.
Ci sono novità o sviluppi recenti nel settore dell’architettura e delle rinnovabili che ritieni particolarmente promettenti e che pensi possano fare la differenza in futuro? Ha qualche esempio concreto che potrebbe essere applicato anche in Alto Adige?
Le tecnologie fotovoltaiche integrate offrono prospettive promettenti, poiché consentono di produrre energia rinnovabile in modo diffuso e direttamente dove è richiesta. L’installazione verticale sulle facciate, soprattutto con orientamento est-ovest, presenta un ulteriore vantaggio: a differenza delle installazioni esposte a sud, queste possono generare energia nei momenti di picco di domanda, ovvero nelle prime e ultime ore della giornata. Altre innovazioni riguardano la riduzione dell’uso di materiali critici nei moduli fotovoltaici e il riutilizzo dei materiali recuperati da moduli dismessi. Inoltre, l’intelligenza artificiale sta contribuendo in modo significativo alla gestione e al monitoraggio degli impianti fotovoltaici, automatizzando l’identificazione dei malfunzionamenti e la pianificazione della manutenzione. Questo approccio non solo aumenta la redditività, ma anche la durata utile degli impianti.
Per concludere, puoi darci qualche anticipazione sui suoi prossimi progetti sul “fotovoltaico integrato”?
Il prossimo anno prenderanno il via due progetti, coordinati da Eurac Research, in cui sarò impegnata, che mirano a potenziare la competitività della filiera del fotovoltaico integrato in Alto Adige, favorendo lo sviluppo di prodotti innovativi e personalizzati per l’integrazione architettonica. Il progetto SOLARIS, finanziato dal fondo europeo di sviluppo regionale FESR per la ricerca e innovazione, coinvolgerà piccole e medie imprese del territorio per sviluppare materiali avanzati e ottimizzati per il fotovoltaico, come per esempio vetri o pellicole colorate. Questi materiali possono essere usati nei moduli fotovoltaici in vari contesti, come edifici, infrastrutture, serre o nell’agricoltura (agri-voltaico), contribuendo a un’integrazione sostenibile ed efficiente delle tecnologie solari nel territorio. Nel secondo trimestre invece prenderà il via il progetto PVFace, finanziato dal bando Fusion Grant su iniziativa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Bolzano, e coinvolgerà una start-up innovativa del territorio per indagare processi produttivi con diverse tecnologie fotovoltaiche (celle) e diverse tecniche di personalizzazione al fine di garantire il miglior trade-off tra aspetti legati a costo, affidabilità, circolarità, sostenibilità e valenza estetica.
Arianna Ambrosetti
Immagine in apertura: Martina Pelle. Foto Paolo Cavanna