Flexibots, il progetto di Unibz e EHT Zurigo per rivoluzionare il mondo della chirurgia (e non solo)
Innovazione. Piccoli, flessibili, e straordinariamente innovativi: i micro robot sviluppati da un team di ricercatori della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Bolzano in collaborazione con il Politecnico di Zurigo promettono di trasformare il futuro della medicina e non solo. Questi dispositivi, capaci di muoversi nei liquidi e rispondere agli stimoli ambientali, potrebbero rendere obsolete pratiche invasive come gli interventi chirurgici, portando a trattamenti più precisi e meno traumatici.
Protagonista di questo progetto avveniristico è il programma Flexibots, un’iniziativa internazionale finanziata dalla Fondazione Nazionale Svizzera per la Scienza e dalla Provincia autonoma di Bolzano. Avviata nel 2021 e appena conclusa, la ricerca apre prospettive affascinanti sia nel settore biomedicale che in quello industriale. «Riguardo alla ricerca, abbiamo già dimostrato la funzionalità dei componenti di questi robot: possono muoversi grazie a campi magnetici, adattarsi alla forma necessaria, afferrare o rilasciare oggetti», spiega il professor Niko Münzenrieder, a capo del progetto. Oltre a queste capacità meccaniche, i robot integrano sensori avanzati e antenne miniaturizzate che trasmettono dati ed energia, monitorando costantemente le condizioni ambientali circostanti.
Il professore Niko Münzenrieder, a capo del progetto (Fonte Ufficio Stampa Unibz)
Innovazioni per la medicina e oltre
L’applicazione più ambiziosa dei micro robot riguarda l’ambito medico: «In futuro, i flexibots potrebbero essere introdotti nel corpo umano senza necessità di interventi chirurgici, raggiungere aree specifiche e somministrare farmaci in dosi mirate, come per la chemioterapia» aggiunge Münzenrieder. La loro capacità di biodegradarsi una volta completata la missione li rende ideali per applicazioni interne, riducendo al minimo l’impatto sul paziente.
Tuttavia, l’impiego clinico diretto richiederà tempo per superare gli stringenti test di sicurezza e le regolamentazioni. Nel frattempo, il potenziale di questi robot si estende ad altre aree, come la manutenzione industriale. «Immaginate di ispezionare turbine o motori in spazi angusti e difficili da raggiungere. Questi dispositivi potrebbero rivoluzionare il monitoraggio e la riparazione di sistemi complessi», sottolinea il ricercatore.
Il progetto Flexibots è il risultato di un lavoro congiunto tra i laboratori di Elettronica Flessibile dell’Università di Bolzano e il team di robotica multiscala dell’ETH di Zurigo. La realizzazione dei sensori a film sottile, spessi appena pochi nanometri, ha richiesto competenze avanzate: «Abbiamo sviluppato tecnologie innovative basate su semiconduttori ossidici, capaci di adattarsi a strutture di dimensioni ridottissime e sensibili alla temperatura», spiega Münzenrieder. Questi componenti non solo consentono ai robot di percepire l’ambiente, ma ne potenziano anche le capacità di comunicazione senza fili.
Il ruolo di Bolzano è stato cruciale nello sviluppo dell’elettronica avanzata: «La nostra regione è un terreno fertile per la ricerca tecnologica, grazie alla presenza di gruppi specializzati e infrastrutture all’avanguardia», continua il professore. La parte nanomagnetica, invece, è stata integrata nei laboratori dell’ETH di Zurigo, completando una sinergia unica tra due centri di eccellenza. «Questo progetto incarna la nostra visione di una tecnologia al servizio della qualità della vita, capace di migliorare sicurezza, salute e benessere», commenta Andrea Gasparella, preside della Facoltà di Ingegneria di Bolzano. Le possibilità aperte da questi robot vanno ben oltre la medicina, toccando settori industriali cruciali come l’ispezione e la manutenzione di macchinari complessi.
Con i Flexibots, la linea di confine tra tecnologia avveniristica e realtà si fa sempre più sottile. Questi piccoli giganti tecnologici promettono di ridefinire le possibilità del nostro tempo, unendo innovazione, precisione e sostenibilità.
Immagine di apertura: immagine al microscopio di un “flexibot”, nei laboratori di Unibz (foto Ufficio Stampa Unibz)
Alberto Lolliri