"I parenti terribili": il vittimismo e l'uso maldestro dei cuscini
Teatro. Jean Cocteau ha scritto “I parenti terribili” nel 1938 mettendo in scena un ritratto di famiglia acido e sarcastico contro cui si sono scagliati gli strali dell’estrema destra francese. Proibito nel 1941 dalle autorità francesi collaborazioniste, “Parenti terribili” tornò ad essere rappresentato solo al termine del secondo conflitto mondiale (in Italia nel 1945 con la regia di Luchino Visconti). Solo negli anni successivi ottenne il meritato successo, venne messo in scena più volte e Cocteau ne diresse anche la versione cinematografica uscita nel 1948.
Ma perché portarlo in scena oggi? Nel 2024 cosa resta della famiglia del 1938?
Resta proprio quel che caratterizza i personaggi de “I parenti terribili”: una mentalità e una cultura che hanno contagiato l’intera società: il vittimismo e la conseguente paranoia. Con la stessa determinata ottusità con cui i governi sovranisti tentano di proteggersi dalla globalizzazione, così i genitori di oggi si ostinano a preservare meccanismi e relazioni in famiglie ormai sfaldate e parcellizzate. Patrie e famiglie accomunate dalla medesima venerazione per l’unico vero eroe del nostro tempo: la vittima. I “parenti terribili” di ieri come i popoli di oggi: “non siamo ciò che facciamo, ma ciò che abbiamo subíto, ciò che possiamo perdere, ciò che ci hanno tolto”*.
Un vittimismo che accompagna e giustifica la chiusura in noi stessi, il rifiuto di confrontarsi con l’esterno, con la realtà. Un sentimento in grado di creare un universo concentrazionario che genera paranoia e vede in ogni “corpo estraneo” un pericolo. Chi turba l’ordine costituito è accusato di essere tutto e il suo contrario. La donna amata dal figlio è troppo vecchia, ma anche troppo giovane, come lo straniero nullafacente è lo stesso che ci ruba il lavoro. Una fobia per quel che ci circonda che spinge ad amarsi solo tra simili. Non a caso, ne “I parenti terribili” si sfiora l’incesto, mentre all’interno della stessa famiglia tutti amano la persona sbagliata. Lei ama lui che ama lei che ama lui che è amato da lei. Un ritornello contemporaneo come una hit estiva. Amori in perpetua concorrenza che non possono che sfociare in tragedia.
La messa in scena di Filippo Dini è come sempre rigorosa nel rispetto del testo originale e percorre con grande abilità il filo sottile della farsa che evoca una tragedia. Molto intelligente anche la scelta di tradurre il tormentone “encroyable” in “unbelievable”, mentre, per quanto possa sembrare strano, risulta maldestro l’uso dei cuscini.
Spesso utilizzati come banali oggetti di scena – come le tasche quando non si sa dove mettere le mani – sono, dovrebbero o potrebbero essere, molto di più: simbolo di violenze inespresse, di realtà nascoste o almeno filtrate. Strumenti perfetti per coprire quel che non si vuol vedere, o quel che non si vuol sentire, simbolo di quelle comodità che ci impediscono di alzarci e di andare incontro alla vita. Non si può dimenticare che ai tempi di Cocteau non c’erano gli smartphone, occorreva accontentarsi.
Massimiliano Boschi
*Daniele Giglioli “Critica della vittima” (Edizioni Nottetempo)
I parenti terribili
di Jean Cocteau
traduzione Monica Capuani
regia Filippo Dini
con Milvia Marigliano, Mariangela Granelli, Filippo Dini, Giulia Briata, Cosimo Grilli
scene Maria Spazzi
costumi Katarina Vukcevic
luci Pasquale Mari
musiche Massimo Cordovani
assistente alla regia Alma Poli
assistente scene Chiara Modolo
assistente volontario Gennaro Madonna
produzione TSV – Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, Teatro Stabile Bolzano
si ringrazia il Comité Jean Cocteau