Chiesa e omosessualità: "Siamo per l'accoglienza". Intervista a Johanna Brunner del gruppo diocesano sui temi LGBTQIA+

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Bolzano. “Dalla sua faccia vedo la già risposta, ma glielo devo chiedere comunque: il vostro scopo non è riportare le persone sulla retta via e indottrinarle, vero?”. Johanna Brunner sorride serena davanti a una domanda che si è sentita fare molte volte. La direttrice dell’Ufficio matrimonio e famiglia della Diocesi di Bolzano-Bressanone guida, infatti, dal 2021 il gruppo “Fede e omosessualità” nato per volontà dell’ultimo sinodo diocesano. Il gruppo “si impegna a sostenere che le persone possano sentirsi a casa nella Chiesa a prescindere dal loro orientamento sessuale e vuole sensibilizzare le persone sulle realtà della vita dei credenti queer nella nostra diocesi” si legge sulla pagina web dedicata. “Una Chiesa che non va verso le persone, nel mondo, una chiesa che tenta di accontentarsi di sé stessa smette di essere Chiesa” ci ha detto Johanna Brunner nell’intervista, in cui abbiamo cercato di capire cosa fa e come con l’iniziativa che dal nome suona come un ossimoro.

Il tema della fede e dell’omosessualità si muove su un crinale delicato… quali sono i vostri obiettivi?

Quando abbiamo iniziato eravamo consapevoli di muoverci in uno spazio molto diverso e ambiguo, ma volevamo provare e dare il nostro contributo per arrivare all’accoglienza, alla non discriminazione, facendo un lavoro inclusivo non solo nei confronti delle persone queer, ma anche di quelle che frequentano la comunità parrocchiale: anche queste hanno bisogno di essere integrate e non temere di occuparsi di questi temi. C’è molta insicurezza, che deriva dal fatto di saperne troppo poco e da certi tabù e pregiudizi.

Del resto, si tratta di tematiche polarizzanti.

Tra le prima iniziative che abbiamo avviato c’è una mostra itinerante, che ora abbiamo ristampato perché la prima è circolata molto, e che descrive bene quello che vorremo fare: stimolare il dialogo su queste tematiche senza pretendere che di avere la verità in tasca. Quello che ci interessa di più è avviare un processo, un percorso verso un insieme meno discriminatorio e più dialogante.

A proposito di “verità in tasca”: la posizione ufficiale della Chiesa è di non discriminare le persone omossessuali per il loro orientamento ma poi c’è la condanna per l’espressione della sessualità, considerato un comportamento “intrinsecamente disordinato”. C’è da parte vostra un qualche intento di “riportare sulla retta via”?

Il problema di fondo sta in quel “però”: come Chiesa non vogliamo discriminare nessuno però…chi vive l’aspetto relazionale della sessualità è nel peccato. Anche questo parlare dell’orientamento sessuale come una cosa “intrinsecamente disordinata” – sono parole pesantissime. Ma noi sappiamo che la sessualità è un aspetto molto importante dell’essere umano e allora come facciamo a tagliarla fuori? Da qui nascono molti problemi, dal dire “ti accettiamo come persona, però senza la tua identità sessuale, senza la tua espressione sessuale in una relazione”.

Suona come una contraddizione.

C’è da dire che ci sono conoscenze delle scienze umane e cambiamenti che la teologia morale deve ancora integrare e affrontare, ma sono processi che durano tanto, anche troppo. Da tempo sappiamo che l’omosessualità non è più considerata una psicopatologia, ma per certi versi la Chiesa la considera ancora così, quando parla di “intrinsecamente disordinata”.

Johanna Brunner. Foto Diocesi Bolzano-Bressanone

Voi cosa fate, concretamente?

Arrivare a fare dei cambiamenti a livello ecclesiale non è per noi fondamentale perché non ne abbiamo le energie- ma se abbiamo l’occasione di dare impulsi li diamo, ovviamente. Quello che vogliamo è cambiare la realtà concertatamente: il fatto che una persona omosessuale all’interno della comunità parrocchiale possa svolgere un servizio come lettore o lettrice o far parte del consiglio pastorale senza pregiudizi e ansie.

E ci state riuscendo? Che risposte avete avuto, anche dall’interno della Chiesa?

C’è una grande risposta a livello mediatico e molto incoraggiamento da parte di singole persone che hanno anche ruoli di responsabilità all’interno delle parrocchie. Ma ci sono gruppi e associazioni impegnati in quello che loro chiamano la “giusta via cattolica” – parlo di gruppi che favoriscono le terapie di conversione- che sostengono che l’omosessualità è un problema da risolvere e ci ricordano che non siamo cattolici e stiamo andando contro la dottrina e il catechismo. Devo dire che la cosa più faticosa per noi è gestire e accompagnare queste dinamiche, che ci richiedono molte energie- il dialogo qualcosa di molto faticoso!

Rispetto al tema, percepisce una differenza di atteggiamento tra città e le periferie? Forse è più difficile far passare certi argomenti in un contesto ristretto come quello delle valli…

In realtà mi è capitato di riscontrare una certa riserva anche in situazione cittadine e di contro so di esempi di parrocchie rurali che non hanno nessun problema a dare servizi e incarichi a persone omosessuali. Più che una dinamica città-periferia direi che molto dipende dalle singole persone e dal loro coraggio nel fare certi passi, e anche da quali ansie, paure e pregiudizi si portano con sé.

 Foto Diocesi Bolzano-Bressanone

Certo non è facile…

C’è il timore per quello che potrebbe succedere, è una paura molto reale perché da una parte c’è la Chiesa che colpevolizza e dall’altra la stessa Chiesa dice “chi sono io per giudicare?” come ricorda il nostro Papa Francesco.

Tornando alle vostre attività, proprio in questi giorni organizzate il “Das Queere Wohnzimmer” (il salotto Queer, ndr) a Bressanone.

È una nuova iniziativa per incoraggiare un confronto in una dimensione più intima, un “safe place” in cui omosessualità e fede possano convivere senza essere messe in discussione – segnalo che ci sarà un secondo appuntamento anche a maggio. Arriva dopo anni impiegati a fare un grande lavoro di costruzione di fiducia: quando abbiamo iniziato molte persone erano scettiche e diffidenti – c’è una comprensibile voglia di tutelarsi, e proteggersi anche da nuove ferite.

Quindi i timori ci sono anche da parte di chi si avvicina a voi…

Riscontriamo molta gratitudine per l’esistenza di questo gruppo -che ha anche un valore simbolico- ma ho visto anche tante lacrime di persone che hanno provato un profondo sollievo dal fatto che qualcuno gli dice di sì. Dall’essere accettati.

Ogni essere umano lo vuole.

Esatto, e abbiamo sperimentato che riguarda anche i familiari, che sentono questa discriminazione, l’essere esclusi e sbagliati. E questo per me è un fatto molto triste soprattutto per noi come Chiesa.

Un elemento della mostra itinerante organizzata dal gruppo “Fede e omosessualità”. Foto Diocesi Bolzano-Bressanone

D’altro canto non ci sono molte realtà come la vostra a livello nazionale.

Certo noi abbiamo un mandato dal sinodo, ma devo dire che in Italia ci sono diverse reti attive sulla pastorale Lgbt, una attorno a padre Pino Piva, un gesuita che lavora a Bologna, ma ci sono anche tante altre realtà… e in Austria c’è la rete Regenbogenpastoral, che è una bella opportunità per noi per avere input e scambi.

La Diocesi di Bolzano Bressanone ha comunque dimostrato un certo coraggio. Cambiando tema, penso all’indagine sulla pedofilia. Sembra stia provando a stare al passo coi tempi…

Il Concilio Vaticano II dice che bisogna leggere i segni dei tempi. Una Chiesa che rimane chiusa dentro sé stessa non è Chiesa. C’è un bel passo che descrive la situazione di Pentecoste nella Bibbia e dice che i discepoli erano riuniti e avevano le porte chiuse e quando arriva lo Spirito santo le porte vengono spalancate: questo è fondamentale per l’essere chiesa perché una Chiesa che non si sente mandata verso le persone, nel mondo, verso gli altri, una Chiesa che tenta di accontentarsi di sé stessa smette di essere Chiesa. Detto questo, è una grande sfida che qualche volta si riesce a vivere un po’ meglio e altre meno. Anche dietro questa perizia sugli abusi c’è un lungo cammino, in cui sono state vinte tantissime resistenze.

Lei prima ha parlato di accettazione e di accoglienza: in fondo è un discorso che vale anche per altre situazioni e che possiamo allargare al momento che stiamo vivendo a livello internazionale.
Il compito che abbiamo come Chiesa -anche se non riusciamo sempre a realizzarlo- è dare il nostro contributo a ritornare al dialogo, al vedere l’essere umano nell’altro come lo sono anch’io. Se non siamo più disposti a vedere l’essere umano nell’altro allora il passo verso la guerra è molto facile.

Eppure, sembrano messi in discussione valori che davamo per scontati.

Ma purtroppo non lo sono, e questo ci richiama a tirare fuori il meglio di tutti noi. Mi viene in mente la frase in cui Elon Musk dice che “la debolezza fondamentale della civiltà occidentale è l’empatia” a cui rispondo con quella di Hannah Arendt “La morte dell’empatia umana è uno dei primi e più rivelatori segni di una cultura sull’orlo della barbarie.”

Caterina Longo

Immagine in apertura: Foto Diocesi Bolzano-Bressanone

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