Laives, quasi Bolzano: l'enclave italiana alla ricerca di identità (e di una piazza)
Alto Adige Doc: la rubrica che racconta l’Alto Adige lontano dagli stereotipi. Per chi si fosse perso qualche puntata precedente, nessun problema: eccole tutte.
Laives ha 18.000 abitanti, è la quarta città dell’Alto Adige/Südtirol per dimensione, ma molti la considerano poco più che un quartiere di Bolzano facendo imbufalire chi vi abita. Il ridotto appeal turistico non aiuta e così Laives resta per molti una sorta di oggetto misterioso nonostante esprima l’assessore provinciale alla cultura italiana da oltre dieci anni: Christian Tommasini prima, Giuliano Vettorato oggi.
Io ci arrivo in un tiepido lunedì di autunno con un bus che mi convince definitivamente a mettere in calendario un articolo sul trasporto pubblico della Sasa. Sceso all’ingresso del paese, cammino lungo via Kennedy, mi infilo in alcune strade a destra, poi a sinistra, infine salgo verso il Municipio. La prima impressione è quella di ritrovarmi nella città più “italiana” della provincia. Per lo stile delle costruzioni, perché sento parlare pochissimo il tedesco e perché noto diverse insegne dei negozi solo in italiano. Noto anche alcune lacune rispetto alle normali città italiane, la più evidente di tutti è la mancanza di una vera e propria piazza. A causa della sua conformazione, Laives appare soprattutto come un luogo di passaggio, di quelli in cui ci si ferma solo se si sa che c’è un buon ristorante, chi si è trasferito qua, però, lo ha fatto più per l’alloggio che per il vitto.
Me lo conferma il sindaco, Christian Bianchi che mi accoglie nel suo ufficio in Comune: «E’ vero, Laives nel 1961 aveva 8400 abitanti, ora ne ha più del doppio ed è cresciuta a causa dell’alta tensione abitativa di Bolzano, per cui molti bolzanini si sono trasferiti verso i comuni vicini. Di conseguenza, Laives è cresciuta molto rapidamente con relativi problemi identitari e di adeguamento dei servizi pubblici. La vicinanza con Bolzano – che dista solo sette km – ha aspetti positivi e negativi. Ci permette di essere vicini al capoluogo e di conseguenza alla sua offerta sia dal punto di vista economico che culturale e scolastico, ma può trasformarsi in un ostacolo quando occorre far presente le nostre particolari necessità». A complicare il tutto c’è la già citata conformazione urbanistica, priva di un vero centro e attraversata da una strada ad alto scorrimento.
«Laives è nata lungo una strada statale, quella che oggi è via Kennedy era un’arteria nazionale che fino a qualche anno fa vedeva transitare 36.000 mezzi al giorno. Una strada che ha sviluppato in lunghezza l’intera città. Gli investimenti provinciali con varianti e gallerie hanno fatto sì che oggi via Kennedy sia molto meno transitata, siamo passati agli 8000 mezzi al giorno, e questo può permettere importanti opere di riqualificazione».
Il progetto di riqualificazione di via Kennedy, non potrà mai permettere, però che la strada diventi totalmente pedonale e quindi resta la necessità di creare una piazza, un centro, un intervento importante per l’identità stessa della città. «Stiamo lavorando anche a questo – precisa il sindaco – con interventi riuniti nel progetto denominato “Nuovo nucleo centrale di Laives” . L’obiettivo è la realizzazione di una piazza come luogo di aggregazione, la costruzione di un edificio che completi urbanisticamente l’intervento iniziato con la realizzazione del nuovo municipio, la riqualificazione degli spazi pubblici aperti attorno al nuovo edificio ed alla chiesa parrocchiale e la riqualificazione dell’areale del vecchio cimitero».
San Giacomo ist nicht Laives/St. Jakob non è Leifers
Sul progetto della nuova piazza si esprime con la solita strabordante franchezza Oscar Ferrari, agricoltore, cantautore non solo demenziale, conduttore radiofonico e segretario del “Partito per Tutti”: «Il progetto non funzionerà, non si può fare una piazza centrale in salita. Sarebbe meglio tirar giù tutto e rifare». Incontro Oscar Ferrari in un bar di viale Europa a Bolzano, la giornata di mercato sta finendo e può lasciare al figlio le incombenze dell’ultimo minuto. Gli spiego che vorrei raccontare Laives e chi la abita ma lui parte con una premessa: «Io sono di San Giacomo non di Laives, ci tengo a precisarlo perché a Laives sono fissati con i pomi e parlano solo di quelli. A San Giacomo (frazione di Laives Nda) siamo diversi anche da quelli di Pineta (altra frazione) perché lì son tutti veneti».
Superate le premesse “etniche” provo a chiedergli del rapporto Laives-Bolzano. «A Laives soffrono di un giustificatissimo complesso di inferiorità alla Fantozzi, ma credo che se diventassero un quartiere di Bolzano avrebbero da guadagnarci, almeno politicamente». Faticosamente provo a spostarlo su questioni etniche con un orizzonte leggermente più ampio e gli chiedo della convivenza tra comunità italiana e tedesca: «Non ci sono mai stati grossi problemi. Io mi considero un sudtirolese di lingua italiana, ho tutti i nonni, credo anche i bisnonni, di Laives. Basta salire sul bus per Bolzano la mattina per capire il contesto. Si sente parlare il laivesotto, un dialetto misto, un miscuglio in cui chi parla sceglie il vocabolo della lingua che gli viene meglio. A volte in italiano, a volte in tedesco».
Prima di salutarmi con una risata e con un vaffa diventa leggermente più serio e ammette che San Giacomo di Laives è un bel posto dove vivere: «Lì nessuno si sente straniero, mentre a Bolzano lo si sentono tutti» In estrema sintesi, su una sola cosa sembrano d’accordo il sindaco Christian Bianchi e il cantagricoltore Oscar Ferrari: l’ottima convivenza tra italiani e tedeschi.
Provo a cercare conferma sentendo anche il parere di chi siede in Consiglio Comunale tra i banchi dell’Svp, la consigliera Sylvia Clementi: «Sì, in generale confermo che la convivenza è buona. E’ anche vero che la comunità di lingua tedesca è in diminuzione, ora è al 27%, e credo che la tendenza alla diminuzione continuerà. E’ figlia del trasferimento di molti bolzanini verso Laives che probabilmente proseguirà anche nei prossimi anni. A Laives, nei negozi ma non solo, si parla italiano, un po’ come nelle periferie di Bolzano. Lo si fa al di là delle conoscenze linguistiche e della madre lingua. Anche nella mia famiglia, il fatto che si potesse imparare l’italiano è sempre stato visto come un’opportunità. Questo, però, non significa che tutto sia risolto. Per esempio, credo che ancora troppi italiani non vivano il bilinguismo come un’opportunità e questo mi dispiace, allo stesso modo non vedo passi avanti rispetto alla conoscenze della storia particolare di questo territorio. Ancora troppe volte mi tocca sentire la frase: siamo in Italia, si deve parlare italiano. E’ una frase che nega le peculiarità di un territorio con una storia particolare figlia di una guerra che ha annesso una popolazione appartenente a un’altra nazionalità e che durante il fascismo ha subito ingiustizie inaccettabili. Fortunatamente, il processo di Autonomia ha sanato molte ferite e credo che oggi ai sudtirolesi non manchi nulla. Quelli che vogliono tornare all’Austria sono ormai una netta minoranza».
La consigliera Clementi, però, evidenzia un punto dolente che riguarda Laives ma non solo: gli asili di lingua tedesca. «Negli ultimi anni – precisa – c’è una forte tendenza da parte delle famiglie italiane di iscrivere i figli all’asilo tedesco per iniziare da subito l’apprendimento della seconda lingua. Potrebbe anche essere visto come un segnale positivo, solo che il risultato è che anche all’asilo tedesco si finisce per parlare italiano, tanto che a Laives ci sono due asili tedeschi quando, numeri alla mano ne basterebbe uno. Per questo sono contraria a una scuola multilingue, sarei favorevole solo nel caso diventasse una terza possibilità, una possibilità in più. Diversamente, in un contesto come quello di Laives, anche la scuola tedesca finirebbe per diventare una scuola italiana».
Massimiliano Boschi