Piazza Matteotti, quando la riqualificazione crea il vuoto
Il lockdown impedisce o rende inutili molti spostamenti, i mezzi pubblici sono deserti o comunque silenziosi e da dietro le mascherine si percepiscono solo poche confuse parole. Camminare resta il modo migliore per visitare i luoghi, fortunatamente Bolzano è piccola e per raggiungere Piazza Matteotti impiego meno di mezz’ora. L’idea è di dare un’occhiata alla sua “riqualificazione”, ma già a prima vista qualcosa sembra non aver funzionato. Per “ambientarmi” mi metto a fotografare i due enormi cubi bianchi che occupano i lati della piazza, ma dopo due soli scatti, la macchina fotografica si spegne, pile scariche! Proprio mentre sto imprecando, una signora mi si avvicina scuotendo la testa: “ha visto cos’hanno combinato?”.
A dire il vero non so cosa risponderle, sono appena arrivato, è evidente che i lavori non sono ancora terminati, ma quel che si vede è talmente assurdo da lasciare interdetti. Di fronte al mio sguardo perplesso, la signora non demorde: «Si vada a vedere il giardino, io lo chiamo il canile». Il «canile» è uno spazio delimitato da muri bianchi contenente qualche albero striminzito, all’esterno fa pessima mostra di sé un busto di Matteotti che sembra (anzi, si spera) sia stato appoggiato lì per sbaglio. Ma dal basso è difficile avere una visione di insieme, per comprendere al meglio come si sta sviluppando questo progetto di riqualificazione, serve una visione dall’alto, quella che ha quotidianamente Paola Francesconi che su quella piazza ha le finestre di casa: «Da qualunque parte la si guardi, la piazza risulta morta e credo sia stata uccisa. Io abito qui dal 1992, nella casa che era dei miei nonni, conosco questa zona anche da prima e ricordo che in piazza c’erano le automobili, ma anche molti banchetti del mercato e quindi le persone. Ora domina il vuoto».
Difficile darle torto, ancor di più complicato è comprendere gli obiettivi del progetto. Stando ai comunicati ufficiali, si prevedeva la riqualificazione di Piazza Matteotti: «Al fine di trasformarla e rafforzarla come snodo urbano che relaziona non solo con il quartiere Europa Novacella, ma anche con l’intera città di Bolzano. I diversi ambiti della piazza oggi divisi tra loro saranno uniti attraverso una pavimentazione omogenea che permetterà una riconoscibilità dell’insieme e un uso multifunzionale dello spazio, come richiesto dalla cittadinanza nella fase preliminare partecipativa. Una lunga loggia coperta, definita da una sottile struttura metallica, specchierà il portico lungo via Milano sul fronte opposto della piazza facendo da filtro tra spazio pubblico urbano e quello residenziale del quartiere lungo l’Isarco. Il nuovo concetto del traffico elaborato per la piazza e l’arredo urbano permetteranno un’organizzazione flessibile degli eventi pubblici e di volano alle attività economiche della piazza. Per le aiuole che mascherano oggi l’accesso al parcheggio sotterraneo è prevista una trasformazione in un giardino rialzato. La piazza verrà completata con la ricollocazione del busto di Giacomo Matteotti e con una fontana» Tutti lavori che dovevano prendere il via a novembre 2019 e terminare a maggio 2020, poi a settembre 2020. Ora, a febbraio 2021, i cittadini si ritrovano solo due cubi con gli ingressi del garage sotterraneo. Rimandati, non si sa bene a quando, tutti gli altri lavori: il verde e, soprattutto, il pergolato che era il cuore del progetto, quello che doveva ospitare eventi. Al loro posto solo transenne e quel giardinetto rialzato che l’espansiva signora ha ribattezzato «canile».
Per Paola Francesconi il progetto era nato male, ma è finito peggio: «E’ una piazza e come tale predisposta per natura a ospitare mercati rionali, o a diventare uno dei salotti della città, sul modello di piazza Walther: bar, tavolini all’aperto e gente che chiacchiera. Al di là del progetto specifico, credo che l’errore di fondo sia stato quello di definire questa come zona periferica. Trattandola come tale, tutto quel che vi viene fatto è un ripiego. Ma è un errore, perché piazza Matteotti è uno dei centri della città. Si sarebbe potuto fare molto per ricostruire il tessuto sociale, penso per esempio ad un diverso sfruttamento dei fantastici cortili interni e i giardini delle case Ipes nei dintorni della piazza, ma anche ai negozi sfitti di proprietà dell’Ipes che potrebbero ospitare una biblioteca o altri centri culturali».
Paola Francesconi conosce Bolzano molto meglio di chi scrive, perché ci vive da più tempo e perché è una ciclista e la bicicletta, come ha spiegato il neuroscienziato David Marr, permette di conoscere le città molto meglio di chi utilizza altri mezzi di trasporto. Da flâneur nato altrove, però, sono molto più preoccupato dal tipo di città che emerge da progetti come questi. Piazza Matteotti sembra la brutta copia del quartiere Casanova, dove si cammina per strade che sembrano quelle di un «rendering», di un progetto di computer grafica senza vita. Nel caso di Piazza Matteotti è anche peggio, perché l’elaborazione grafica sembra essersi «impallata», come se per errore qualcuno avesse inserito nel progetto grafico due cubi di cemento troppo pesanti finendo per bloccare il software. Ma, appunto, non è solo una questione estetica, i progetti più in voga sembrano delineare una città ripulita dalle sporcature dell’esistenza umana. Da questo punto di vista è emblematica anche la vicenda relativa al Waltherpark di Benko, un progetto che ha avuto anche l’avallo popolare di un referendum stravinto da chi spera che possa rivelarsi uno strumento utile per cancellare il «degrado» che circonda la zona attorno alla stazione di Bolzano. Perché i “rendering” sono tranquillizzanti.
Ma come già descritto qui, il problema di Bolzano, soprattutto in periferia, sembra essere la mancanza di vita, non il degrado. Perché chi risiede nei quartieri dormitorio vuole tornare a casa per riposare in tranquillità senza il minimo disturbo, tutti pronti a chiamare i vigili al primo schiamazzo e a raccogliere firme se i più giovani, distrutti dalla noia, finiscono per “fare danni”. La politica invece di contrastare questi fenomeni, li incoraggia, limitando al massimo ogni rumore, aumentando i divieti nei giardini e nei cortili, riducendo al massimo gli orari per gli eventi e la musica dal vivo, preferendo, nei fatti, i silenzi da cimitero. Come se la vita fosse un continuo ciclo mortale di lavoro, consumo e rientro a casa con vista sui “rendering”. Dimenticando che le strade deserte e il silenzio sono perfetti per aumentare la paura.
(continua…)
Foto: Paola Francesconi
Massimiliano Boschi