Le visioni e i cortocircuiti della Biennale Gherdëina
La Biennale Gherdëina “Persones Persons“, visibile fino al 25 settembre prossimo tra Ortisei e diverse altri sedi in Val Gardena, è un’esperienza che richiede tempo, passi, ascolto, pazienza. Oltre a presentare le opere di ventiquattro artiste e artisti da tutto il mondo, la Biennale Gherdëina è un’esperienza a più dimensioni, composta anche da un fitto programma di incontri e performance, con canzoni, racconti, libri e aspetti intangibili che le curatrici Lucia Pietroiusti e Filipa Ramos definiscono “altri flussi di scambio”.
Un otto che è tutto un programma
Già quell’otto che segnala l’ottava edizione indica la strada: così come è riportato, orizzontale, fin dall’antichità è il simbolo dell’universo, della ciclicità della vita e, nell’archeologia sacra, difensore dell’equilibrio cosmico. Un equilibrio che nel concetto delle curatrici è declinato in termini di ecologia e sostenibilità, per cui la Biennale “prende in considerazione forme di personalità giuridica e non, della fauna e del paesaggio, chiedendosi come l’espressione artistica possa contribuire al riconoscimento dei diritti della terra..”
Insomma, con coraggio e candore la Biennale Gherdëina si lancia nella sfida – o nell’utopia? – di portare la sofisticazione e le suggestioni dell’arte contemporanea in un contesto di turismo sfrenato come quello della Val Gardena, parlando del futuro della terra.
Un concetto curatoriale in cui si legge il riflesso del pensiero della filosofa più popolare, punto di riferimento concettuale e must have nei circuiti dell’arte contemporanea internazionale degli ultimi anni, l’americana Donna Haraway (e in particolare del suo “chthulucene, sopravvivere su un pianeta infetto” uscito in Italia nel 2019). La studiosa prospetta la fine dell’antropocene, epoca geologica in cui l’ambiente terrestre è segnato dall’azione dell’uomo e invita a guardasi intorno, frenando la corsa in avanti, verso un fantomatico quanto distruttivo concetto di progresso.
Un pensiero nato ben prima della pandemia, della crisi delle materie prime, della siccità (e della tragedia della Marmolada), ma che oggi ha l’indubbio fascino di una visione profetica. Visione che però non offre soluzioni lineari, ma ragiona in maniera tentacolare, gioca con cortocircuiti poetici e sfida il linguaggio e quindi gli schemi mentali con nuove parole e metafore. Le stesse utilizzate della Biennale nelle didascalie e nei materiali informativi, che talvolta possono lasciare interdetto il pubblico.
Il percorso
La sfida affrontata dalla Biennale Gherdëina è faticosa e più o meno riuscita. Attraversando la strada Rezia a Ortisei, dove troviamo le prime opere nello spazio pubblico, è evidente: le installazioni di bandiere di Sergio Rojas Chaves, che ha lavorato sulla presenza della pianta Cycas revoluta nelle Dolomiti, impallidiscono come flebili segnali al centro nella strada, lambita da spumeggianti espositori traboccanti di souvenir alpini. Un destino non diverso tocca alle altre opere, come ad esempio il video dei Karrabing Film Collective “The Family and The Zombie” e alle sculture in porfido con i due fori-occhietti di Thaddäus Salcher – secondo la didascalia “a metà tra montagna e persona, scultura e roccia, personalità e astrazione”, ma su cui i turisti appoggiano bellamente le biciclette.
Più convincente invece la mostra nella Sala Trenker ospitata in un allestimento di grande pulizia formale (soprattutto se paragonato alla precedente edizione). Le pareti della sala riflettono la sofisticata identità grafica ideata per la Biennale Gherdëina dallo studio “hund” & Giles Round, capace di sublimare colori e architetture di Ortisei, a cui si ispira. Persone, animali e divinità sono i protagonisti delle poetiche opere a ricamo dell’artista Sami Britta Marakatt-Labba (presente anche alla Biennale di Venezia nel Padiglione Sami). E’ una sintesi visiva potente dell’incontro paradossale tra miti antichi e moderni l’opera “Ghost in the Machine” Jimmie Durham, con la dea greca Atena legata ad un frigorifero.
Nell’Hotel Ladinia – che conferma tutto il suo fascino di struttura alberghiera fatiscente – l’artista Giles Round gioca a confondere i turisti esponendo nella vetrina, con una grande scritta “Souvenirs”, i suoi oggetti creati con materiali di recupero ispirandosi alla mitologia delle Dolomiti e alla tradizione dell’intaglio del legno della valle.
Il vero “clou” della Biennale è però, a nostro avviso, Castel Fischburg, raggiungibile in pochi minuti di auto da Ortisei. Qui si ha la sensazione di entrare in un’altra dimensione: al centro dello storico cortile ci accoglie una fontana in cui scorre un’acqua di un blu troppo blu, inquietante e artificiale, del duo Revital Cohen & Tuur Van Balen. A vegliarla, la scultura di Pinocchio dell’altoatesino Bruno Walporth–lo sguardo e le spalle incurvate sotto il peso della disillusione, i piedi bruciati. In sottofondo si sentono versi e muggii, quasi un vociare: sono gli animaletti dell’esilarante animazione dell’artista lituana Lina Lapelyte. Fuggite dalle botteghe artigiane della valle – in cui spopolano- mucche e caprette cercano nuove libertà sui prati.
Lasciato l’incanto quasi mistico del cerchio magico di Castel Fischburg, troviamo un nuovo respiro nel percorso in Vallunga. A tu per tu con prati e montagne, si è chiamati all’ascolto dall’installazione sonora (alimentata da pannelli solari) del duo artistico Hylozoic/ Desire o a rannicchiarci dentro l’esotico fiore gigante (spatifillo) di Edouardo Navarro per ascoltare suoni e rumori dalla vallata.
E’ invece necessario prenotare per vivere pienamente l’opera “Sentiero” di Alex Cecchetti, un progetto basato sull’atto del camminare, che accompagna il pubblico attraverso incontri con persone non umane (piante, animali, minerali) e le loro storie.
Biennale Gherdëina
Fino al 25.09.2022
Per le location complete della mostra e il programma di eventi e workshop vedi qui
Immagine di apertura: Exhibition view – Sala Trenker di Ortisei (foto di Tiberio Sorvillo).
Caterina Longo