A Christina Antenhofer il "Women in Science Award": alla ricerca delle storie non raccontate

Con il “Research Award” e il “Women in Science Award” la Provincia di Bolzano premia annualmente chi ha ottenuto “risultati scientifici eccezionali e occupa una posizione riconosciuta nella comunità scientifica internazionale”. La cerimonia per il conferimento dei premi 2022 si svolgerà il 19 dicembre prossimo al NOI Techpark di Bolzano, ma nel frattempo i nomi dei vincitori sono già stati svelati: si tratta di Alfredo De Massis, docente di Management presso la Libera Università di Bolzano, a cui verrà conferito il “Research Award” e di Christina Antenhofer, docente di storia medioevale all’Università di Salisburgo, a cui verrà assegnato il “Women in Science Award”. Abbiamo raggiunto al telefono la storica, che vive a Innsbruck, per chiederle di raccontarci le particolarità della sua ricerca.

Antenhofer è una studiosa affermata. Originaria di Brunico, in Val Pusteria, ha studiato, tra l’altro, a Innsbruck e alla Sorbona di Parigi, e firmato numerose pubblicazioni scientifiche. Lavora a stretto contatto con colleghe e colleghi del mondo accademico tedesco ed italiano – “per me è come un unico, grande territorio storico interconnesso” ci dice. Ma soprattutto Antenhofer possiede una capacità rara negli specialisti del suo livello: riuscire a far vibrare di vita la storia e il passato quando racconta della sue ricerche. In particolare delle “sue” principesse, come le chiama. Si perché uno dei focus dei suoi studi è la storia delle donne e dei ruoli di genere, con una particolare attenzione a figure di nobildonne che tra il 14 e 15 secolo si sono mosse tra granducati e signorie dell’area nord italiana, per andare spose alle corti dell’area tedesca, come ad esempio Paola Gonzaga o Bianca Maria Sforza. “Forse anche per la mia storia personale, mi ha sempre affascinato il destino di queste donne che si sono trovate tra diverse culture. Ho scoperto che spesso hanno avuto un ruolo importante come ambasciatrici, mediatrici diplomatiche. Ma si sono anche trovate ad affrontare choc culturali, e non solo: possiamo immaginare cosa significhi trovarsi sposa in un paese straniero a 14 anni?” racconta Antenhofer, e continua “anche queste sono storie che meritano di essere raccontate e non solo quelle delle grandi battaglie”. Insomma, le ricerche di Antenhofer seguono la storia e le storie seguendo fili narrativi meno eclatanti, più fragili e privati rispetto a quelli delle grandi narrazioni ufficiali. Ma non per questo meno significativi.

“Certo è una ricerca che va a toccare anche la storia delle emozioni: quali strategie emozionali hanno sviluppato queste giovani donne davanti alle crisi? Come hanno affrontato la gravidanza, i lutti e le difficoltà?”. Donne, che, precisa “Sono note solo come dei semplici nomi, e non hanno avuto particolare attenzione dalle ricerche storiche. In realtà ci sono tantissime fonti conservate negli archivi tedeschi, ad esempio inventari dei Visconti, veri e propri tesori sfuggiti alla ricerca storica nazionale. Ma anche le lettere: le principesse arrivavano a scriverne molte al giorno. Ad esempio la corrispondenza di Paola Gonzaga vanta 800 lettere, mentre l’epistolario di Isabella d’Esta ne conta ben 300 mila”. Un tipo di fonte che negli ultimi vent’anni sta trovando nuovo interesse da parte della ricerca. Forse anche perché è cambiato il nostro sguardo “anche il nostro modo di comunicare è cambiato negli ultimi anni, la scrittura ha trovato un nuovo valore ed il digitale e la tecnologia hanno allargato le possibilità di studio di queste fonti” precisa Antenhofer.

Un lavoro, quello sugli archivi, capace di restituire dati preziosi, ma impossibili da tenere a mente e paragonare senza l’aiuto il supporto della tecnologia. “La scansione è un primo passo. Ma un grande aiuto viene anche dai software collaborativi per la trascrizione, che utilizzano l’intelligenza artificiale per “decifrare” la scrittura e i contenuti, come Transkribus. Ad esempio se guardiamo agli inventari, è possibile stabilire dei collegamenti tra un certo oggetto e l’attività ad esso collegata, e creare delle grafiche che visualizzano immediatamente le ricerche” spiega Antenhofer. Il lavoro sugli inventari è un altro punto cardine sua ricerca, che attualmente si sta dedicando a due nuovi progetti, sui “Burginventare” (inventari dei castelli) in particolare dell’area del Tirolo e della Festung Hohensalzburg.

Inventario è una parola che nell’immaginario comune associamo alla chiusura dei negozi ad inizio anno “chiuso per inventario”. Ma gli inventari – ovvero le liste di oggetti – stilati ad esempio in occasione delle nozze di principi e regnanti, come testimonianza della dote portata dalla sposa, sono fonti storiche preziosissime. “Non è solo l’oggetto di per sé ad essere interessante, ma anche l’attività legata ad esso (Agency der Dinge) , il rapporto che le persone avevano con quel determinato oggetto, i ruoli ad esso legati, anche nell’ambito delle relazioni familiari” precisa Antenhofer, che ha affrontato questi temi nella sua tesi di abilitazione (pubblicata in un doppio volume intitolato “Die Familienkiste. Mensch-Objekt-Beziehungen im Mittelalter und in der Renaissance”). Quando le chiediamo di raccontarci di qualche oggetto curioso trovato elencato tra negli inventari di nozze, la studiosa racconta ad esempio, di un orinale, ma d’argento di Bianca Maria Sforza, o degli 9 mila aghi da cucito. Tra gli oggetti più bizzarri una frustra d’argento – utilizzata forse per la penitenza, suppone la studiosa. Ma le donne portavano con sé anche libri, non solo religiosi e libri di conti, per la gestione di attività economiche, come Paola Gonzaga. Ci sono anche aspetti che vanno oltre la funzione immediatamente materiale degli oggetti: “Saremmo portati a pensare alla dote come bene da conservare gelosamente, invece nei confronti degli oggetti, anche i più personali, non c’era un atteggiamento di possesso geloso: gli oggetti del corredo venivano spesso donati per tessere relazioni sociali”. Inoltre, dalle ricerche ermerge come “Gli oggetti venissero riutilizzati, aggiustati, riciclati”. Approccio che alle nostre orecchie suona quanto mai moderno, nonostante i cinque e più secoli trascorsi- ma non è il solo. Nel suo percorso, Antenhofer ha messo a confronto gli inventari degli uomini con quelli femminili e ha stabilito che “In fondo non ci sono differenze eclatanti tra inventari femminili e maschili, a parte per un tipo di oggetto: le armi”. Ma questa è un’altra storia.

A questo link ulteriori informazioni sul percorso, le ricerche e le pubblicazioni di Christina Antenhofer.

Immagine in apertura: Christina Antenofer, foto Luigi Caputo

 

 

 

 

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