Sostenibilità e profitto sono compatibili? Serafeim e la scommessa del Purpose

Spostare l’asse dell’attività aziendale dal «cosa e come» al «perché», mettendo il «Purpose», ovvero lo scopo, il fine, al centro del proprio progetto imprenditoriale. È la lezione che ci si porta a casa dopo la lettura – e l’ascolto dal vivo, per chi c’era in Aula Magna a Unibz venerdì 16 dicembre – di George Serafeim e del suo «Purpose+Profitto. Come le aziende possono migliorare il mondo e veder crescere gli utili». Serafeim, professore di Business Administration alla Harvard Business School, ha dialogato con Massimiliano Bonacchi, professore di accounting a Unibz e direttore del competence center sulla sostenibilità, una struttura che dovrà supportare le aziende altoatesine nel percorso verso la misurazione della sostenibilità. Sì, perché il problema dell’Alto Adige che innova e produce, non appare tanto quello di avere un’attenzione particolare alla sostenibilità – che la maggior parte ha nel proprio Dna – quanto tradurla in numeri e comunicazione per trarne un vantaggio competitivo. Anche sul mercato dei capitali.

Quali vantaggi per le imprese locali

E’ stato questo il nodo al centro del dibattito che ha preceduto l’intervista a Serafeim. «Le aziende devono investire in sostenibilità non solo perché è doveroso, perché ce lo chiedono i consumatori di oggi e di domani, ma anche perché questo renderà più facile e conveniente accedere a strumenti finanziari e diventare attrattivi per i capitali», ha esordito Gianluca Pediconi, partner e portfolio manager di Momentum Alternative Investments. «Anche Cassa Depositi e Prestiti sta inserendo la valutazione della sostenibilità tra i criteri di valutazione per scegliere le aziende sulle quali investire» ha confermato, in rappresentanza degli investitori istituzionali, Angelo Cortese, direttore rischi di CDP Equity. A dar voce alle imprese altoatesine il vicepresidente di Assoimprenditori e ceo di Kofler&Rech Markus Kofler. «L’attenzione delle imprese alla sostenibilità – ha confermato – è molto alta: lo è perché siamo legati al territorio, perché ce lo chiedono i consumatori ma anche perché ce lo chiedono gli stessi collaboratori. In un territorio come il nostro, se le imprese non diventano attrattive per la Generazione Zeta sono destinate a scomparire per assenza di collaboratori. La natura familiare delle nostre imprese fa poi in modo che il ricambio generazionale sia esso stesso un motore di innovazione e attenzione su questi temi. Certo una difficoltà c’è: tradurre tutto ciò in documenti, parametri e bilanci di sostenibilità. Troppo spesso ancora diamo questi valori per scontati e autoevidenti». E invece, questa la testimonianza di Filippo Bocchi, direttore valore condiviso e sostenibilità del gruppo Hera, il bilancio di sostenibilità ha una funziona trasformativa all’interno dell’azienda. «Costringe a misurare, comunicare, porre obiettivi e tradurli in pratica. Fino a legare buona parte della retribuzione variabile ai raggiungimenti di questi obiettivi». Anche perché a breve il panorama regolamentatorio europeo e italiano renderanno obbligatorio certificazioni e bilanci di sostenibilità. «Il miglior modo per affrontare il tema – conferma Clara Cibrario, lead della Eu Sustainability Practice per Cleary Gottlieb’s – è quello di inserire nel proprio board persone con le competenze necessarie per guidarci verso questo percorso». La deadline che dobbiamo rispettare? «Ieri».

Serafeim, la neve, i mercatini e il destino del capitalismo

In una Bolzano affollata per l’ultimo weekend dei mercatini – che dire, della sostenibilità dei mercatini, anche quelli targati come green events? – in pieno crollo delle borse dopo l’annuncio di un ulteriore rialzo dei tassi, alla vigilia di un 2023 che si annuncia difficile, tenere la barra dritta sul tema della sostenibilità – che a molti rischia di apparire come un «nice to have» più che un «must have» – è stato un atto di coraggio e resistenza civile. La schiettezza e chiarezza espositiva di Serafeim, gli esempi portati, hanno fatto capire che bisogna cambiare strada: «Purpose is the destination, profit is the fuel». «Non confondiamo la destinazione con il mezzo, concentriamoci sul perché facciamo impresa, il cosa e il come vengono di conseguenza». Un messaggio forte, che tenta di tenere assieme un mondo eterogeneo fatto di sensibilità nuove e imprese che devono sapere rinnovarsi e farlo veramente. I prezzi di questa transizione sono evidenti per tutti, ma scenderanno. Una scommessa dal cui impatto dipenderà la sopravvivenza stessa delle aziende. Forse non solo.

Lu.B.

Foto di Arturo Zilli/Unibz

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