Silvia Pagliuca presenta "She leads", il libro sulla parità di genere nel futuro del lavoro
Quello di genere è uno dei tre gap che l’Italia deve recuperare se intende crescere, insieme a quello territoriale e generazionale. Il nostro Paese, infatti, è fermo al 63° posto su 146 Stati, in termini di disparità di genere per partecipazione economica, livello di istruzione, salute ed empowerment politico secondo il Gender Gap Report 2022 del World Economic Forum.
Ecco perché promuovere l’occupazione femminile incentivando la creazione di rapporti di lavoro equilibrati e stabili, rappresenta il punto di partenza per un futuro più sostenibile ed inclusivo. L’uguaglianza tra uomo e donna è possibile ed è una delle sfide poste dal Pnrr, che per interventi mirati alla rottura del famigerato “soffitto di cristallo” ha destinato una cifra pari a 3,1 miliardi di euro circa. Un cambiamento di direzione obbligatorio, sostenuto anche da un’altra importante misura: la Certificazione per la parità di genere, attraverso cui nel concreto le imprese si impegnano ad eliminare le disparità di genere nel mondo del lavoro e nella vita sociale, guadagnando in termini di crescita, inclusione e innovazione. È proprio in questo contesto che prende forma il libro “She Leads”: la parità di genere nel mondo del lavoro, scritto da Stefano Cuzzilla, Presidente Federmanager e 4.Manager insieme ad Andrea Catizone, avvocata sui diritti della persona e delle discriminazioni e a cura della giornalista Silvia Pagliuca, che mercoledì 17 maggio presenterà il volume a Bolzano, nella sede di Markas, in dialogo con la giornalista Anna Saccoccio, (evento riservato alle associate e associati di Assoimprenditori). Abbiamo raggiunto telefonicamente Pagliuca per capire, anche alla luce delle storie raccontate nel libro, quali dati, sfide e possibili strategie siano possibili per superare la disparità di genere nel mondo del lavoro.
Cosa vi ha portati a scrivere “She leads”?
She leads nasce su input del presidente di 4.Manager, ente bilaterale di Confindustria e Federmanager, Stefano Cuzzilla. La parità di genere è un impegno che ha sempre portato avanti: già nel 2019, ha introdotto nel CCNL per i manager un apposito articolo sulle pari opportunità, con attenzione all’equità retributiva; ha fatto sì che venisse divisa la malattia dalla tutela della maternità e paternità – una misura che ha un significato profondo anche di tipo sociale, oltre che contrattuale – e con il Gruppo Minerva di Federmanager, ha portato avanti numerosi progetti dedicati allo sviluppo della dirigenza femminile, sostenendone l’affermazione sulla base di criteri meritocratici.
Quali, secondo lei, i dati più importanti?
Primo tra tutti, quello che attesta che se più donne partecipassero al mondo del lavoro sull’Italia il PIL crescerebbe del 12%. A seguire, il fatto che attualmente in Italia lavora appena una donna su due e che a distanza di 5 anni dalla laurea una donna guadagna circa il 20% in meno. Questo enorme gap va ad ampliarsi ancora di più man mano che si fa carriera: in Italia, infatti, appena il 28% dei manager sono donne, così come soltanto il 18% dei dirigenti ed esclusivamente il 3% delle AD delle società quotate è donna. È chiaro quindi che il famoso soffitto di cristallo è ancora molto presente, e si fa sentire.
Oltre che di soffitti di cristallo, si può parlare anche di “pavimenti appiccicosi”?
Purtroppo sì. Le donne riscontrano problemi già nella fase di accesso al mondo del lavoro, poiché spesso vengono giudicate ancor prima di poter dimostrare il proprio valore. Questi pavimenti appiccicosi fanno sì che restino intrappolate in posizioni entry-level, limitando quindi la possibilità di un avanzamento concreto. In particolari contesti, come nelle discipline scientifiche, le risorse femminili si disperdono nel tempo: se dall’iscrizione fino alla laurea non vi sono particolari differenze tra uomini e donne, nei passaggi successivi la forbice si amplia sempre più.
Nel libro intervistate quattro donne straordinarie: esistono dei tratti caratteristici o delle abitudini che le hanno aiutate ad avere successo?
She leads vede protagoniste quattro donne: Mirja Cartia d’Asero, amministratrice delegata de Il Sole 24 Ore, Giusy di Foggia, amministratrice delegata di Terna, unica donna alla guida di una partecipata dello stato, Alessandra Genco, CFO Leonardo e Marina Migliorato, membro Cda Illy. Si tratta di quattro storie completamente diverse l’una dall’altra, che narrano una vasta gamma di background e settori differenti; nonostante ciò, esistono dei fili conduttori. Il primo è quello legato alla formazione e alla competenza: ciascuna di loro è estremamente preparata e ha mostrato grande impegno e sacrificio; il secondo è invece quello legato alla fiducia in sé stesse. Nel corso degli anni, hanno sviluppato una forte autoconsapevolezza che ha permesso loro di far riconoscere non solo i propri meriti, ma anche il diritto di ricoprire una determinata posizione lavorativa. Mi hanno raccontato che soprattutto questo secondo punto costituisce un limite per molte donne: spesso anche le ragazze dei loro team – seppur straordinariamente preparate – faticano ad alzare la mano, prendere voce e far valere il proprio impegno. Questo dimostra come la sindrome dell’impostore porti molte donne a voler fare un passo indietro e rinunciare più facilmente alla propria carriera, quando invece dovrebbero battersi e dimostrare il proprio valore ad ogni costo. Insomma, come detto prima sfondare il soffitto di cristallo richiede una serie di competenze importanti, e credo che le storie di queste quattro donne ne siano la prova, considerando anche che sono tutte mamme.
Quindi, come era prevedibile, la sfida più importante che le donne devono affrontare sul luogo di lavoro è quella legata alla maternità?
Assolutamente. La questione della maternità tocca tutte le donne per il semplice fatto di essere tali. Pur non essendo ancora madri, le donne che fanno un colloquio di lavoro per una determinata posizione – che magari richiede anche un certo grado di impegno e responsabilità – hanno una grandissima probabilità di essere superate da un candidato uomo, dal momento che quest’ultimo più difficilmente assenterà da lavoro. La prospettiva è ancora peggiore nel momento in cui si diventa effettivamente madri: secondo la Fondazione Moressa, sono circa 4 milioni e mezzo le italiane formate e con esperienza pregressa che hanno abbandonato il mondo del lavoro per stare a casa e prendersi cura dei figli o dei genitori anziani. E quando ciò non succede, nella maggior parte dei casi rientrano a lavoro con contratto part-time, rinunciando quindi in automatico a ruoli di responsabilità e stipendi più alti.
E fuori dall’Italia la situazione è la stessa?
Non proprio. I Paesi del nord Europa ci dimostrano che è possibile trovare delle formule
per far sì che i congedi parentali vengano presi anche dagli uomini, e il costo della genitorialità non ricada solo ed esclusivamente sulle donne come invece accade ancora in Italia. È una questione di strumenti e di normative: bisogna lavorare sugli asili nido e su tutti i sistemi di assistenza che possono arrivare dallo Stato.
Insomma, una situazione lose-lose.
Proprio così, si tratta di una situazione svantaggiosa sia per le donne che per le imprese. Ci troviamo in un momento in cui moltissime aziende sono alla ricerca di talenti e leadership equilibrate, inclusive e con determinati tipi di valori, ed è quindi importante per loro tendere le orecchie rispetto a questi temi e cominciare ad attuare strategie molto concrete. Escludere da determinati incarichi lavorativi una grande fetta della popolazione come lo è quella delle donne è assolutamente controproducente.
Ma quali sono nello specifico i cambiamenti che devono essere fatti per rendere i luoghi di lavoro più equi per le donne e favorire la loro ascesa a posizioni di leadership?
Alle aziende viene richiesto uno sforzo organizzativo in termini di welfare, di servizi: tra le possibilità, quella di avere delle Tagesmutter che in estate stiano con i bambini e le bambine mentre i genitori lavorano, concedere ai genitori – quindi sia ai padri che alle madri – una certa flessibilità oraria, non mettere riunioni in orari serali o prevedere degli incentivi per i papà che decidono di usufruire del congedo parentale. Insomma, è necessario fare un fortissimo lavoro culturale: infatti, anche avendo questi strumenti, spesso sono i padri stessi a non alzare la mano e a non richiederli, per paura di essere giudicati negativamente o venire additati come i “mammi”. Questo per dire: la parità di genere non si risolve parlando solamente di donne, ma estendendo il discorso anche agli uomini e munendosi di una serie di strumenti pratici basati su una questione culturale generale che sia il più trasversale possibile.
Vittoria Battaiola
Immagine in apertura: foto di Silvia Pagliuca