“Il mondo in casa” vs “Stranieri ovunque”
Nella prima intervista di questo speciale, quella ad Abdallah Chniouli, eravamo partiti da un dubbio preciso: quello che le politiche culturali degli ultimi anni, in Alto Adige, come nel resto d’Europa, abbiano allargato le disuguaglianze sociali invece di diminuirle, raggiungendo soprattutto quelli che ne hanno meno bisogno.
Oggi, al termine del lavoro, il quadro è decisamente più chiaro. È vero, le politiche culturali raggiungono più facilmente i giovani che ne hanno meno bisogno, ma la cultura, in senso ampio, continua a svolgere il suo fondamentale e indispensabile ruolo di emancipazione.
In sintesi, se con cultura intendiamo “quanto concorre alla formazione dell’individuo sul piano intellettuale e morale e all’acquisizione della consapevolezza del ruolo che gli compete nella società”, allora possiamo essere ottimisti.
Leggendo le interviste si comprende, infatti, come i libri, il teatro, l’università e lo sport svolgano ancora questa importante funzione sociale (sulla scuola il ragionamento si complica, ma non è questo il luogo in cui affrontare il tema).
Al di là degli obiettivi iniziali, quindi, le conclusioni non possono che essere valutate positivamente. In primis perché hanno evidenziato come i grandi cambiamenti sociali e tecnologici degli ultimi trent’anni abbiano permesso anche all’Alto Adige di sentirsi parte del mondo. Perché in provincia di Bolzano non si parlano due lingue, come ci viene ripetuto con una certa frequenza, ma almeno una dozzina. Non a caso, i ragazzi intervistati parlano tutti almeno due lingue, più spesso tre, qualcuno quattro. Per comprendere meglio il contesto può essere utile fornire alcuni dettagli.
Escludendo l’”intervista di gruppo” svoltasi all’interno della palestra della “Boxe Nicotera”, abbiamo intervistato dodici giovani, sette ragazzi e cinque ragazze. Due sono stranieri, una cinese e un francese, e dieci italiani. Tra questi ultimi, una è immigrata in Alto Adige da Salerno, Daniela Di Rizzi e due sono trentini, Rocco Ventura e Sara Hussein.
Gli altri sette italiani sono altoatesini, eccoli in ordine alfabetico: Meriem Akrache, Youssef Al Mourchid, Abdallah Chniuoli, Oumar Ka, Anxhela Kuka, Alan Perathoner, Samuele Tumler.
Evidentemente, abbiamo il mondo in casa e potremmo rallegrarcene, non fosse che la questione è decisamente più complessa.
Proprio mentre scriviamo queste righe, è stato comunicato il titolo dell’edizione 2024 della Biennale Arte di Venezia: “Stranieri ovunque”. Ecco, molti degli intervistati hanno sottolineato proprio questo aspetto. Il loro sentirsi “stranieri” ovunque. In Italia dove sono nati o cresciuti, ma anche nel luogo di provenienza loro o della loro famiglia. Convivono, quindi, con un senso di “spaesamento” che può risultare fastidioso e frustrante.
Fortunatamente, l’Alto Adige è da decenni la terra degli ”spaesati”, di chi non si sente padrone a casa propria. Almeno teoricamente, quindi, a Bolzano e dintorni si dovrebbe provare un istintivo senso di solidarietà verso questi ragazzi. C’è comunque una terra in cui tutti speriamo di abitare, quella in cui gli “spaesati” sono la stragrande maggioranza della popolazione: si chiama futuro.
Massimiliano Boschi
Immagine di apertura: foto Venti3