Hale: la prima clinica digitale per il dolore femminile
Vittoria Brolis e Gaia Salizzoni sono le cofounder di Hale, una startup con sede a Berlino che nasce per risolvere il problema diffuso e spesso sottovalutato del dolore genito-pelvico. Attualmente, una donna su quattro sperimenta dolore cronico nell’area pelvica, spesso a causa di endometriosi, vulvodinia o ipertono pelvico. Queste condizioni non hanno cause chiare e spesso nemmeno diagnosi o cure definitive; il dolore ha un impatto altissimo sulla qualità della vita delle pazienti e limita spesso la loro capacità di vivere a pieno la quotidianità, pregiudicando il loro benessere fisico, mentale e sociale. Purtroppo, sono ancora molte le donne che rimangono senza un supporto adeguato a causa di problemi strutturali: ricerca insufficiente sulle patologie, scarsità di specialisti, diagnosi e terapie limitate e costi a carico delle pazienti.
É proprio a partire da questi dati che Vittoria e Gaia, di 26 e 27 anni ed entrambe pazienti, hanno deciso di trasformare le loro esperienze negative in qualcosa di utile per gli altri. Vittoria – che raggiungiamo telefonicamente – spiega come è nata Hale, come si classifica sul mercato attuale europeo e quali sono i suoi obiettivi.
Lei ha studiato a Bolzano, mentre Gaia a Trento. Come vi siete conosciute?
Io e Gaia siamo entrambe cresciute a Trento e abbiamo giocato per diversi anni nella stessa squadra di pallavolo. Negli anni dell’università ci siamo perse, dato che io sono andata a Bolzano mentre lei è rimasta a Trento. Successivamente Gaia ha concluso una magistrale in Management dell’innovazione sempre a Trento ed ha lavorato in diverse startup, mentre io ho studiato Imprenditorialità e Innovazione a Unibz e sono stata project manager per BASIS, in Alto Adige. Siamo tornate in contatto dopo diversi anni attraverso amicizie in comune, che conoscevano le nostre storie cliniche simili.
La scelta della persona con cui lanciare un business è spesso complessa e delicata: come avete capito di essere un buon duo?
Io e Gaia condividiamo storie di anni senza diagnosi e terapie inefficaci. Inoltre, abbiamo entrambe un background accademico in ambito economico e sociale, che ci ha dato gli strumenti giusti per lanciare questo progetto di business. Credo che la combinazione di questi due fattori abbia permesso di costruire un rapporto di fiducia reciproca, che ha alla base valori e ideali condivisi.
Quando è nato Hale e da quali esigenze?
Hale nasce nel 2021, in seguito alla realizzazione di non essere le uniche a soffrire di queste patologie e alla volontà di contribuire ad arginare il disagio e la solitudine di chi ne soffre. Dalla condivisione delle nostre – e di altre – testimonianze ha preso vita una community Instagram molto unita, che risponde all’esigenza di informare, sensibilizzare e condividere esperienze personali riguardo al dolore pelvico cronico e come questo influenza la quotidianità di chi ne soffre. I primi finanziamenti da parte delle Politiche Giovanili di Trento ci hanno aiutate a partire, poi da lì abbiamo cominciato a raggiungere un pubblico abbastanza ampio grazie ai social. A giugno del 2022 siamo ufficialmente approdate a Berlino, grazie ai finanziamenti dello Startup Incubator Berlin.
Da dove il nome?
Hale deriva dal termine inglese “exhale”, ovvero “espirare”, perché vogliamo che tutte le pazienti che approcciano la nostra community si sentano capite e possano finalmente tirare un sospiro di sollievo.
Qual è la missione principale di Hale e quali obiettivi state cercando di raggiungere nel contesto dell’innovazione sociale?
I nostri obiettivi principali sono rompere il tabù sulla salute femminile e soprattutto dare soluzioni concrete a chi oggi soffre e prova dolore. Inoltre, vogliamo supportare la medicina di genere sia nei confronti di queste condizioni che in generale; attualmente, infatti, soltanto l’1% della ricerca e dell’innovazione in campo sanitario è investito in condizioni specifiche dei corpi femminili, al di là dell’oncologia. Questo si traduce in mancanza di conoscenza e formazione, tempi di diagnosi estremamente lunghi e grossi disagi per le pazienti. La nostra lotta quotidiana per provare a raggiungere questi obiettivi ci ha fatto vincere il premio del pubblico come miglior impresa sociale del 2022 offerto dalla Banca europea per gli investimenti.
E come mai Hale ha sede a Berlino?
La scelta ricade sulle possibilità che la Germania offre non solo per il bacino di mercato, uno dei più grandi in Europa, ma anche perché il Paese assume una posizione anticipatrice nel settore del “digital health” cosa che invece in Italia fa ancora fatica a prendere piede. Riconosce infatti pratiche digitali come supporto alla medicina tradizionale, regolando l’utilizzo delle nuove tecnologie in ambito medico anche all’interno del sistema sanitario nazionale. Inoltre, in Germania è più sdoganato il tema del dolore pelvico cronico e si riscontra in linea generale un’apertura in più a parlare di problemi legati alla sfera sessuale e affettiva rispetto all’Italia. Nonostante ciò, in Germania come nel resto d’Europa resta ancora una grande sfida far conoscere il problema e le tematiche ad esso relative a chi non ne è direttamente interessato, a partire dai possibili finanziatori.
Secondo lei, nel mercato attuale quanto spazio c’è per progetti sociali di questo tipo, dedicati al dolore femminile? Si tratta ancora di una piccola nicchia o le cose cominciano – finalmente – a smuoversi?
Credo che si stiano iniziando a muovere tante carte. Hale fa parte dell’industria del FemTech, tecnologia applicata per la salute femminile (Female Technology), un settore ancora abbastanza piccolo ma che sta crescendo molto rapidamente. Si tratta sicuramente di un trend, dato che i finanziamenti alle imprese in questo settore hanno raggiunto 2,5 miliardi di dollari nel 2021. Finalmente si comincia a riconoscere la differenza tra corpi
femminili e maschili, e proporre soluzioni differenti in base alle esigenze.
Recente la notizia della chiusura di un round di 350 mila euro in finanziamenti pre-seed, guidato da Exor Ventures. Siete soddisfatte del risultato? Come saranno investiti i fondi raccolti?
Assolutamente sì, riuscire ad ottenere dei finanziamenti in questi mesi impegnativi per l’imprenditoria italiana è stata una grande soddisfazione. È stata un’ulteriore conferma del potenziale di Hale e del suo team, che è una parte fondamentale di tutto il progetto; direi che essere affiancati da persone competenti e capaci è il nostro punto forte nel processo di sensibilizzazione e divulgazione. I fondi raccolti saranno utilizzati per allargare il team e supportare l’espansione futura.
Il vostro obiettivo è quello di diventare la prima clinica digitale per il dolore femminile: in che modo volete farlo? Cosa comporterebbe ciò per la vita delle pazienti?
Il primo passo è una nuova applicazione per smartphone che vuole essere un sostegno nella gestione della patologia. Abbiamo avviato uno studio in collaborazione con un istituto di ricerca di Berlino con il quale verificheremo l’efficacia della nostra app. Questo costituisce un importante punto di riferimento per le pazienti, che sono effettivamente guidate in un percorso di comprensione, accettazione e gestione della patologia. Gran parte delle terapie per la gestione di queste problematiche viene affrontata per il 99% del tempo da sole, ed è proprio qui che interveniamo noi. Anche perché – ed è importante ribadirlo – il 26% della popolazione femminile soffre di queste patologie che sono sotto studiate e quindi necessitano urgentemente di soluzioni.
In conclusione, in che modo sente che il suo background – sia in quanto paziente che dal punto di vista accademico – abbia influenzato il suo modo di portare avanti questo progetto?
Avere delle skills imprenditoriali e abbinarle a un trascorso da paziente ha permesso a me e Gaia di lanciare un progetto che partisse dalle esigenze di chi soffre, proprio perché noi in primis ci siamo passate. Personalmente mi porto dietro tutte le esperienze che ho fatto in diversi ambiti nel creare comunità online e benessere grazie al digitale.
Vittoria Battaiola
Immagine in apertura: Vittoria Brolis (a sinistra) e Gaia Salizzoni (a destra)