Da Grumo Nevano all'Australia e ritorno, intervista allo chef Eugenio Mollo
“Per me la cucina è un’ossessione, posso pensare ad un piatto per giorni e giorni” ci racconta Eugenio Mollo, giovane cuoco campano che da Grumo Nevano, piccolo paese in provincia di Napoli ha girato, fin da giovanissimo, mezzo mondo come chef in ristoranti stellati e alberghi di lusso, ma non solo: perché definirlo solo come un eccellente cuoco sarebbe riduttivo. Mollo ha infatti una passione instancabile per la ricerca e la sperimentazione, con un’attenzione concreta alla sostenibilità. Quando ci parla della sua cucina si entusiasma raccontando del foraging, della frollatura della carne a ultrasuoni, del Tempeh e del forno a carbone “che è calore, quasi primordiale”, ci racconta. Lo incontriamo in un momento di pausa al ristornate Nostro Bistro di via Palermo, di cui è lo chef. E’ appena tornato dai boschi di Renon, dove ha raccolto funghi con i suoi ragazzi. Iniziamo da qui, cercando di capire cosa ha portato il giovane chef da Grumo Nevano a Bolzano, passando per l’Australia.
Come è arrivato in Alto Adige?
Dopo la scuola alberghiera a Formia non mi sono più fermato, ho studiato scienze e tecnologie dell’alimentazione a Parma, poi ho fatto delle stagioni d’Elba e da lì a Londra. Sono rientrato poi in Italia per amore, a Torino, e poi a Venezia… ho lavorato in ristoranti stellati e ho trascorso anni bellissimi. Poi c’è stata l’Australia. A Bolzano sono arrivato un po’ per caso, ho lavorato come chef executive in grande albergo della città, poi mi sono preso un anno sabbatico e ho fatto un periodo nella tenuta vinicola di Alois Lageder, dove mi occupavo di ricerca e sviluppo di prodotti per la ristorazione del personale.
Una cosa molto diversa rispetto alle cucine dei grandi alberghi stellati.
Si, sono passato in un mondo completamente diverso, da Lageder ho potuto sviluppare la passione per il cibo in generale e non solo per la cucina – il suo concetto legato all’agricoltura biodinamica è molto profondo e parte dall’amore per la natura e verso tutto ciò che ci circonda. Il che significa niente prodotti standard, qualità e rispetto verso il cibo – è un concetto che porto con me anche al Nostro Bistro. E poi mi interessa molto l’innovazione, guardando a tecniche del passato cadute in disuso per riportarle ai giorni nostri.
Ad esempio?
Mi piace praticare il foraging, la raccolta di erbe spontanee e poi riscoprire tecniche perse nel tempo e da luoghi da lontani, ad esempio la fermentazione, nata quando non esistevano i frigoriferi e si salava o essiccava per conservare. Porto con me le esperienze dei paesi che ho visitato e che mi piace far risuonare nei piatti, ad esempio in Indonesia ho scoperto il Tempeh che si ottiene dalla fermentazione dai semi di soia gialla ed è simile al tofu, ma ha sfaccettature molto intense ed è una buona alternativa alla carne.
Ma riesce a mettere sempre in pratica questo modello di sostenibilità anche nel ristorante?
Cerco di dare la massima attenzione al prodotto, anche nel modo di trattarlo e di essere più sostenibile possibile, e di trasmettere la passione per il cibo, far passare nel piatto che serviamo anche un’emozione. Cerchiamo di utilizzare i prodotti dai piccoli contadini, ad es. sono andato a cercarmi i produttori locali di formaggio e verdure e naturalmente la carne, la prendiamo da un macellaio che utilizza solo animali dell’Alto Adige. Insomma, ho cercato di creare un “cerchio di alleanze” guardando alla stagionalità e alla prossimità.
Eugenio Mollo, chef presso “Nostro Bistro”. Foto Vittoria Battaiola
Però sono tipi di prodotti non proprio economici, nonostante siano a “chilometro zero”..
Sì, questi cibi hanno incidenze più alte, ma vede la qualità non è la stessa perché il contadino non standardizza -anche se e a volte questo non è semplice da spiegare ai clienti. Ad esempio, gli animali che vengono dalla grande distribuzione sono fermi, bloccati e non sviluppano muscolo e quindi la loro carne è più tenera. La carne che utilizziamo noi invece viene da animali che stanno all’aperto ed è più tenace, più dura, ma anche più saporita perché gli animali fanno una vita più sana, sono stati al pascolo. Per frollare questo tipo di carne ho studiato un metodo con gli ultrasuoni, che applico nella mia cucina.
Ultrasuoni in cucina?!
Grazie a studi americani si è scoperto che la frollatura attraverso ultrasuoni riesce a dare in poche ore il risultato di dieci giorni di frollatura secondo i metodi tradizionali; quindi, è molto meno dispendiosa dal punto di vista economico, ma anche più sostenibile. In base a questo sistema c’è anche meno spreco di carne. E’ un aspetto a cui tengo molto, ad esempio per me è un’assurdità mangiare solo filetto, c’è tutto il resto dell’animale da utilizzare
Una cosa a cui non siamo più abituati…
Sì, ma importante utilizzare l’animale intero, dalla zampa al muso al fegato, con la testa poi si fanno stracotti come i salumi; qui proponiamo ad esempio anche la trippa fritta. E poi utilizzo molto pesce azzurro, come le alici, sempre pescato del giorno. Un’altra cosa a cui tengo è il forno a carbone: un prodotto cucinato così ha un sapore totalmente diverso, è molto più intenso. Il carbone è calore, è quasi primordiale, quindi porta sapori diversi da rispetto a una padella o una griglia.
Il forno a carbone, la fermentazione, gli ultrasuoni… lei non si stanca mai di sperimentare a quanto sembra.
Si ho fin troppe idee, a volte i ragazzi che lavorano con me ne risentono, mi insultano! (risata)
Lei sembra molto attento e preciso… è un perfezionista?
Maah, può essere, non mi definirei così, ma dicono che sono un po’ un rompi … (nuova risata) È che la mia è una passione, un’ossessione, non smetto mai di pensare a un piatto, anche per giorni.
E quando nasce questa ossessione per la cucina?
Da piccolo, a sei anni davo una mano a mia nonna a fare le pastiere e la pasta fresca… è tutta la vita che faccio questo.
Però non si considera solo un semplice chef.
Ho due anime, a volte contrastanti, quella del cuoco e poi c’è l’aspetto di ricerca sul prodotto, non sempre vanno d’accordo. Ad esempio, sto studiando dei progetti di autoproduzione, per far crescere il ristorante in modo sostenibile. Ci sono diversi step burocratici da fare, ma mi piacerebbe lavorare alla coltivazione di funghi e realizzare una serra idroponica, una coltura senza terreno, solo sull’acqua.
Tornando ai suoi spostamenti nel mondo, cosa ama di più dell’Alto Adige?
È la prima volta che mi fermo così tanto in un posto, sono qui da cinque anni. Ero venuto per amore e poi ho scelto di restare, mi trovo bene, in tutti i posti in cui sono stato era molto frenetico. Qui c’è un contatto con la natura che a me piace tanto, vado matto per la raccolta fughi. La natura qui si respira, è la cosa che amo di più di questo posto.
Il suo piatto preferito?
La parmigiana!
Dulcis in fundo: cosa propone come dessert?
Offro una lista di dolci che va da un classico senza tempo come il tiramisù a piatti più elaborati e fantasiosi, sto studiando un abbinamento tra rapa rossa, cioccolato e mandorle che vorrei proporre in una forma che ricorda un quadro famoso su un foglio di riso…
Quindi le interessa anche l’arte?
Si, nel tempo libero amo molto dipingere.
Finiamo l’intervista pensando ad un noto detto di Walt Whitman: “sono vasto, contengo moltitudini”
Caterina Longo
Immagine in apertura: Eugenio Mollo mostra finferli appena raccolti. Foto redazione Alto Adige Innovazione