AppleCare, il progetto per curare l’allergia con le mele
Per molti, la fioritura della betulla indica il via ad un periodo di sofferenze, e non è un caso che oltre il 70% di chi è allergico al polline mostri reazioni quando consuma determinati tipi di frutta, soprattutto le mele. Ciò avviene perché il sistema immunitario “confonde” la mela con il polline della betulla, e innesca i classici sintomi dell’allergia. Il progetto di ricerca AppleCare è partito da questa reazione incrociata per sviluppare un’immunoterapia alternativa: i partner Centro di Sperimentazione Laimburg, l’Ospedale di Bolzano e l’Università di Innsbruck hanno voluto scoprire così se fosse possibile trattare l’allergia ai pollini di betulla attraverso il consumo di mele. L’idea è nata da una collaborazione tra Klaus Eisendle, primario del Reparto di dermatologia dell’Ospedale di Bolzano e Thomas Letschka, che dirige il settore di genomica applicata e biologia molecolare presso il Centro di Sperimentazione Laimburg e che abbiamo intervistato per farci spiegare meglio il progetto, il suo scopo e i risultati ottenuti.
Come e quando è nato il progetto?
Si tratta innanzitutto di un progetto di ricerca triennale, che si è svolto dal 2017 al 2019. Tutto è nato un anno prima, nel 2016, quando al Centro di Sperimentazione Laimburg abbiamo ricevuto una chiamata da parte di Klaus Eisendle, primario del Reparto di dermatologia dell’Ospedale di Bolzano. Ci disse di aver osservato reazioni molto simili tra i pazienti che soffrivano di allergia al polline di betulla e quelli allergici alle mele, e di voler approfondire questo fenomeno in un progetto di ricerca specifico. Noi abbiamo aderito immediatamente alla proposta, e successivamente abbiamo coinvolto anche l’Istituto di Chimica organica dell’Università di Innsbruck e la Clinica universitaria per dermatologia, venereologia e allergologia di Innsbruck.
Si tratta di un’allergia molto diffusa in Europa?
Non ci sono dati certi, dal momento che non tutti si sottopongono al prick test, l’esame allergologico che consente di formulare una precisa diagnosi di allergia. Tuttavia, sappiamo che in Europa Centrale una persona su cinque soffre di allergia ai pollini e ogni anno si registra un chiaro incremento di questa percentuale, anche nel Tirolo e in Alto Adige. Solitamente, per effettuare una terapia di iposensibilizzazione efficace contro l’allergene del polline della betulla Bet v1 – una delle allergie più diffuse – i pazienti devono assumere l’allergene in forma di preparato sintetico su base settimanale o mensile per diversi anni, al fine di abituare il proprio sistema immunitario. Se l’iposensibilizzazione avviene invece attraverso il semplice consumo di prodotti alimentari, i vantaggi per il paziente sono immensi.
Lo scopo era dunque quello di trovare una nuova terapia per trattare l’allergia ai pollini?
Esattamente, ma prima era necessario verificare le ipotesi del Dottor Eisendle. Dopo diverse fasi di ricerca, abbiamo potuto confermare che gli allergeni della betulla Bet v1 e della mela Mal d1 presentano forti omologie e causano nel sistema immunitario dell’uomo una reazione incrociata, che si manifesta attraverso gli stessi sintomi. Da questi dati, l’idea che fosse possibile curare l’allergia al polline attraverso l’ingestione controllata di una giusta dose di mela.
Insomma, allora è vero che una mela al giorno toglie il medico di torno! Quali sono i risultati di questa ricerca?
Oltre ad aver creato un database interregionale di pazienti allergici, sono state testate e classificate diverse varietà di mele (moderne, antiche, resistenti) per il loro potenziale allergenico, così da averne una selezione che sia quanto più possibile adatta non solo per una dieta ipoallergenica, ma anche per una forma di terapia persistente. Più precisamente, è stato definito un protocollo per questa “terapia della mela”, che prevede un inizio con il consumo della varietà poco allergenica Red Moon® per un periodo di 3 mesi, passando poi alle varietà mediamente allergeniche Pink Lady® o Topaz per altri 3 mesi e infine alla varietà fortemente allergenica Golden Delicious per almeno 3/4 mesi. In questo modo, nell’arco di una decina di mesi è possibile abituare il sistema immunitario dei pazienti agli allergeni della betulla e della mela e contrastare così i sintomi.
In che modo AppleCare ha impattato positivamente sulla comunità locale?
A distanza di un paio di anni, questa terapia è ancora raccomandata ed è disponibile nelle strutture mediche di riferimento per chiunque sia interessato. Chiaramente i vantaggi per i pazienti sono molti: essi, infatti, non devono più ricorrere alla terapia di iposensibilizzazione su base settimanale o all’assunzione di antistaminici (spesso a base di cortisone e con molteplici effetti collaterali sull’organismo), ma possono “curarsi da sé” semplicemente acquistando e mangiando una mela.
Quali tecnologie o metodologie innovative sono state adottate per effettuare le analisi e sviluppare la terapia?
Dal momento che i quattro enti collaboranti si occupavano di cose differenti, gli approcci alla ricerca differivano parecchio gli uni dagli altri. In ospedale hanno svolto test clinici di routine come prick test e anali del sangue, mentre qui a Laimburg abbiamo condotto uno studio genetico e molecolare sulle diverse varietà di mela. Più precisamente, attraverso la risonanza magnetica abbiamo scoperto molto sulla struttura tridimensionale dell’allergene e abbiamo analizzato come questa cambia nel momento in cui entra in contatto con il sistema immunitario.
Come si sono svolte le fasi di test del trattamento?
Dopo aver lanciato un appello in Alto Adige e nel Tirolo, abbiamo iniziato con 52 pazienti, che si sono sottoposti al prick test sulla pelle. Per le fasi successive della ricerca, soltanto 22 di questi hanno voluto proseguire e sottoporsi alla “terapia della mela” con costanza e dedizione. Nell’arco dei mesi, sono rimasti in 16, dal momento che altri sei hanno dovuto interrompere il test per motivi personali come gravidanze o altro. Alla fine, quindi, la “terapia della mela” è stata testata su 16 pazienti, tutti con risultati positivi. Trascorsi i nove mesi di terapia previsti dal protocollo, infatti, diverse varietà di mele e anche altri tipi di frutta e verdura come ciliegie, kiwi, meloni, arachidi o carote, sono risultate più facili da tollerare. Durante le fasi di test che si sono svolte in primavera, i pazienti hanno sofferto decisamente meno del polline di betulla, mostrando meno sintomi allergici durante il periodo della fioritura.
Quali sono state le principali sfide?
Credo che la difficoltà principale sia stata reclutare volontari che contribuissero allo studio. Le prime fasi, quelle di analisi orali e sulla pelle, non sono impegnative, mentre quelle successive di test della terapia richiedono impegno e costanza. È necessario mangiare ogni giorno la quantità e la tipologia di mela prescritta, indipendentemente da dove ci si trova, e in pochi decidono di intraprendere questo percorso.
Il progetto AppleCare prevede ulteriori sviluppi in un prossimo futuro?
Sicuramente. Consideriamo il lavoro svolto finora soltanto un inizio, una sorta di “pre-test”, dal momento che sedici pazienti non sono sufficienti per avere dati certi sul lungo termine. Ci piacerebbe trovare nuovi finanziamenti e coinvolgere altri ospedali nel resto del Nord Italia e dell’Austria.
Vittoria Battaiola
Immagine in apertura: foto di © Laimburg Research Centre/ivo