Alzheimer: molta libertà, grande attenzione, meno psicofarmaci. L'esempio di Marl (D)
Marl, Germania. “Non può funzionare, finirà male”. Questo pensa la maggior parte delle persone quando sente come funziona la Gammel-Oase* alla casa di riposo Julie-Kolb a Marl, in Germania. In questo speciale reparto gli ospiti, persone con demenza in stadio avanzato, possono gestire liberamente la loro vita quotidiana: fare colazione alle tre di notte e dormire tutta la mattina, o mangiare all’ora che preferiscono, ad esempio. Perché, al contrario di quello che avviene normalmente, nella Gammel-Oase non è il paziente a doversi adeguare ai ritmi e agli obblighi della struttura, ma viceversa. “E’ un approccio estremamente radicale” ci spiega Christian Löbel, responsabile del reparto, che raggiungiamo in video-chiamata. “Il metodo ci è stato proposto dal dottor Stephan Kostrzewa, sociologo e infermiere geriatrico con una lunga esperienza alle spalle, che si è chiesto come si potesse migliorare concretamente il benessere delle persone con demenza. Da tempo sentivo il bisogno di un cambiamento, e abbiamo detto: proviamo”. Era il maggio 2023 e, a poco meno di due anni dall’introduzione di questo concetto “alternativo” – ma forse semplicemente solo molto umano, nel febbraio prossimo è in programma l’apertura di una seconda Gammel-Oase all’interno della stessa casa di riposo.
Insomma, l’esperimento basato sul metodo Kostrzewa può dirsi riuscito?
Si, funziona, e per questo vogliamo estendere al Gammel-Oase. Un primo grande segno tangibile è che è stato possibile ridurre drasticamente gli psicofarmaci, portandoli alla dose minima e addirittura eliminarli del tutto nella maggior parte dei nostri pazienti. Nel nostro tipo di struttura gli psicofarmaci vengono prescritti con facilità – basta che un ospite abbia un accesso d’ira. Ma avendo eliminato le “correzioni” questo tipo di comportamenti non emergono più.
Cosa intende per “correzioni”?
Uno dei nostri principi guida è eliminare quello che chiamiamo herausfordendes Verhalten (comportamento sfidante), una fonte stress e conflitto per le persone con demenza, che si sentono correggere in continuazione per i loro comportamenti. Una situazione esasperata dal fatto che spesso i pazienti con demenza si trovano nello stesso reparto con quelli orientati, ma con limitazioni fisiche, che li riprendono: “Non si mangia così, dai prendi le posate in mano, perché mangi mettendo le dita dentro la torta?” …queste continue correzioni, il sentirsi continuamente sbagliati, porta a “sbroccare” e avere accessi di rabbia.
Ma i comportamenti “strani” sono spesso il motivo per cui è difficile gestire le persone con demenza… come li affrontate?
Se ad esempio la persona sparge la minestra sul tavolo, non diciamo mai “no questo è sbagliato” ma la lasciamo fare e non ripuliamo il tavolo davanti a lei, ma aspettiamo, ad esempio, che vada in bagno. Sono piccole cose attraverso cui è possibile gestire molto meglio le correzioni.
Una bella sfida, per voi, ma anche per i parenti immagino. Ci sono state difficoltà a mettere in pratica quotidianamente questo concetto?
Si e ci sono ancora. Ad esempio, la scorsa settimana un signore ha trovato dei cosmetici in bagno e si è truccato…quando la figlia è venuta a trovarlo era fuori di sé. Ma per lui truccarsi è un’occupazione e perché non dovrei lasciarglielo fare? Ho parlato con la figlia e le ho spiegato la situazione: se lui sta bene così che problema c’è?
Insomma, lei prova a rovesciare il punto di vista.
Di fronte a certe situazioni, la domanda che pongo ogni giorno ai miei collaboratori e alle mie collaboratrici è: questo comportamento è un problema del paziente o un problema tuo, perché magari non riesci a sopportare certe cose? E nella maggior parte dei casi la risposta è : sono io ad avere un problema, come possono gestirlo meglio?
Oltre a lasciare la massima libertà non fate nulla per “stimolare” i vostri ospiti o almeno intrattenerli?
Nelle case di riposo in genere sono obbligatori dei piani settimanali in cui nel giorno tot si fa ginnastica, in quell’altro si canta etc.. da noi tutto questo non esiste. Certo, diamo impulsi, ad esempio dei collaboratori si siedono sul divano e iniziano a cantare, e chi vuole si aggrega. È diverso che obbligare tutti a mettersi in centro e battere le mani per forza.
Non avete paura che si annoiano?
Ho diversi ospiti che non vogliono partecipare a nessuna forma di attività. Per loro semplicemente osservare con attenzione quello che succede è l’occupazione di cui hanno bisogno. Perché non dovrebbe esserlo?
Un momento nella Gammel-Oase. Foto Stephan Kostrzewa
Ci sono state situazioni di pericolo?
Si, sicuramente. Ma qui entrano in gioco quelle che chiamiamo le Verstehen Hypothesen, le ipotesi per capire il perché di un certo comportamento. Ad esempio avevamo un ospite che ad una certa ora andava al cassetto delle posate e prendeva un coltello, e ci andava in giro. Alla fine, abbiamo capito che semplicemente perché era abituato a mangiare una mela ogni giorno a mezzogiorno. Ora gli diamo la sua mela e lui è soddisfatto.
Da voi le porte sono aperte e ognuno può lasciare la struttura quando vuole…anche questo è un pericolo.
È successo spesso che la polizia ci abbia riportato degli ospiti, ma anche in questo caso cerchiamo di chiederci perché quella persona lascia continuamente la struttura. Un ospite mi ha detto, dopo settimane: io scappo da me stesso, perché sento che qualcosa non va. Un’altra vuole andare dai suoi genitori e noi la accompagniamo, fa una passeggiata e la riportiamo, e tutto va bene. Un altro ancora fa sempre lo stesso giro intorno all’edificio e vuole andare da solo: non vuole essere accompagnato perché si sente come un cane al guinzaglio, ci ha detto.
Insomma, non ci sono obblighi?
Naturalmente abbiamo dei confini ben chiari, ad esempio i medicinali devono essere somministrati, le ferite medicate. Ma anche qui, non facciamo mai nulla con la coercizione, ad esempio se io non riesco a somministrare la medicina lascio che sia un mio collega a provarci, magari ha un rapporto migliore con la persona…
Sicuramente però questo sistema è una grande sfida per il personale…
Vorrei sottolineare che, a parte la notte, in cui abbiamo due rinforzi, noi abbiamo lo stesso identico personale di altre strutture, solo lo pianifichiamo in modo diverso. E si, è un grande lavoro perché chi è abituato a lavorare nelle strutture classiche con ritmi regolati fa fatica da noi, perché ci orientiamo il più possibile sui bisogni del singolo. Per assurdo, è più facile per il personale che non è influenzato da esperienze precedenti e che noi formiamo qui.
Un momento particolarmente bello che ha vissuto nella Gammel-Oase?
Ne ho tutti i giorni altrimenti non ce la farei… in particolare ho in mente una paziente che era già stata ospite in due strutture e non si era trovata bene per niente, i parenti erano disperati e noi eravamo l’ultima spiaggia… abbiamo ridotto gli psicofarmaci e la figlia è venuta da me e mi ha detto “mia madre è come era prima”.
Caterina Longo
*letteralmente “Oasi del riposo, del cazzeggio”. Ma, ci spiega Christian Löbel, in questo caso “gammeln” è inteso nella sua radice protogermanica “gamana” nel significato di divertimento, gioco, piacere.
Immagine in apertura: impressioni dalla Gammel-Oase di Marl © Stephan Kostrzewa