"Se mi succede qualcosa cosa faccio?". Essere anziani e soli in Alto Adige
Bolzano. “Se mi succede qualcosa che faccio? C’è qualcuno che mi aiuta?” è una domanda che chi è anziano prima o poi si pone e che in Alto Adige tocca teoricamente oltre 98 mila persone: tanti sarebbero infatti, secondo l’Astat (Istituto Provinciale di Statistica) gli anziani nel 2023, ovvero il 18% della popolazione altoatesina – numero destinato ad aumentare arrivando a circa 150mila, ovvero il 25% della popolazione nel 2040. Il dato non è nuovo: la popolazione invecchia, ma non solo. Sempre in base ad uno studio Astat il 31% degli anziani vivrebbe da solo.
“Essere da soli non significa necessariamente essere un caso sociale, bisogna valutare bene la componente soggettiva e oggettiva della situazione, se la solitudine è vissuta come sofferenza o meno. Detto ciò, in base a quanto ci dicono le associazioni e i distretti sociali, un problema di solitudine c’è, penso più nelle città che nei paesi, in cui va meglio. Abbiamo anziani che abitano sui masi sparsi molto alti, che non si sposterebbero mai e sono felici così” ci spiega Brigitte Waldner, direttrice dell’Ufficio anziani e distretti sociali della Provincia di Bolzano. “Perciò stiamo avviando con la Caritas un progetto per scoprire gli anziani isolati nei paesi e poterli attivare, soprattutto quelli poco mobili, insegnandogli ad utilizzare skype e video call per mettersi in contatto, ad esempio, con i vicini e dargli la possibilità di comunicare”. E poi ci sono le associazioni e i club, anche se non sempre sono una soluzione “sì, sono molto attivi in Alto Adige, ma tendono un po’ a concentrarsi su persone che sono autonome e mobili – come è normale che sia. Appena non si è più pienamente autonomi- basta anche solo semplicemente nell’andare in bagno- cominciano i problemi”.
Ricordiamo che in Alto Adige le persone non autosufficienti al proprio domicilio nel 2023 erano 15.500 (ne abbiamo parlato qui). Gran parte degli anziani non autosufficienti viene, infatti, curato a casa- forse anche per una questione culturale. “C’è ancora una generazione di donne a casa, mentre per la nostra generazione- che andrà in pensione a 67 anni- la situazione sarà diversa. E non tutti possono permettersi una badante, per cui occorre una stanza a parte”. Curare un anziano a casa è faticoso e può portare ai limiti delle proprie forze. E comunque occorre pianificare e organizzare ogni cosa, visto il periodo pensiamo, ad esempio, alle ferie: che fare? “Ci sono i ricoveri temporanei nelle case di riposo, ma cerchiamo di supportare le famiglie tutto l’anno. Offriamo i centri diurni, in cui si possono portare gli anziani -anche quelli bisognosi di assistenza particolare- la mattina e riprenderli la sera, ed è relativamente economico. Si può usufruirne per tutta la settimana o in determinati giorni” continua Waldner. “Chi lo prova si trova bene, anche se all’inizio c’è diffidenza: chi cura un parente a casa ha in genere un legame forte e “darlo via” alla struttura viene percepito come un abschieben , un abbandono”.
E chi non ha figli o parenti vicini? “I figli non sono sempre una garanzia” dice Waldner. Per questo ci sono l’accompagnamento abitativo e l’assistenza abitativa (begleitetes e betreuetes Wohnen), appartamenti per anziani in piccole unità basate sul mutuo aiuto e in cui passa giornalmente un professionista. Offrono diversi livelli di assistenza, dal supporto base – aiuti per piccole cose quotidiane come burocrazia e smartphone- all’assistenza più ampia per i non autosufficienti, fino ad un certo livello”, dice Waldner. In Alto Adige sono 23 le strutture che offrono il servizio con un totale di 299 ospiti (dati aggiornati a febbraio 2024).
Un aiuto importante nell’assistenza agli anziani viene poi dalla tecnologia: “Parlando di futuro per noi la domotica è molto interessante- soprattutto nelle residenze per anziani in cui c’è carenza di personale: ad esempio nell’assistenza notturna ci sono dispositivi che permettono di monitorare le diverse situazioni degli ospiti e valutare il grado di urgenza in caso di più chiamate che arrivano contemporaneamente. Naturalmente il tutto nel rispetto della privacy” dice Waldner, a cui chiediamo, in questa panoramica, di cosa c’è più bisogno quando si parla di anziani, vista la sua esperienza? “Di personale!” “risponde senza esitazioni. “Ci limita tantissimo, nelle residenze per anziani abbiamo purtroppo letti vuoti perché ci manca il personale. Dopo i pensionamenti si fa fatica con il ricambio: alla base c’è il generale calo demografico, siamo di meno e stiamo diventando di meno, quello che ci aiuta sono gli stranieri. Inoltre, nel nostro settore molti vanno a studiare in Svizzera o Austria e ci rimangono, li si trovano meglio”.
A quanto pare, aumentare gli stipendi non è servito a molto. “Sono stati alzati con l’ultimo contratto collettivo, ma non ai livelli di Austria e Svizzera ovviamente, lo stesso problema che abbiamo negli asili e nelle scuole” sottolinea Waldner.
Poco personale nelle residenze e una popolazione che fa sempre meno figli mentre invecchia sempre di più: il futuro non è roseo. “Si, ma quando i boomer non ci saranno più rischiamo di avere il problema contrario, e per assurdo rischiamo di avere i posti vuoti nelle case di riposo, ma se ne parla dal 2040 in poi… noi stiamo lavorando per non vederci come problema ma guardare ai nuovi anziani come risorsa – questo anche grazie alla legge sull’invecchiamento attivo. Stare a casa e non fare niente ha un impatto su salute e benessere, occorre trovare un nuovo orientamento – magari scoprire interessi e passioni che si erano lasciati da parte. E non parlo solo di volontariato, anche se naturalmente ci sta a cuore”. E conclude “Quando si è giovani si fa un programma di vita, scuola, lavoro, poi famiglia, casa e pensione, punto. E dopo? Non è che con la pensione si muore! Occorre pensarci prima, come si è pensato al resto della vita”.
Caterina Longo
Immagine in apertura: foto di Bernd Müller da Pixabay