Bolzano Film Festival 2025: le recensioni di AAI

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Viet and Nam

Faticoso fino all’esasperazione, lento e a tratti incomprensibile, “Viet and Nam” è un film da affrontare come una sfida, ma di quelle che ne valgono decisamente la pena. Perchè se non ci si lascia respingere dai salti temporali, dalla difficoltà di seguire trama e personaggi, volutamente intercambiabili, il film di Minh Quy Truong e la fotografia di Son Doan possono regalare una delle visioni più potenti degli ultimi anni. Un film senza indicazioni e senza “traduzioni”, un labirinto in cui è meglio guardarsi attorno che cercare una via d’uscita.
Genialità, rigore, precisione e sensibilità caratterizzano ogni inquadratura regalando scene indimenticabili.La memoria della guerra, il dramma dell’emigrazione e la storia d’amore tra i due protagonisti  non si intrecciano, ma proseguono ognuno per la propria strada.
Tentare di raccapezzarsi è una fatica inutile, meglio godersi con enorme pazienza il susseguirsi di immagini in cui i protagonisti cambiano continuamente: gli amanti, la pioggia, gli scheletri, gli alberi, una tovaglia spostata dal vento, i minatori nelle viscere della terra, un sacco che galleggia sul pelo dell’acqua…

Massimiliano Boschi

Viet and nam
Regia: Minh Quy Truong
SceneggiaturaMinh Quy Truong
con Thanh Hai Pham, Duy Bao Dinh Dao, Thi Nga Nguyen

Come la notte

La camera fissa inquadra in bianco e nero Ate, la protagonista del film, mentre si sgranchisce le gambe. Stacco, altra camera fissa mentre Ate, di spalle, prega invocando la signora Patrizia. Altri due minuti, stacco Ate cammina nel parco guardando gli alberi altri due minuti, forse tre, stacco, Ate spazza l’ingresso della villa. Stacco, Ate, sempre di spalle, passa lo straccio sulle scale.
Purtroppo, dopo soli quindici minuti, questo scoppiettante inizio lascia spazio ai dialoghi che affondano il film nella noia  Ate passa, infatti a raccontare i fratelli in visita alla villa che ha ereditato dalla “Signora Patrizia” della sua colonscopia, dei suoi acciacchi, dei bei tempi andati e addirittura di aver aperto nientepopodimeno che un profilo Facebook. (Risposta dai fratelli: “Wow”). Solo diversi dialoghi e stacchi dopo, quando la telecamera inquadra a lungo i tre fratelli che dormono su una sdraio, si può intuire meglio quale sia il vero obiettivo del film, un’ipotesi che diventa certezza quando Ate si mette a cantare una ninna nanna.

Solo ai più resistenti è quindi concesso di assistere alle tre sorprese finali:
1) A un certo punto la luce smette di provenire dal centro dell’immagine e colpisce da sinistra le sedie della sala da pranzo.
2) Il tran tran si trasforma in tragedia! (Però tocca immaginarselo perché il regista preferisce lo schermo nero ai dettagli della vicenda).
3) Gli spettatori si trovano ad assistere a un lungo elenco di nomi nei titoli di coda di un film scritto, diretto, montato, ripreso e prodotto dalla stessa persona con soli tre attori, (I produttori sono almeno il triplo degli attori). Ovviamente, non può mancare la dedica finale a tutti i lavoratori domestici filippini che siamo sicuri accorreranno in massa alle proiezioni.

In sintesi, “Come la notte” può essere considerato l’”anti adolescence” per eccellenza. La camera non è mai in movimento e al film “tutto in piano sequenza” si risponde con il film “tutto in penombra”.
Alla proiezioni ha assistito il regista Liryc Dela Cruz che è davvero un tipo simpatico.

Massimiliano Boschi

COME LA NOTTE
ITA/PHL 2025, 76′
di Lyric Dela Cruz
con: Tess Magallanes, Jenny Llanto Caringal, Benjamin Vasquez Barcellano Jr.

Reinas (Regine)

In un Perù travolto dall’inflazione e sconvolto dagli attentati e dalla repressione militare, sono le donne a mandare avanti le famiglie. Gli uomini, inaffidabili come mariti, fidanzati e padri si arrabattano tra scuse e bugie per provare a salvarsi l’onore, inutilmente. Carlos, padre invisibile di due ragazzine, torna a casa per firmare i documenti che permetterebbero a loro e, soprattutto, alla moglie di fuggire da un paese senza futuro. Per Carlos è l’occasione per recuperare il rapporto con le figlie e per riuscirci si inventa una vita che non ha mai vissuto. Mostra cicatrici figlie di avventure incredibili, si inventa professioni straordinarie. Bugie dalle gambe cortissime che, come spesso capita, finiscono per scatenare la compassione delle donne della famiglia.
Il film di Klaudia Reynicke è un affresco “neorealista” di gran parte delle famiglie che popolano il mondo che non vogliamo vedere. Mostra le fatiche di arrivare a fine giornata tra mille problemi che si subiscono senza avere la minima possibilità di risolverli. In una società in cui la politica è ridotta a una guerra per bande, nel Perù dei primi anni Novanta come in gran parte del mondo di oggi, non resta che tentare fortuna altrove.
La famiglia delle “Reinas”, è una famiglia borghese che vede sgretolarsi ogni possibile futuro e prende l’unica strada alternativa alla rassegnazione  La regista descrive tutto questo con mano leggera e intelligente aiutata da un cast di tutto rispetto.  Le due “reinas” sono interpretate dalle giovanissime Luana Vega e Abril Gjurinovic, ma meritano un plauso particolare Gonzalo Molina, nel ruolo del padre, e Jimena Lindo, nel ruolo della madre, bravissimi a evocare una giovinezza che prometteva tanto e non ha mantenuto nulla.

(Massimiliano Boschi)

Reinas (Regine) – versione in lingua originale con sottotitoli in inglese

Regia di Klaudia Reynicke.
con Susi Sánchez, Gonzalo Molina, Luana Vega, Abril Gjurinovic, Jimena Lindo.
Svizzera, Perù, 2024, durata 104 minuti.

Der Pfau (The Peacock)

Matthias, il protagonista di Pfau (Peacock) di Bernhard Wenger, cambia identità a seconda di chi lo paga, tanto da non essere più in grado di essere se stesso, tanto da chiedersi se è ancora “vero” (bin ich echt?)
Matthias è una sorta di Zelig a pagamento – e a colori – che, nonostante le premesse, finisce per essere banalmente comico, come il film di cui è protagonista. Perché Wenger si ispira esplicitamente a Ruben Östlund, ma mentre i protagonisti dei film del regista scandinavo sono disturbati e disturbanti, quelli di “Pfau” risultano buffi e simpatici, quasi teneri. La scena della cena di gala che Wenger “ricalca” da “The Square” è volutamente emblematica: il protagonista di “Pfau” viene applaudito dagli orrendi commensali che crede di turbare, non malmenato e percosso come nel film di Östlund.  Sin dalla prima scena iniziale, Wenger mostra di preferire chi spegne gli incendi a chi li appicca ed è assolutamente legittimo,  “Pfau” è tanto divertente quanto rassicurante, capita quando si preferisce la comicità all’umorismo, basta esserne coscienti.

(Massimiliano Boschi)

Der Pfau (The Peacock)

Regia: Bernhard Wenger
Sceneggiatura: Bernhard Wenger
con: Albrecht SchuchAnton NooriJulia Franz Richter

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