Il virus, i numeri e il cittadino disobbediente: alla ricerca del capro espiatorio che non c'è

«La prossima settimana saremo al crollo se la cittadinanza non rispetta le regole. Solo con la vostra collaborazione riusciremo a garantire il servizio sanitario anche in futuro. Rispettate le regole».  Sono le parole pronunciate da Thomas Widmann, assessore provinciale alla sanità, che dimostrano come si sia perso il senso della misura. E la misura, come noto, la danno i numeri. I numeri dimostrano, per esempio, come al momento sia necessario, ma non sufficiente, chiudere in casa le persone per contenere il contagio.

I dati di ieri 21 marzo lo dimostrano più di ogni altro giorno ed evidenziano come non siano il runner indisciplinato o i fidanzatini che si incontrano clandestinamente a intasare le terapie intensive. Non è solo il confronto dei dati provenienti da Lombardia e Veneto a dimostrarlo, (in un solo giorno, più 546 morti la Lombardia, più 15 il Veneto), ma i dati delle principali regioni sotto osservazione.

In Emilia Romagna due giorni fa sono stati registrati 109 decessi e 75 ieri; in Piemonte 34 persone sono morte per Coronavirus due giorni fa e 29 ieri; nelle Marche 22 due giorni fa e 17 ieri. Esclusa la Lombardia, tutti mostrano un calo nell’incremento. Sono dati che vanno presi con enorme cautela ma che mostrano per l’ennesima volta come la Lombardia vada trattata come un caso eccezionale che merita misure eccezionali (3095 morti su 4825 totali in Italia al 21 marzo 2020). Di fronte a queste cifre, qualcuno crede davvero che sia tutta un questione di obbedienza alle direttive? Da quando i bergamaschi sono i più indisciplinati d’Italia e i Veneti i più obbedienti alle leggi dello Stato?

Ovviamente tutti siamo tenuti a comportamenti responsabili e come sostiene l’immunologo Romagnani, l’isolamento potrebbe risultare anche una cura efficace, ma questa è una guerra che si vince negli ospedali non arrestando i runner. Purtroppo, il sistema è rodato da tempo, di fronte ai problemi, le responsabilità vengono scaricate dall’alto in basso. La decisione viene presa dal vertice ma se non funziona, la responsabilità del fallimento viene attribuita a chi ha poteri ridottissimi. L’Alto Adige non fa eccezione, in data 5 marzo (fonte Protezione Civile) in Alto Adige erano stati effettuati 20 tamponi, in Lombardia oltre dodicimila, in Veneto quasi dodicimila, in Emilia Romagna 2800, nel Lazio 1100. Ma se lunedì prossimo il virus continuerà a diffondersi a questi ritmi, è perché la cittadinanza non ha rispettato le regole.

Purtroppo è sufficiente individuare un capro espiatorio, l’immigrato una volta, il runner un’altra e il gioco è fatto. Meglio ripartire da dove ci si era fermati nella puntata di ieri: la questione del rispetto dei protocolli negli ospedali e la possibilità che il virus, come sostenuto dall’immunologo Romagnani, si aggravi in relazione alla densità virale delle comunità, in primis gli ospedali.

Per capire quale sia la situazione in Alto Adige ho chiesto lumi a Pierpaolo Bertoli, direttore sanitario dell’Asl altoatesina: «La relazione di cui parla Romagnani è al momento difficile da osservare – precisa -. La circolazione del virus in ambito ospedaliero è più probabilmente legata alla mancanza di un corretto utilizzo dei sistemi di protezione e all’errata esecuzione di procedure assistenziali. Se i portatori di virus seguono percorsi separata da altri, la probabilità di sviluppo di focolai è contenuta».

Resta sul tappeto la questione dei tamponi al personale delle strutture ospedaliere, ma li pare sia destinata a restare: «Non facciamo tamponi a tutto il personale per motivi pratici e organizzativi, perché non riusciamo in tempi brevi a testarlo tutto, anche perché il test non vale oggi e per sempre. Oggi posso risultare positivo e domani no e quindi dovremmo fare i test ogni giorno a tutti. Meglio lavorare sui sistemi di protezione e monitorare le insorgenze di sintomi mostrandoci pronti a intervenire immediatamente». Per quel che riguarda l’eccezionalità della Lombardia, invece, Bertoli non se la sente di tirare conclusioni affrettate: «Ci sono troppi aspetti da valutare e ora siamo concentrati sulla gestione dell’emergenza. Visto l’afflusso massiccio di pazienti, oggi non ci aiuta molto fare analisi di biologia molecolare per valutare la carica virale del virus. Sono valutazioni che si faranno a posteriori».

Evidentemente, la gestione dell’emergenza ha la precedenza assoluta. Fa parte della professionalità di ogni medico. Così come un giornalista non può accontentarsi delle dichiarazioni ufficiali delle autorità, ma vive anche e soprattutto di indiscrezioni. Infatti, basta garantire l’anonimato e qualche informazione in più salta fuori. Ecco, per esempio, quanto riferitomi da un immunologo con ottime referenze e un curriculum inattaccabile. «La densità virale come fattore favorente la gravità della malattia, come suggerito da Romagnani, mi pare un fatto assai discutibile e comunque non provato. Ad oggi: l’alta densità favorisce certamente una maggiore probabilità di contagio e quindi, tra i tanti, anche tra i soggetti destinati poi ad avere una malattia severa e quindi ben evidente. Il risultato di Vo’ (fino a 75% positivi asintomatici) da cui è partita l’analisi di Romagnani, a mio avviso ha un lato positivo e uno negativo. Positivo: il denominatore dell’infezione è di alcuni milioni di italiani infetti e asintomatici, quindi mortalità e patogenicità sono comunque a livelli ben diversi da quanto prospettato attualmente. (Sono fortunatamente più bassi di quanto appaia dai dati attuali Ndr). Negativo: possiamo scordarci qualunque possibilità di un efficace isolamento a lungo termine in un territorio di 60 milioni di abitanti. In questa ottica gli ospedali sono certamente dei reservoirs di soggetti a rischio, per se stessi e per gli altri. Ma la cinetica di positivizzazione del tampone ormai ci dice che si può risultare negativi fino a 48 dopo l’insorgenza dei sintomi: un tampone nei primi due giorni (già con sintomi) potrebbe indurre nella fallace convinzione di essere negativo, lasciando poi campo aperto dal terzo giorno in avanti alla diffusione libera. Anche la teoria della dinamica delle popolazioni di preda-predatore è molto attinente».

Inevitabilmente ho provato a farmela spiegare. «Abbiamo deciso di isolarci a casa per non venire a contatto con il virus (e magari siamo già positivi asintomatici da decine di giorni..). Il predatore MERS-CoV-2, dopo una iniziale fase di espansione esponenziale (l’inizio del contagio, tutti vergini), comincia a non trovare più prede, perché si sono chiuse in casa, e quindi comincerà a
diminuire la circolazione perché non c’è più nulla da mangiare. Un giorno, dovremo decidere di aprire di nuovo la porta di casa, riversando in strada una nuova quantità di prede vergini, che mai hanno avuto una possibilità di challenge con il predatore, affinando magari la capacità di sfuggirlo. Con una cinetica prevedibilmente rapida assisteremo così ad una nuova fiammata di predatori. Non è una novità, è una questione su cui si stanno confrontando i medici di tutto il mondo. Una volta superata l’emergenza e con il numero di contagiati al minimo come si può evitare che tutto ricominci da capo?  Il problema attuale – conclude l’immunologo – sta nel non poter mollare qualunque prevenzione o controllo, poiché prevedibilmente il sistema sanitario collasserebbe ed avremmo una decimazione della popolazione fragile o sopra i 70 anni. Ma ogni giorno vi sono nuovi piccoli tasselli aggiunti ad un puzzle assai complicato da risolvere. Bisogna stare pronti a
rivedere le proprie idee e a cambiare direzione se necessario».

Massimiliano Boschi

 

foto: Photo by Hello I’m Nik ? on Unsplash

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