Chi inquina di più e chi ne paga le conseguenze. L'Alto Adige tra globalizzazione e fragilità

“Trentatré milioni di persone sono state colpite dalle recenti inondazioni in Pakistan. Il disastro ha provocato la morte di oltre 1.300 persone, tra cui più di 400 bambini, milioni di sfollati e un terzo del Paese sommerso dall’acqua. Le inondazioni sono state causate da una forte ondata di caldo che ha causato lo scioglimento dei ghiacciai delle montagne e piogge monsoniche più intense del normale”.
La notizia, non particolarmente seguita dai media nazionali, risale a settembre scorso, pochi giorni dopo, molto più vicino a noi, nelle Marche, i fiumi Misa e Nevola, in piena a causa delle forti piogge, hanno causato la morte di 12 persone. Risale, infine, all’inizio di luglio, la tragedia della Marmolada, quando il crollo di un seracco sul ghiacciaio ha travolto gruppi di alpinisti causando 11 vittime.

Pakistan, Marche e Marmolada. Tragedie che gli esperti collegano al riscaldamento climatico dovuto alle crescenti quantità di emissioni di Co2 e ad altri fattori imputabili alle attività umane. Ma il Pakistan, l’Appennino marchigiano e la Marmolada che contributo danno alle emissioni di gas serra o all’inquinamento più in generale? Il Pakistan, per esempio, contribuisce per meno dell’1% alle emissioni globali di Co2, ma ha la sfortuna di confinare con due dei tre maggiori paesi per emissione di Co2, la Cina e l’India.
E’ evidente, quindi, che le zone montane subiscono drammaticamente gli effetti di attività che si svolgono soprattutto in altre zone del mondo, a volte non molto lontane, altre volte lontanissime.
Non è una novità, ma oggi come non mai, le zone montane necessitano di una tutela del territorio particolare e l’Alto Adige, almeno nei confronti di molte altre province italiane, sembra dedicarci la necessaria attenzione. Come sappiamo (si veda anche la tempesta Vaia) non sempre risulta sufficiente.
Ma, al di là delle maggiori o minori responsabilità riguardo alle emissioni di Co2, è evidente che le zone circondate da territori particolarmente fragili non possono permettersi politiche che non tengano nel debito conto le questione legate alla sostenibilità ambientale.

VAIAGli effetti della tempesta Vaia

I dati in Alto Adige

Per questo, la Provincia di Bolzano ha redatto il “Piano Clima Alto Adige 2040” (ne abbiamo scritto qui) mentre l’Eurac ha recentemente reso disponibili su un’unica piattaforma i dati sullo sviluppo dei cambiamenti climatici nella nostra provincia. “Dati che mostrano – sottolinea l’Eurac – come la temperatura media annua in Alto Adige sia aumentata di due gradi dal 1980 a oggi – a Bolzano e Bressanone addirittura di tre gradi in estate – e che ad altitudini superiori ai 1000 metri, i giorni di gelo sono circa 40 in meno all’anno rispetto agli anni ottanta, con conseguenze per l’agricoltura, la stabilità del suolo, gli ecosistemi montani e, non ultimo, l’innevamento artificiale.
Sempre l’Eurac, qualche mese fa ha pubblicato il report “Scenari per l’Alto Adige verso la neutralità climatica” che contiene dati particolarmente interessanti riguardo alle emissioni di Co2,
Non meraviglierà nessuno sapere che “la fonte di emissione principale in Alto Adige è il traffico e che il secondo settore per importanza è quello dell’energia termica (riscaldamento di edifici, acqua calda sanitaria, etc.”.
Destano invece preoccupazione altri dati relativi alla nostra provincia. Nonostante gli sforzi, infatti, le emissioni del traffico sono rimaste pressoché invariate nel periodo tra il 2010 e il 2019 (sono scese meno del 2%). Un dato che secondo l’Eurac: “mostra come gli investimenti nel settore della mobilità e della mobilità pubblica in questo periodo abbiano permesso di aumentare la qualità della mobilità, ma non hanno ridotto le emissioni in modo sostanziale”.
L’altro dato preoccupante riguarda l’industria, il terzo settore per emissioni di CO2, che evidenzia come queste siano salite dal 2010 al 2019 di oltre il 26%.

Eurac di Bolzano (Foto Venti3)

Il commento di Wolfram Sparber, direttore dell’Istituto per le energie rinnovabili di Eurac

Precisato che il secondo settore per importanza è quello dell’energia termica (riscaldamento di edifici, acqua calda sanitaria, etc.), abbiamo chiesto un commento ai dati a Wolfram Sparber, direttore dell’Istituto per le energie rinnovabili di Eurac: “Nel periodo preso in esame (2010-2019 ndr) i dati economici dell’Alto Adige sono stati buoni, il turismo è aumentato e l’investimento nel trasporto pubblico ha permesso che le emissioni non aumentassero. ma non è riuscito a diminuirle in modo sostanziale. Questo significa che se l’Alto Adige, come da Piano Clima, intende ridurre le emissioni di Co2 del 55% entro il 2030, occorre velocizzare notevolmente il percorso, perché non abbiamo più vent’anni di tempo, ma otto”.
Oggi sembra un traguardo irraggiungibile, ma Sparber pur non negando le difficoltà, indica una rotta da seguire: “Ogni cambiamento è complicato, ma va ricordato che spendiamo centinaia di milioni di euro – in tempi di crisi energetica anche molti di più – per benzina, gas e gasolio che non lasciano valore aggiunto in Alto Adige. Risanare gli edifici, installare il fotovoltaico, privilegiare la mobilità elettrica fornirebbe, invece, molte opportunità per le industrie locali e renderebbe il sistema più resiliente e resistente alla crisi energetica”.
Questo ci porta direttamente ai dati relativi all’industria. “Pur sottolineando che l’industria è il settore con un impatto minore rispetto a traffico e riscaldamento – precisa Sparber – è vero che facciamo fatica a trarre conclusioni chiare dai dati in nostro possesso perché servirebbero cifre disaggregate per settore che non abbiamo. Come evidenziato dal report, però, nell’industria la fonte principale è la combustione di gas metano e questo è un dato certo”.

In una situazione come quella attuale pare difficile trovare soluzioni semplici ma, come anticipato, Sparber ci lascia con un’indicazione che una testata come Alto Adige Innovazione non può non apprezzare particolarmente: “Discutiamo da anni di liberarci dalla dipendenza del gas come fonte di energia, ma solo la recente crisi ci ha spinto a cercare realmente di velocizzare i processi di cambiamento. Se si ragiona in anticipo su quel che può succedere. invece, non solo si evitano crisi di questo tipo, ma si ottengono indiscussi vantaggi economici. Lo ha dimostrato il primo boom del fotovoltaico che vent’anni fa ha permesso di creare in Alto Adige una importante rete di aziende del settore, poi purtroppo ci siamo fermati per una decina di anni. Occorre guardare avanti con politiche lungimiranti, altrimenti ci si ritrova a inseguire i problemi. Come oggi”.

Massimiliano Boschi

Immagine di apertura (da Shutterstock)

La prima versione di questo articolo è stata pubblicata il 21 ottobre 2022

 

 

 

Ti potrebbe interessare