D-day, il giorno del disastro: gli errori di quel 5 gennaio e il ritorno di un lockdown annunciato
La gestione di una pandemia come quella in corso è complicatissima e non c’è governo che non abbia compiuto errori di valutazione, soprattutto nella prima fase. L’Alto Adige non fa eccezione, anzi: ritardi, cambi di rotta, marce indietro repentine sono state all’ordine del giorno (ne abbiamo scritto qui di recente) ma in un giorno solo, il 5 gennaio scorso si sono concentrati errori che inevitabilmente hanno portato al lockdown “duro” di questi giorni, proprio mentre gran parte d’Italia ha “riaperto”. Lo si potrebbe definire il “D-day” della guerra alla pandemia in Sudtirolo: “D” come Disastro. Sulle cause di questo “D-day” ci si tornerà, prima i fatti.
È il 5 gennaio 2021 e stanno per terminare le vacanze di Natale, nei giorni precedenti, come in tutta Europa, si sono moltiplicate le occasioni di diffusione del virus a causa dell’aumento degli acquisti per i regali, delle cene in famiglia e degli scambi di auguri. Chiunque abbia passeggiato per le strade di Bolzano nel tardo pomeriggio del 23 dicembre sa di cosa si sta parlando: strade affollate come non succedeva da mesi per l’ultimo brindisi di auguri prima delle chiusure previste per il giorno successivo. Era pressoché inevitabile, ma non si poteva non considerarlo. Una crescita della diffusione del contagio da lì a due settimane era stata messa in conto ovunque. Non a caso, il governo tedesco di Angela Merkel ha annunciato una stretta proprio il 5 gennaio, confermata con un ulteriore giro di vite il 19. Sempre il 5 gennaio è iniziato anche il terzo lockdown britannico, sulla stessa linea si è posizionato il governo francese.
L’Alto Adige ha scelto, invece, la strada opposta. Ha deciso di riaprire bar, ristoranti e scuole a partire dal 7 gennaio, convinto che scaglionare gli ingressi di queste ultime e aumentare la frequenza del trasporto pubblico avrebbe contenuto il contagio. Non solo, e sarà l’errore più grave, ha creduto di poter tracciare e isolare i contagiati con test a tappeto. È stata una scelta suicida, essenzialmente per due motivi: come si sa da mesi, il tracciamento può funzionare solo “fino ai 50 casi ogni 100.000 abitanti in sette giorni”. Come precisava l’Istituto Superiore di Sanità sempre il 5 gennaio: “L’incidenza su tutto il territorio è ancora lontana da livelli che permetterebbero il completo ripristino sull’intero territorio nazionale dell’identificazione dei casi e tracciamento dei loro contatti”. Quel 5 gennaio, il numero di contagi in Alto Adige è di 555 casi positivi (fonte Provincia Bolzano). Nello stesso documento dell’Iss si può notare che riguardo alla probabilità di una escalation nei successivi trenta giorni, la Provincia Autonoma di Bolzano veniva classificata a “rischio alto” con oltre il 50% di probabilità di superare l’occupazione al 30% di terapie intensive. Per fare un confronto, la percentuale della Lombardia era tra il 5 e il 50%. (pag.13)
Nonostante queste premesse, la Giunta Provinciale decide di aprire e contemporaneamente moltiplicare i test. I risultati non tardano ad arrivare. Il report settimanale dell’Iss sui dati aggiornati del 17 gennaio segnala nei “punti chiave”: “Il servizio sanitario ha mostrato i primi segni di criticità quando il valore a livello nazionale ha superato i 50 casi per 100.000 in sette giorni e una criticità di tenuta dei servizi con incidenze elevate. Nella settimana di monitoraggio rimane molto alta l’incidenza nella Provincia Autonoma di Bolzano (309,54 per 100.000 dall’11 al 17/1)”. Siamo sei volte oltre il limite.
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Inevitabilmente, l’Alto Adige finisce in zona rossa, ma la Giunta provinciale di Bolzano risponde così: “La riclassificazione dell’Alto Adige come zona rossa è avvenuta valutando in modo inadeguato alcune delle specificità altoatesine”. L’assessore Widmann si è spinto anche oltre: “Non possiamo accettare questa classificazione. Sarebbe un danno enorme per l’Alto Adige. Gli organismi nazionali di valutazione della situazione epidemiologica hanno classificato la Provincia di Bolzano in modo errato”. È una risposta che mostra unicamente la spocchia con cui si affronta la questione. Come sanno tutti fuori dall’asse Brennero-Salorno, è assurdo pensare di poter rompere la catena di contagio con questi numeri, se poi lo si fa con scuole e ristoranti aperti. si dimostra una totale mancanza di comprensione di quanto avvenuto nell’anno precedente. Per capirci meglio, a Roma sanno benissimo che qui si fanno più test che altrove, ma sanno anche che è inutile perché la catena di contagio non si può fermare senza chiusure, i numeri sono troppo alti. Come hanno mostrato i mesi passati, il Coronavirus lasciato libero di correre si diffonde in maniera esponenziale. Questo significa che se hai due contagiati nel giro di due settimane puoi passare da due a quattro poi a otto e sedici, trentadue etc. Ma se ne hai a migliaia, ogni crescita esponenziale può risultare una carneficina.
Ma le decisioni prese quel 5 gennaio hanno una ulteriore conseguenza, la più grave secondo il parere di chi scrive. Si è fatta passare l’idea che sono gli “altri” a non capire, che le regole imposte a Berlino e Roma qui non sono valide perché “sappiamo noi cosa è meglio per il nostro territorio, solo noi conosciamo la giusta terapia “. La stessa mentalità dei negazionisti e dei no Vax. Certo la Giunta non nega gli effetti del Covid sulla salute, ma nei fatti ne replica l’atteggiamento. Si spaccia l’idea che gli altri (tutti gli altri) non sappiano valutare le evidenze scientifiche, perchè qui in Alto Adige le cose funzionerebbero diversamente dal resto del mondo. Passato questo messaggio, con quale faccia ci si appella oggi al senso di responsabilità dei cittadini e si chiede di rispettare le regole in solidarietà con chi ci circonda? I vicini dell’Alto Adige, dal governo di Roma a quello di Vienna, hanno mostrato pubblicamente le le loro preoccupazioni rispetto alla “via autonoma sudtirolese” decisa il 5 gennaio. Come sono stati considerati? Oggi ci troviamo semplicemente ad affrontare gli effetti delle scelte operate quel 5 gennaio. Ma uno preoccupa più di altri. Per richiedere il rispetto delle norme dell’emergenza Covid serve autorevolezza ancor più che autorità. A che livello è oggi quello della Giunta Provinciale altoatesina?
Massimiliano Boschi