Alla frontiera dell'innovazione, la medicina d'urgenza in alta montagna: l'intervista a Hermann Brugger
Innovazione. La medicina d’urgenza in alta montagna è un campo che richiede competenze uniche e una profonda comprensione delle condizioni estreme. In questi ambienti, ogni minuto conta e le sfide poste da ipotermia, valanghe e altitudini elevate mettono alla prova sia la scienza che la tecnologia. Eurac Research, centro di eccellenza con sede a Bolzano, si pone all’avanguardia nello studio di queste tematiche, combinando ricerca avanzata e innovazione. Una figura centrale in questo ambito è il Dottor Hermann Brugger, Vice Head dell’Istituto, che ha dedicato la sua carriera a sviluppare soluzioni per affrontare le emergenze in alta quota.
Eurac Research nasce nel 1992, ma l’applicazione nell’ambito della medicina di emergenza arriva più avanti, anche grazie al suo contributo. Mi risulta che, nel 1999, lei abbia condotto una sperimentazione pionieristica a 3.000 metri di quota per valutare gli effetti dell’ipossia. È corretto?
Esatto. La fondazione dell’Istituto è dovuta alla necessità di istituzionalizzare la medicina di emergenza in montagna. Prima del 2000 non esisteva nulla in questo ambito. C’erano molte pubblicazioni sulla medicina di emergenza generale, soprattutto dagli anni ’70, ma mancava completamente un corpus scientifico per la medicina di emergenza in alta montagna. Quando ero presidente della Commissione Internazionale per la Medicina di Emergenza in Montagna (Cisa-ICAR), ho avvertito chiaramente questa lacuna. Così ho avuto l’idea di fondare un istituto mirato a condurre ricerca in questo settore. Inizialmente, lavoravo all’Università di Innsbruck, dove mi sono abilitato nel 2005 e insegnavo come professore associato. Tuttavia, ho deciso di trasferirmi a Bolzano per lavorare in questo istituto. Una scelta che si è rivelata positiva, non solo per me, ma anche per la provincia e per la ricerca. Nel 2009, gli studi condotti hanno confermato l’importanza di questo approccio, dalle prime sperimentazioni sull’Ortles per analizzare le malattie legate all’alta quota, fino alle ricerche nell’area di Braies. Gli studi sul campo, però, restano imprevedibili: condizioni climatiche e ambientali possono variare molto, con situazioni a volte pericolose per il team di ricerca, come il rischio valanghe.
Da queste ragioni è nato quindi terraXcube, il centro per la simulazione di climi estremi di Eurac Research, situato nel NOI Techpark di Bolzano. Ce ne può parlare?
L’imprevedibilità delle condizioni sul campo è stata una delle principali motivazioni per costruire un laboratorio climatico. La seconda è la possibilità di garantire la ripetibilità della ricerca, un principio fondamentale in scienza. Solo ripetendo gli esperimenti e ottenendo risultati coerenti possiamo ritenere valide le conclusioni. Attualmente, ci concentriamo soprattutto sulla medicina di emergenza, con competenze principali in ipotermia, valanghe e congelamenti.
Approfondiamo maggiormente questi ambiti di ricerca.
Abbiamo condotto numerosi studi sul seppellimento da valanga. Uno di questi è stato pubblicato su JAMA Network nel settembre 2024 e ha analizzato la sopravvivenza sotto una valanga. La ricerca ha evidenziato quanto sia cruciale il tempo: nei primi 10 minuti, la probabilità di sopravvivenza supera il 90%, ma diminuisce rapidamente dopo. Negli ultimi anni, questo intervallo si è accorciato da 15 a 10 minuti, forse a causa di cambiamenti climatici che rendono la neve più densa e umida. Tuttavia, è incoraggiante notare che, negli ultimi 30 anni, la sopravvivenza è aumentata di circa il 10% grazie a miglioramenti tecnologici e collaborazioni internazionali.
Oltre al contesto montano, quali possono essere gli ambiti applicativi delle vostre ricerche?
L’ipotermia è un problema complesso che riguarda anche categorie vulnerabili come senzatetto o anziani senza riscaldamento. Il trattamento di un paziente in arresto cardiaco ipotermico è diverso rispetto a uno normotermico. Per esempio, persone in arresto a causa del freddo possono essere rianimate anche dopo mezz’ora, grazie a tecniche mediche avanzate.
Uno di questi esempi è l’ECMO, il dispositivo di circolazione extracorporea che dal 2020 è presente nell’ospedale di Bolzano. Quali sono e come avviene la sperimentazione di questi dispositivi medicali?
L’ECMO è una tecnologia avanzata che consente di sostituire temporaneamente la funzione di cuore e polmoni in pazienti critici. Si tratta di una macchina che può essere usata per rianimare pazienti ipotermici, anche in condizioni di arresto cardiaco prolungato. Nel nostro contesto, è particolarmente interessante l’uso della versione mobile di questo dispositivo. Questa tecnologia permette di intervenire direttamente sul luogo dell’emergenza, ma pone una domanda cruciale: è meglio portare il dispositivo al paziente o trasportare il paziente in un centro specializzato? Entrambe le opzioni hanno pro e contro e richiedono personale altamente qualificato. Pur non avendo partecipato allo sviluppo dell’ECMO, abbiamo testato questa tecnologia in condizioni estreme, come basse temperature e alta quota. Lo stesso vale per altri dispositivi, come i massaggiatori cardiaci automatici e termometri avanzati per misurare la temperatura corporea centrale, un parametro essenziale per trattare l’ipotermia.
Quanto è importante per la ricerca il territorio in cui siete inseriti? Pensa che l’Alto Adige favorisca lo sviluppo dell’innovazione anche nel vostro ambito?
L’Alto Adige è un territorio strategico per la nostra ricerca. Negli ultimi anni, grazie a infrastrutture come il NOI Techpark, abbiamo visto un enorme sviluppo tecnologico e scientifico. La collaborazione tra ricercatori, tecnici e costruttori favorisce un rapido trasferimento tecnologico. Tuttavia, manca ancora un supporto adeguato per portare i prototipi sul mercato. Questo rappresenta un elemento critico che richiede maggiore sostegno amministrativo.
A causa del cambiamento climatico, c’è una crescente pressione su ambienti montani meno torridi, sia per il turismo che per l’abitabilità. Ritiene che questo influenzerà ulteriormente la ricerca nei prossimi decenni?
Il cambiamento climatico avrà un impatto significativo sulla salute umana, non solo per il caldo, ma anche per l’aumento di malattie infettive e la pressione migratoria verso aree più fresche. Le montagne subiranno una pressione demografica crescente, con conseguenze economiche, sociali e ambientali. Questi fattori ci spingono a intensificare la ricerca e lo sviluppo di tecnologie per affrontare le sfide future.
Nell’immagine in copertina il Dottor Hermann Brugger (foto Eurac Research)