Il Teatro Stabile come “amico pubblico numero 1”. Facciamo i conti con Walter Zambaldi
Bolzano. In quanto a dimensioni, il suo pubblico è paragonabile a quello dei Foxes di hockey mentre il numero di abbonati è quattro volte superiore a quello del Fc Südtirol in Serie B. Eppure, nonostante gli oltre 2100 abbonati e le 2500 presenze medie per ogni singolo spettacolo, qualcuno considera ancora il Teatro Stabile di Bolzano, ma più in generale il teatro in Alto Adige, un fenomeno culturale di “nicchia”, “elitario” e non popolare.
“Elitario sarà lei!”, sbotta sorridendo Walter Zambaldi direttore del Teatro Stabile di Bolzano “Noi – insiste – facciamo un teatro popolare e riusciamo a esserlo puntando sulla qualità”.
Ovviamente, i numeri presentati dal direttore al termine di due anni terribili per tutti gli spettacoli dal vivo non sono casuali e Zambaldi, giustamente, li rivendica: “Nel 2015 il bilancio ammontava a 4, 6 milioni, nel 2022 è di € 8.200.000. Un aumento di bilancio è dovuto alla vendita di produzioni e servizi e alla trasformazione delle economie di gestione in attività. La capacità di autofinanziamento da vendita di produzioni, abbonamenti e biglietti nel 2022 è pari al 36%”.
Il direttore del Teatro Stabile di Bolzano Walter Zambaldi (foto Anna Cerrato)
Toccherà pubblicare questa intervista nella rubrica di economia…
“Non sarebbe una cattiva idea, perché per ottenere certi risultati credo che occorra prendere in considerazione anche i dati economici, intesi come investimento sano con un ritorno in molteplici termini, non solo come parte integrante del progetto, ma anche come limite in grado di stimolare l’intero processo produttivo. Credo che occorra una visione manageriale, non soltanto amministrativa o gestionale, cercando di evitare l’autoreferenzialità di chi dirige un teatro solo per realizzare i propri progetti personali”
E’ quindi anche una questione di orizzonti?
“Ampliare gli orizzonti è indispensabile per chi intende relazionarsi non solo con il proprio territorio, ma anche con quelli circostanti e con l’intero sistema teatrale italiano. Credo che da questo punto di vista risulti fondamentale trovare il giusto equilibrio che faccia sì che le varie visioni delle realtà teatrali che entrano in sinergia si alimentino a vicenda, proficuamente. Le dimensioni e il “respiro” delle produzioni sono, per esempio, la diretta conseguenza di questo approccio. Non importa se si preferisce la classicità o la ricerca, importa che si perseguano gli obiettivi con la stessa determinazione”.
Esistono parametri per valutare l’efficienza economica di un teatro?
“Esistono dei parametri e delle quantità che ci vengono imposti dal ministero per far parte dei 20 Teatri di Rilevante Interesse Culturale d’Italia (TRIC) che sono pensate proprio per perseguire un’idea di istituzione teatrale che abbia come obiettivo l’equilibrio e l’efficentamento della produzione tra territorio di riferimento e paese. Il TSB attualmente produce spettacoli con le principali realtà teatrali d’Italia come i Teatri Nazionali di Torino, Emilia-Romagna (ERT), Toscana, collabora con il Piccolo Teatro di Milano, con il Teatro Nazionale di Genova e il Teatro di Brescia ed è legato al Teatro Nazionale del Veneto e il Teatro Stabile di Trieste da un Protocollo d’Intesa nato proprio per la coproduzione, valorizzazione, programmazione culturale”.
La pandemia ha insegnato a tutti che è meglio non dipendere da un unico finanziatore?
“Da questo punto di vista, credo risulti importante la creazione di un sistema differenziato di finanziamenti che permetta una migliore e più elastica sostenibilità economica, ma anche che eviti legami troppo stretti con uno o pochi finanziatori. Il privilegio di far parte dell’élite teatrale italiana è una responsabilità ma anche un’opportunità nella misura in cui si è ufficialmente incaricati di realizzare autentici progetti culturali che possono essere altro rispetto al commercio. In sintesi, occorre immaginarsi come una macchina produttiva a tutto campo. Averlo fatto, ci ha permesso di affrontare anche la crisi pandemica con maggiore flessibilità riuscendo a ottenere risultati ambiziosi».
Questo non va a discapito della qualità?
“No anzi, ma occorre lavorare anche su un percorso di senso che dimostri la ricerca di qualità e profondità che solo un sistema economico che dia sicurezza può garantire. Noi non dimentichiamo mai di essere un teatro pubblico”.
Insomma, il teatro come amico pubblico numero 1….
“Si potrebbe dire anche così, si parla tanto di ricadute economiche sul territorio, qui mi riferisco alla capacità delle attività culturali di migliorare l’ambiente, il contesto in cui si vive. Ci interessa una ricaduta sul pubblico dal punto di vista culturale e crediamo che una visione dagli orizzonti ampi, anche manageriale, possa avere una ricaduta molto più importante. Per fare un esempio preciso, spettacoli come Il crogiuolo, PPP Profeta Corsaro o Peachum sono figli di una visione di questo tipo. Sono spettacoli che sono stati voluti ostinatamente e realizzati proprio grazie alle visioni di cui ho parlato fino a ora. Vi è, quindi, innanzitutto una ricaduta che potrei definire civile, culturale sulla popolazione proprio per la grande attenzione progettuale che permette di realizzare obiettivi altrimenti irraggiungibili”.
Buone notizie da e per il pubblico, ma i privati?
“Un’imprenditoria privata illuminata che sentisse lo stesso desiderio di ricambiare disinteressatamente il territorio che la ospita è sempre la benvenuta”
Il modello del Teatro Stabile di Bolzano è replicabile?
“Un modello culturale non è quasi mai duplicabile, non si può clonare, può però contenere degli elementi replicabili all’infinito e ovunque. E’ vero, però, che un teatro abita ed è visceralmente legato al suo territorio di riferimento e al suo tempo”.
Massimiliano Boschi