I "sentieri" della sostenibilità lastricati da buone intenzioni e molte parole. Ma i fatti?
Inverno 2022-23: ancora una volta nelle regioni alpine l’inverno si apre con immagini che non forniscono la migliore interpretazione visuale delle nostre promesse (o aspettative) di un mondo più “sostenibile” (virgolettato d’obbligo e leggendo oltre si capirà il perché). In Alto Adige hanno tenuto banco per settimane quelle delle fiumane di traffico legate ai mercatini natalizi, tradizione mitteleuropea che in Italia assume proporzioni ed esasperazioni da esodi biblici (anzi, ferragostani) con decine di km di auto incolonnate ad aggravare – inter alia – una situazione di qualità dell’aria tra le peggiori in Europa. Alcuni osservatori hanno notato la evidente incongruenza con i Sustainability Days celebrati a Bolzano poco tempo prima.
E ci si domanda dove e come il peraltro molto dettagliato e ambizioso Piano Clima Alto Adige 2040 andrà a collocare e gestire queste e altre forme di mobilità turistica individuale, oggi incentivate. E non è solo sotto Natale. Fatevi un giro in bici ad agosto sui passi dolomitici: provare per credere, diceva qualcuno. In tutti i modi, con il Piano Clima l’Alto Adige si è dato 17 anni per cambiare un intero sistema economico. Di più, un sistema di vita. Encomiabile. Ma rimane il dubbio: a che cosa credere? Al mantra della “sostenibilità” o a quello che vedo?
Passiamo lo spartiacque. In Svizzera, tra Natale e Anno Nuovo: immagini di piste da discesa celebrate lungo le quali la pioggia caduta fino a 1700 metri (a fine dicembre!) ha sciolto quasi tutto. “Resti di neve”, dicono i bollettini meteo, tra i 1500 e i 1800 metri. Più in basso i prati sono verdi come a primavera. Ma anche sopra quella quota in molti posti si scia solo grazie alla neve artificiale e andando a scorrere i siti web si scopre che spesso solo metà delle piste sono aperte, con l’altra metà insopportabilmente affollata. Molte stazioni meteo hanno registrato l’accoppiata Silvester/Neujahr più calda mai misurata dal 1864 ad oggi. Puntuale ritorna il dibattito su quali modelli per le montagne di domani. Che si spegne da solo alla prossima nevicata sufficiente, che ovviamente non cambia lo scenario climatico ma è sufficiente a rimandare nel dimenticatoio i buoni propositi. Di nuovo: a cosa credere?
In altre parole, siamo tutti sostenibili ma solo finché questo non intacca i nostri modelli di vita consolidati e gli interessi delle constituencies politiche: mobilità individuale a tutti i costi e a ogni costo (conosco persone che si fanno 600 km in un giorno per una toccata e fuga ai mercatini di Natale italiani) e continuare a investire risorse pubbliche nell’industria dello sci contro tutte le evidenze. Sono solo due esempi. E certamente, sia l’Alto Adige che la Svizzera non possono essere accusate di posizioni di retroguardia su molti dei temi legati alla sostenibilità. È il modello complessivo che non viene mai messo in discussione. La sua continuazione sempre, comunque, indefinitamente, qualunque ne sia il costo (per il contribuente) e a dispetto dell’evidenza non viene scossa da dubbi.
Forse sono le Alpi, con i loro stridenti contrasti e la loro collocazione che ne fa un “laboratorio” ecologico e climatico, con la loro esposizione alle attività umane e la relativa fragilità ecologica, che rappresentano quasi un paradigmatico terreno di scontro tra i buoni propositi e la realtà delle cose. E proprio per questo, si tratta di un ambiente simbolico dove la sola declinazione dei propositi di sostenibilità non basta e deve essere misurata dai risultati ottenuti o almeno dalla constatazione del progresso avvenuto verso certi obiettivi.
Da anni si parla di ridurre il traffico attraverso le Alpi. Risultato? Che non ci sono solo i mercatini di Natale: sulla direttrice del San Gottardo, tra Svizzera e Italia, il 2022 ha visto battere i record storici della lunghezza delle code in ogni stagione. A luglio ci sono state 350 ore di traffico fermo, nel 2019 (anno pre-pandemia) erano state “solo” 265. Aumenti da record, pari solo all’aumento dell’uso della parola “sostenibile” nel gergo politico, come in quello della pubblicità e in fondo nei discorsi di tutti noi.
«Viviamo in un’era di sostenibilità bla-bla, una profusione cacofonica di usi del termine “sostenibile” che può significare qualunque cosa, da “migliore dal punto vista ambientale “a “alla moda”». O anche solo: un po’ meglio del prodotto concorrente. Lo scriveva già nel 2013 Robert Engelman, presidente del Worldwatch Institute. A cosa devo credere, ai piani 2030 o 2040, ai vari “net zero 2050”? Ai buoni propositi? O a quello che vedo? O a quello che già si intravede? Alla sostenibilità divenuta argomento di marketing.
In questa cacofonia tutto diviene sospetto. Perfino le migliori intenzioni. Come questa: basta auto, mettiamo i turisti in bici! Oggi il boom del turismo in bicicletta, senza dubbio una forma di mobilità turistica in linea di principio più sostenibile di altre, è soprattutto quello aiutato dai motori elettrici. Grande conquista, soprattutto le e-mtb e i loro motorini prodigiosi che permettono di scavalcare montagne a velocità che farebbero impallidire i professionisti del pedale. Porteranno in quota, o almeno fino al rifugio-gourmet più rinomato, nuove masse di persone e sempre più velocemente. E sul web si vedono già i risultati della “messa in sicurezza” di vari sentieri per permettere la viabilità alle pesanti e-bike. Impresa lodevole, in sé: può evitare incidenti e forse permettere una certa precaria convivenza con chi quei sentieri si ostina a percorrerli a piedi.
Rimane solo da mettersi d’accordo sul concetto di “sentiero”, su quanta gente puoi portare in fretta e in contemporanea in ambienti sensibili e quindi su cosa significhi realmente, situazione per situazione, turismo sostenibile.
Non so se le strade della sostenibilità saranno lastricate di buone intenzioni fallite (spero di no ma, per dirne una, sono 27 anni che parliamo di cambiamento climatico e le emissioni umane continuano ancora a crescere). Al momento, più che le strade sono i sentieri che mi preoccupano.