Il prologo di Alto Adige Doc 3: "Piedi per terra e sguardo verso l'alto"
L’Alto Adige è la provincia più estesa d’Italia, ma vi risiedono solo 530.000 abitanti, “gli stessi di un quartiere di Milano” come sottolineano spesso a Bolzano e dintorni. Un numero che solitamente viene seguito da un altro, da una percentuale: gli italiani sono solo il 25,84% dei residenti, contro il 69,41% degli appartenenti alla comunità tedesca e il 4,53% della comunità ladina. A essere precisi, la percentuale citata si riferisce agli appartenenti alle tre differenti comunità linguistiche rilevati in occasione del censimento del 2011, l’ultimo realizzato prima della scrittura di questo testo. Un numero che risulta fondamentale riguardo al sistema della proporzionale etnica, una delle colonne portanti dell’Autonomia provinciale. Un numero che, però, troppo spesso non viene approfondito, sezionato o scomposto. Come non notare, per esempio, che dei 532.616 residenti in Alto Adige al 31 dicembre 2021, 205.266 risiedono nelle sole cinque città che superano i 15.000 abitanti: Bolzano, Merano, Bressanone, Brunico e Laives. Anche considerando le due altre città che superano i 10.000 abitanti, Appiano e Lana, risulta che oltre 300.000 abitanti (quindi oltre il 50% del totale) vivono sparsi tra gli oltre cento piccoli comuni rimanenti.
Non è una suddivisione da sottovalutare perché permette di tarare più precisamente anche le percentuali delle comunità etniche. La comunità italiana, infatti, supera il 56% del totale dei residenti nelle città sopra i 15.000 abitanti e il 51% nelle città sopra i 10.000 abitanti. Tra i restanti 300.000 che vivono in località più piccole, invece, supera di poco il 6%.
E’ noto che gli italiani si concentrano nelle città dell’Alto Adige, ma questi numeri hanno oggi anche un significato politico. Perchè l’Svp che governa la Provincia da oltre settant’anni e che esprime il sindaco di oltre cento comuni su 116, esprime un solo sindaco delle prime quattro città della Provincia (a Bressanone) e ne esprime solo due nelle prime sei (Bressanone e Brunico).
L’Svp non è, infatti, riuscita a far eleggere il proprio candidato sindaco a Bolzano, Merano, Laives e Appiano. Numeri che contribuiscono a rendere le elezioni provinciali del prossimo ottobre come le più interessanti della storia dell’Autonomia in Alto Adige, ma che faranno solo da sfondo al terzo viaggio di Alto Adige Doc.
Perché il viaggio non si focalizzerà sulla campagna elettorale, ma ripartirà proprio dai numeri citati in precedenza: dalle differenze tra chi vive nelle zone urbane della provincia e chi risiede nelle zone rurali. Aree abitate da persone che hanno, inevitabilmente, due punti di vista diversi sul mondo. Perché chi vive in montagna e non a valle, ha storie, quotidianità e obiettivi differenti da chi vive lungo i fiumi che, notoriamente, sono anche il bacino delle principali aree di transito e passaggio. In Alto Adige come altrove.
Tra fiumi e montagne
Ce lo hanno insegnato per anni, sin dalle prime ore di lezione delle scuole elementari: “le grandi civiltà sono nate lungo i grandi fiumi”. Al racconto della Mesopotamia, terra tra il Tigri e l’Eufrate abitata da Sumeri, Assiri e Babilonesi faceva seguito quello degli antichi egizi lungo il Nilo e dei Romani lungo i Tevere. I vecchi sussidiari non si stancavano di precisare che i fiumi rendevano fertili i terreni, consentivano la navigazione, facilitavano gli scambi commerciali mentre si sottolineava che “lungo le rive dei fiumi, la presenza dell’argilla permetteva la costruzione di mattoni, vasi ed altri utensili”.
L’Isarco a Chiusa (foto Venti3)
In sintesi, chi viveva lungo i fiumi poteva avere una vita più facile, al contrario di chi viveva lungo le pendici dei monti tra spostamenti difficili, irti terreni da rendere coltivabili e un clima spesso ostile. La comodità di muoversi lungo un fiume, a valle, contro la difficoltà di muoversi in montagna; l’orizzonte aperto e a portata di mano contro la fatica della salita e la necessità di guardarsi indietro per ammirare i progressi compiuti, ma anche la straordinaria visione dall’alto e gli splendidi orizzonti raggiunti solo grazie alle proprie gambe.
Verrebbe da pensare che scende in città chi ama la libertà e guarda al futuro e si rintana sui monti chi cerca sicurezza e preferisce il passato. La questione è, ovviamente, molto più complicata. Perché spesso, soprattutto in Alto Adige, i primi pericoli venivano proprio dall’acqua, dalle alluvioni e dai terreni paludosi che circondavano i fiumi principali. Il tutto ha contribuito a creare contesti che, col passare dei secoli, hanno finito per formare mentalità e strutturare società particolari che, però, non hanno passato indenni i cambiamenti del Novecento: in primis l’industrializzazione e il turismo di massa. Fenomeni globali che in Alto Adige hanno percorso sentieri particolari, quelli che proverò a raccontare proprio seguendo il corso di fiumi e torrenti, cercando di coniugare la necessità di sapere dove mettere i piedi con un indispensabile sguardo verso l’alto.
Sono partito dalle sorgenti del fiume Adige, sapendo sin dall’inizio che il viaggio mi avrebbe presto allontanato da ogni percorso prestabilito.
Massimiliano Boschi
Nell’immagine di apertura: la chiesetta di Ranui in val di Funes, dedicata a San Giovanni Nepomuceno, santo protettore delle acque e dei ponti. (Foto Venti3)