Il sogno di Christian Pfitscher, da Merano al Massachusetts Film Festival con il suo film "Kill the Darling"
Christian Pfitscher, 30 anni, è nato e cresciuto a Merano e gestisce insieme alla sua famiglia la stazione di servizio all’ingresso del paese di Postal. Fin da piccolo coltiva la passione per la cinematografia che, in seguito a due cortometraggi – “Amnesiac” nel 2015 e “Spacetime” nel 2016 – ed un breve documentario dal titolo “Lucky Streak” sul leggendario Christian Lanthaler, sette volte paralimpico e orafo altoatesino, lo spinge a girare il suo primo lungometraggio: “Kill the Darling”. Con questo, nell’aprile del 2023 vince il premio per il miglior film, la miglior regia e la miglior interpretazione di un attore protagonista al Massachusetts Independent Film Festival a Worcester.
Christian, dove nasce la passione per la telecamera e la cinematografia?
Penso che la mia passione per la telecamera derivi principalmente da mia madre, che aveva sempre con sé una 35 mm, ovunque andassimo. Crescendo, ho scoperto la magia che si cela tra le pagine degli album di fotografie con amici e parenti, e ho avuto per la prima volta un assaggio del valore del visual storytelling. In generale, direi che i filmati e il cinema fanno parte della mia vita da sempre, ma l’idea di realizzare dei lungometraggi assolutamente no, mi è sempre sembrato qualcosa al di fuori della mia portata. Fin da bambino, mi limitavo a girare cortometraggi insieme ai miei amici nel tempo libero, dopo la scuola.
Un’infanzia che ricorda quella del giovane Sammy nel celebre “The Fabelsman”, uscito nel dicembre dello scorso anno. Negli anni a seguire, come hai conciliato lo studio e la tua passione?
Dopo aver visto le officine di fotografia e video dell’Università di Bolzano ho subito pensato che quello sarebbe stato il posto giusto per me; avrei potuto combinare i miei interessi per il linguaggio comunicativo di design e arte con gli spazi di lavoro e le attrezzature cinematografiche per coltivare la mia passione e – perché no -continuare a lavorare nell’azienda di famiglia a Postal. Alla fine però, ho capito che per dedicarmi al mio primo progetto di lungometraggio avrei dovuto lasciare l’università e prendermi i miei tempi, e così ho fatto.
Da dove nasce l’idea del film?
Dopo aver realizzato i cortometraggi “Amnesia” (5 min) e “Spacetime” (15 min), sentivo che era giunto il momento di compiere un salto ancora più alto. Sapevo che solitamente ogni pagina si traduce in circa un minuto di film, e da lì ho cominciato. Pensare di scrivere una sceneggiatura di 90 pagine a volte può intimidire: è necessario strutturare al meglio la trama e assicurarsi che ogni dettaglio sia in linea con la storia. Nel mio caso, ho sviluppato il tema del film intorno ad un’idea che avevo in mente: la scena iniziale infatti – che mostra un singolo foglio bianco che si perde tra decine di altri fogli – è la rappresentazione più pura del tema generale. La trama ruota attorno a un giovane scrittore, interpretato da Patrick Stocker, che soffre di un’improvvisa amnesia e si imbarca in un viaggio per scoprire il suo passato.
Come si sono svolte le riprese? Con quali mezzi?
Già mentre scrivevo la sceneggiatura, sapevo che “Kill the Darling” sarebbe stato un progetto realizzato con ciò di cui disponevo, sia per quanto riguarda i mezzi di ripresa che gli attori o il set. Non ho mai pensato che ciò costituisse un limite per il film. Personalmente, credo che uno degli aspetti più importanti sia coinvolgere il pubblico con la propria storia, piuttosto che concentrarsi sugli allestimenti, e per questo ho lavorato in modo da avvicinare il più possibile a livello emotivo lo spettatore al protagonista. In molte occasioni ho voluto mettermi la macchina da presa in spalla, per conferire alla scena un certo senso di intimità; non si tratta soltanto di come dirigi i personaggi, ma soprattutto di come decidi di muovere la telecamera all’interno dello spazio tridimensionale. In totale il film è stato girato nel corso di due anni, dal momento che io e gli attori – alcuni miei amici e conoscenti – effettuavamo le riprese soltanto nel weekend o quando avevamo un po’ di tempo libero.
E di chi si compone il cast?
Dal momento che avevo un’idea molto chiara di come volevo strutturare le interazioni tra i personaggi, ho potuto facilmente sbarazzarmi di eventuali controfigure o ruoli minori, con un totale di quattro personaggi rimanenti. Questo ha sicuramente giovato non solo al nostro stile di ripresa, ma anche al budget. Tutti e quattro i personaggi sono persone che già conoscevo e che avevano lavorato con me in passato, in occasione dei due cortometraggi. In quel contesto, gli attori hanno acquisito la sicurezza e la fiducia necessarie, non solo verso sé stessi che recitano la parte, ma anche nei miei confronti, in quanto sceneggiatore e regista del progetto.
So che ha mandato il suo film a diversi comitati di festival cinematografici… è rimasto sorpreso dai premi ricevuti?
Attualmente siamo ancora nel circuito dei festival, anche se uno degli obiettivi principali è già stato raggiunto: presentare il nostro film negli Stati Uniti. Con un totale di sette nomination, siamo stati entusiasti di portare a casa il premio per il miglior film, la miglior regia e la miglior interpretazione di un attore protagonista, vinto al Massachusetts Independent Film Festival a Worcester. Inoltre, siamo già in trattativa per portare “Kill the Darling” su un servizio di video on demand online americano. Ci attendono ancora alcuni festival in Europa, ma direi che il successo raggiunto fino ad ora è già motivo di grande soddisfazione e orgoglio.
Cosa ha imparato da questa prima esperienza di lungometraggio?
Penso che alcune delle lezioni più preziose che ho imparato durante le riprese siano dovute semplicemente all’aver fatto cosí tanto da solo. Mi spiego: fare un film vuol dire risolvere problemi al volo, trovare compromessi; di solito c’è dietro un’intera casa di produzione, mentre in questo caso c’eravamo soltanto io e gli attori. Sono fiducioso che questo progetto abbia dato il via a qualcosa di ancora piú ambizioso, che coinvolga produttori che la pensano al mio stesso modo. Senza svelare troppo, sto progettando qualcosa di unico nel suo genere, mai fatto prima.
Per concludere, domanda d’obbligo: qual è il suo film preferito?
Rispondo in modo diverso ogni volta che mi viene chiesto, ma d’altronde questo è uno dei motivi per cui amo il cinema. Al momento, direi che l’esperienza cinematografica più elettrizzante che abbia mai avuto sia senza dubbio la proiezione da 70mm di “Interstellar” di Christopher Nolan al cinema IMAX di Londra.
Vittoria Battaiola
Immagine in apertura: foto di Christian Pfitscher con i tre award del MassIFF