Il buio delle città e la luce delle montagne. Il Sudtirolo oltre la questione etnica
“Sono un vecchio e ho visto che quando gli uomini vanno giù nella città per imparare le cose che si leggono nei libri poi tornano con un disprezzo verso la saggezza dei propri padri, che hanno dimenticato del tutto, e parlano incautamente, pronunciano parole che non si accordano l’una con l’altra. Ma le cose che un uomo conosce perché le ha viste, le cose che osserva quando cammina lungo i sentieri e quando sta seduto davanti ai falò, queste cose non sono molte, ma sono sane“. (The Peaks of Shala di Rose Wilder Lane – 1923)
Queste sono le parole pronunciate da un anziano montanaro di Theth durante una conversazione con la scrittrice Rose Wilder Lane. Un dialogo tenutosi nel 1921 sulle rive del fiume Shala che attraversa le Alpi albanesi, frasi che, meglio di molte altre, descrivono la diffidenza delle popolazioni montane verso tutto quello che proviene dalla città.
Una mentalità che si ripresenta in varie forme in mezzo mondo, uno scetticismo verso tutto quello che viene da fuori che ha fatto la fortuna di molti scrittori, soprattutto di gialli e horror, non ultimo Jo Nesbø nel suo “Il fratello”. Un atteggiamento “identitario” che caratterizza territori, non esclusivamente montani, in cui le strutture burocratiche e il modello sociale delle città hanno avuto grosse difficoltà a penetrare.
Il rifiuto della vaccinazione anti Covid è solo l’esempio più recente, ma è emblematico.
Nel maggio scorso Lauren Jackson e Mahima Chablani del New York Times hanno realizzato un’inchiesta sulla cittadina di Greeneville, 15.000 abitanti nel Tennessee rurale. Una cittadina in cui tutti si conoscono, si salutano e si aiutano. mostrando un grande senso comunitario e di solidarietà. La domanda da cui sono partite le autrici di “Vaccine Hesitancy in Rural Tennessee” è stata: “Perchè persone così impegnate a prendersi cura del prossimo, rifiutano il vaccino?”.
La risposta, non definitiva, è che per una comunità educata da decenni a non fidarsi dal governo centrale appare più rischioso dire sì al vaccino che dire no. Il vaccino, esattamente come il virus, viene da fuori, dall’esterno, e gli abitanti sono fermamente convinti che la sopravvivenza della loro comunità sia dovuta proprio alla resistenza contro quello che viene dalla città.
Un sentimento identitario che si trova in numerose comunità rurali d’Europa. Luoghi in cui si lascia che la natura faccia il suo corso anche se crudele, in cui il lavoro finisce per contare più della salute e in cui non c’è posto per “sentimentalismi inutili”. Territori che hanno limitato i contatti con il resto del mondo – con conseguenti livelli di istruzione – luoghi in cui la cultura è ridotta a sinonimo di tradizione.
Chi vive in Alto Adige/Südtirol non fatica a scontrarsi, o ritrovarsi, in questa mentalità che si è radicata con maggiore forza perchè l'”esterno”, quello che vuole imporre un nuovo stile di vita, non solo viene dalla città, ma parla persino un’altra lingua. “Viene da Roma”, capitale lontanissima che pare incarnare tutti i mali della modernità e che per un ventennio ha provato a imporsi con la violenza di un regime dittatoriale.
Le parole dell’anziano di Teth citate all’iniziom sembrano, però, inquadrare con maggiore precisione il contesto sudtirolese che precede e travalica la questione etnica.
A questo si aggiunga un punto di vista che chi abita in pianura fatica a comprendere. Lo ha descritto il già citato Jo Nesbo riferendosi alle comunità montane norvegesi: “Nei paesaggi montani come il nostro. il buio non cala, ma sale. Sale dalle valli, dai boschi e dal lago giú in fondo, e per un po’ riusciamo a vedere che è sera in paese e nei campi, mentre quassú è ancora giorno”.
Massimiliano Boschi