Il viaggio di Donatella Di Cesare nel complotto contemporaneo
Viviamo in un mondo complesso, quasi incomprensibile. Talmente complesso e incomprensibile che, per sopravvivere, non ci resta che subodorare un grande complotto: «Chi c’è dietro? Chi tira le fila? Chi ha ordito quella trama? Si cercano i colpevoli di catastrofi, povertà, guerre, diseguaglianze, ma anche dei mille soprusi e abusi, della mancanza di etica, del malessere diffuso, dell’infinita perdita di senso». Sarebbe uno sbaglio però sbarazzarsi di un atteggiamento che genera tali domande bollandolo come semplicemente infantile o regressivo (anche se non sono pochi gli esempi convocabili a sostegno di una sua stigmatizzazione). La filosofa Donatella Di Cesare ha composto uno scritto molto denso e straordinariamente informativo, nonostante le piccoli dimensioni, al fine di circumnavigare il continente del complotto contemporaneo. I risultati ai quali è pervenuta sono assai apprezzabili, perché sfuggono al vizio caratteristico di ogni complottismo: semplificare per liquidare, immaginarsi una profondità che regga e spieghi il caos registrabile in superficie, e soprattutto cercare un unico responsabile per deresponsabilizzare tutti gli altri. La chiave consiste quindi nel considerare il complotto non tanto come un fenomeno “marginale”, ma come la vera “figura” del potere attuale, o per meglio dire un suo problema specifico: «Forse il complotto è proprio la maschera del potere nel tempo del potere senza volto. Occorre allora smascherare piuttosto questo dispositivo arcaico che spinge a ipotizzare un’arché, un principio e un comando, che la democrazia dovrebbe aver già da tempo destituito».
Proponendo l’etimologia della parola – dopo averla proiettata sullo sfondo di concetti affini, ma anche diversi in un modo decisivo: congiura, cospirazione – l’autrice scrive: «I cultori e i patiti delle definizioni resteranno delusi. Già solo il tentativo di cogliere una volta per tutte l’essenza del “complotto”, che sfugge e si dissimula, è destinato a restare insoddisfacente». La delusione però non resta infruttuosa, lo sfuggire e la dissimulazione non si configurano come perdita secca, anche perché, vivendo in un’epoca in cui complotti e complottisti imperversano, è proprio nel contesto presente che possiamo fissare quella luce intrinsecamente votata a sbiadirsi per confonderci. Del resto, basta anche solo volgere uno sguardo all’intorno per capire quanto e come siamo immersi in un’atmosfera complessivamente caratterizzata da discorsi complottistici, e in cui schieramenti opposti rinfacciano all’altro le medesime accuse. Solo poche accurate analisi (delle quali c’è evidentemente un grandissimo bisogno) coltivano ancora l’ambizione di tirarsi fuori dalla mischia, al fine di discernere e capire. Il testo di Di Cesare offre certamente una di queste.
Ecco, dunque, come riconoscerne i tratti: «Se nella congiura ci sono volti e nomi, spesso perciò passati alla storia, il complotto è una massa compatta e indistinta, una collettività di cui i singoli restano sconosciuti, un insieme senza nome, un aggregato senza volto. Il complotto è questa entità vaga e nebulosa, opaca e sfuggente. Non c’è giuramento, né promessa solenne, ma neppure afflato o aspirazione comuni. Nulla che richiami a un accordo esplicito. Solo un groviglio oscuro, un viluppo fitto, in ci si può indovinare a stento la filigrana di una trama. Il mistero aleggia su quell’intreccio, l’enigma lo permea o lo tiene insieme. Quella “intelligenza” superiore e nascosta è talmente impersonale da far pensare a un inquietante ingranaggio autonomo». Leggendo attentamente quanto precede sentiamo che è la cifra stessa del potere – la sua determinazione “tecnica” – ad essere diventata “complottista”, poiché i processi decisionali sembrano in effetti ormai sfuggire a qualsiasi logica lineare, e ogni suo rappresentante appare così manovrato da animatori strumentali e permanentemente occulti. Chi, invece, passa oggi per “complottista” è soltanto colui che tenterebbe di sottrarsi disperatamente a un simile intrico, cercando nella matassa un filo col quale intrecciare una narrazione riconoscibile (letteralmente: un plot), orientata a cogliere una ORIGINE certa. E pazienza se tale narrazione apparirà assurda, incredibile. Pazienza se l’ORIGINE certa sarà tutt’altro che originaria e sicura: solo l’assurdo e l’incredibile sono ormai ritenuti in grado di “svelare” ciò che per principio non si può svelare.
L’utilità del libro sta essenzialmente qui, vale a dire nella sua capacità di non schiacciarsi su una interpretazione moraleggiante del “complottismo”, oppure di ipotizzarne un démontage improntato a una epistemologia “forte” o “fondazionalista”, ma di coglierne quelle implicazioni sistemiche che lo rendono ubiquo e assolutamente perfetto per descrivere il passaggio storico che stiamo attraversando: «Anche gli anticomplottisti – chiosa infatti alla fine l’autrice – si rivelano ossessionati dal complotto». Ma esiste un modo per uscire da questo circolo? Intanto recuperando un senso più sfumato e contrattabile (e questo significa anche: falsificabile) di “verità comune”. Non si tratta di far scontrare narrazioni apparentemente alternative ma in realtà mutuamente dipendenti da un dispositivo discorsivo processato da meccanismi proliferanti e perciò incontrollabili. Essendo un’arma di depoliticizzazione di massa (perché cerca sempre un livello occulto di per sé introvabile, scaricando di continuo il barile), l’unico modo per contrastare il complottismo dovrebbe piuttosto essere quello di ritornare ad un concetto più circoscritto e partecipato di pólis: spazio pubblico abitato da attori rimessi finalmente a un aperto confronto democratico.
Donatella Di Cesare, Il complotto al potere, Einaudi 2021, pagine 113, Euro 12
Gabriele Di Luca
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Immagine di apertura da Wikipedia: Caricatura di Lev Trotsky in un manifesto di propaganda dell’Armata Bianca durante la Rivoluzione russa (qui l’immagine intera)