Faccia a faccia con Caramaschi: la vita a Bolzano dopo la pandemia
In questi tempi particolari e pandemici, l’attività politica di sindaci, governatori, ministri e premier ha toccato livelli raggiunti in passato solo dagli arbitri di calcio, da quelli alla Byron Moreno più che alla Paolo Casarin. È questo uno dei motivi principali che mi hanno spinto a chiedere un incontro al sindaco di Bolzano. Settantacinque anni compiuti da poche settimane, Renzo Caramaschi è stato rieletto nelle pause tra le due prime ondate pandemiche e appare decisamente in forma dietro agli ampi divisori in plexiglass dalla sala della Giunta Comunale in cui lo incontro. L’unico accordo pre-intervista riguarda proprio il Covid, devo presentarmi da solo e indossare una mascherina Ffp2 dello stesso tipo che indossa anche il sindaco.
La prima domanda la sbaglio, confondo le date della sua elezione, ma Caramaschi non ci fa caso e risponde partendo dalle decisioni prese dalla sua amministrazione durante il primo lockdown, quello che ha dato il nome a tutti gli altri: «Gestire un’emergenza imprevedibile cercando di resistere alle varie pressioni contrastanti è stato complicatissimo. Ho fatto molta fatica a far comprendere che rispetto ai Dpcm, i sindaci hanno poteri decisamente ridotti. Per esempio, non potevamo e non possiamo allargare le maglie delle restrizioni, possiamo solo renderle più severe. Le restrizioni decise a livello provinciale, inoltre, valgono per l’intero Alto Adige, ma Bolzano ha caratteristiche particolari: ha un’alta densità abitativa e di conseguenza non ha gli stessi problemi di un paesino di montagna. Questo ha ispirato le mie decisioni durante il primo lockdown, ma purtroppo non è stato compreso. Anche se passavo le notti su Facebook nel tentativo di dare una risposta ai cittadini».
Da quel primo lockdown è però passato un anno e dall’emergenza si è passati ad una pseudo normalità che necessita di altri approcci: «Le limitazioni che viviamo tutti nella quotidianità, colpiscono ovviamente anche l’amministrazione comunale che è anche una società di servizi per i cittadini. Solo per fare un esempio, non è stato semplice spostare gran parte delle attività verso il telelavoro e creare appositamente oltre 400 postazioni. Ora le cose incominciano a funzionare, abbiamo preso l’abbrivio, ma il lavoro è raddoppiato perché occorre gestire la normalità e l’eccezionalità. Non mi piace lamentarmi, ma era ed è durissima, perché dobbiamo intervenire con la maggiore rapidità possibile in un contesto che ce lo impedisce».
Il passaggio tra il primo e il secondo mandato era solo uno dei tanti problemi da gestire: «Ero sindaco prima della pandemia e sono stato rieletto l’autunno scorso. L’emergenza ci ha colpiti in un momento particolare e ha complicato le attività già problematiche del fine mandato e della formazione della nuova Giunta. Le ordinanze governative e provinciali si sono susseguite incessantemente con ricadute notevoli su tutto il lavoro e a questo si aggiunga il rinvenimento delle bombe della seconda guerra mondiale che ci hanno costretto ad ulteriori piani di emergenza. Mi lasci dire che abbiamo fatto miracoli, grazie anche all’opposizione che ha capito l’eccezionalità del momento e ha agito con spirito costruttivo».
Andrebbero messi in conto anche i contrattempi a livello personale, ma, il sindaco preferisce soffermarcisi troppo: «Le dico solo che ho cambiato le gomme ad ottobre e ora le ricambierò senza che abbiano fatto un solo chilometro. So di non essere l’unico, ma anche io per evitar rischi, non vedo mio nipote da ottobre». Difficoltà che tutti dovremmo ricordare prima di passare alle critiche, ma che non possono nascondere gli errori compiuti, soprattutto dall’amministrazione provinciale, in quest’ultimo anno. «Capisco la frustrazione e la difficoltà dei cittadini e delle categorie economiche, ma sono le curve di contagio e di occupazione dei letti in terapia intensiva a decidere chiusure e aperture. Non si possono scollegare salute pubblica ed economia, viaggiano in parallelo. Le decisioni sono state prese in base ai dati». A questo riguardo provo a far presente che, solo per fare un esempio, il 5 gennaio scorso la Giunta ha deciso le aperture in controtendenza con le indicazioni nazionali e gli esempi europei. Tipico caso proprio di chi non ha compreso quanto sia stretto il collegamento tra salute pubblica e rilancio economico. «Forse – mi concede – siamo stati viziati dall’autonomia che funziona a livello amministrativo, ma non contro la pandemia. Il virus non legge gli statuti e non verifica quali lingue si parlino nei territori. Credo servisse e serva maggiore uniformità nelle decisioni e le misure del premier Draghi mi sembra vadano proprio in questa direzione».
A proposito di direzione, come sarà la Bolzano dei prossime mesi? Il sindaco sembra far dipendere il futuro del capoluogo proprio dalle prossime settimane: «Se manteniamo la prudenza, se la smettiamo con le manifestazioni no vax e no mask e procediamo velocemente con le vaccinazioni possiamo incominciare a guardare al futuro con uno sguardo diverso. Ripeto, prima, però, devono abbassarsi le curve di contagio e il numero di persone ricoverate in terapie intensiva».
Forse è ancora presto, ma è innegabile che quando si uscirà dall’emergenza tutto quello che è stato nascosto dalla pandemia uscirà alla luce del sole e il sindaco sembra esserne perfettamente cosciente. «I problemi economici e psicologici della popolazione incominciano a farsi sentire, lo osservo quotidianamente. Chiaramente dovremo tornare a incentivare la vita sociale della città, ma ci stiamo già attrezzando. Fuori!, la rassegna del Teatro Stabile che porterà cento spettacoli in tutta la provincia ha avuto il nostro più completo sostegno. Dobbiamo riportare scintille di cultura e socialità in ogni angolo della città».
Apprezzo l’intento e la rima, ma mi permetto di ricordare come troppo spesso gli eventi culturali all’aria aperta finiscano per scontrarsi contro l’insofferenza di alcuni cittadini che faticano a distinguere la differenza tra città e dormitorio e al primo rumore “molesto” chiamano i vigili per denunciare il disturbo della quiete pubblica. «Non lo vede perché ho la mascherina, ma sotto sto ridendo. Quelli che telefonano ai vigili continueranno a farlo, ma l’anima di una città è data dal suo consumo culturale. La cultura è la vitamina di una città e comunque tutto il settore culturale ha bisogno di essere riavviato anche per questioni economiche. Ma credo che quest’anno non ci saranno molte proteste, tutti abbiamo bisogno di tornare al contatto umano».
Parole che suonano rassicuranti e che mi spingono ad allargare il discorso. Come già ripetutamente osservato in questa rubrica, troppo spesso le politiche pubbliche assecondano le richieste di chi vuole una città silenziosa e deserta, limitando eventi e spazi di convivenza. I cortili che sono diventati parcheggi per le auto, gli innumerevoli cartelli di divieto nei giardini pubblici…Da questo punto di vista le parole del sindaco sono state meno rassicuranti: «L’amministrazione investe in maniera decisa negli impianti sportivi e nei campi da gioco, ma esiste un problema di mancato controllo, di educazione e di ignoranza».
Lo interrompo per precisare meglio la mia domanda: «Ma ai suoi tempi non giocava a pallone nei cortili?». «Certo, i muri della case facevano da porte e a volte si colpiva anche qualche finestra, ma comportamenti che ai tempi erano considerati normali ora non sono più accettati. Noi improvvisavamo tutto pur di giocare, ora per svolgere queste attività servono strutture apposite . Ai tempi, però, c’era autoresponsabilizzazione, oggi c’è meno inventiva». Non è necessario essere d’accordo su tutto ed è giunto il momento di lasciare il sindaco ai suoi impegni. Ci salutiamo scambiandoci i libri che abbiamo scritto come i capitani delle squadre si scambiano i gagliardetti al centro del campo. Uno dei due riprenderà a giocare in un campo con arbitri e misure regolamentari, l’altro in un cortile con regole e strutture improvvisate. Credo che nessuno dei due desideri invertire i ruoli.
Massimiliano Boschi