Koloko Street, là dove muore la politica. Una mostra al Foto Forum di Bolzano
Koloko street è il titolo della mostra di Georg Zeller che è ospitata, ma non aperta al pubblico causa pandemia, al Foto Forum di Bolzano.
Ma Koloko street è anche una strada vera dal nome finto che attraversa una delle 6500 security estate (complessi abitativi sicuritari) sudafricane. Nella realtà, è una strada senza uscita che sembra il sogno di ogni giardiniere, tra prati all’inglese tutti perfettamente rasati e cespugli che sembrano appena usciti dal parrucchiere. Non a caso, gli unici esseri umani che si notano osservandola su Street View vestono la classica tuta blu e armeggiano con rastrelli e vanghe.
Selezionando la visione dall’alto, si può apprezzare anche l’elevatissimo numero di piscine nonostante i gravissimi problemi di siccità del Sudafrica. La visione d’insieme, invece, ricorda molto da vicino la “Seahaven” di Truman Show. A circondarla, però, non c’è il mare, ma un’alta inferriata che la protegge dal mondo esterno.
Le regole per accedervi sono più o meno quelle di un Country Club. Come spiega Georg Zeller: “Serve l’ invito di un residente, io l’ho potuta visitare attraverso una mia conoscenza personale che ha deciso di trasferirsi lì dopo che alcuni uomini armati avevano fatto irruzione nella sua casa di Pretoria. La scelta era tra proteggere solo la propria casa con filo spinato e fotocellule o di trasferirsi in una di queste security estate in cui le recinzioni delimitano uno spazio più ampio”.
L’ingresso, ovviamente, è sottoposto a rigidissimi controlli: “I residenti entrano attraverso un riconoscimento delle impronte digitali, mentre gli esterni possono entrare solo se invitati. Ricevono un pin sul cellulare, lo mostrano all’ingresso e con questo il personale di guardia risale alla persona che li ha invitati da cui ricevono il pin di conferma”.
Non a caso, questo è il tono degli annunci delle agenzie immobiliari che vendono le abitazioni di Koloko Street e dintorni: “La sicurezza è ovviamente della massima importanza ci sono cancelli di accesso controllato, una recinzione perimetrale elettrificata e guardie di pattuglia 24 ore su 24“.
“Chi ci vive – precisa Zeller – vede le security estate come l’unica soluzione possibile, ma per potervi abitare devi firmare un contratto di decine di pagine in cui sono specificate le piante che puoi piantare, gli animali domestici che puoi tenere, i colori delle case nonché le severe normative sulla privacy e sulla non divulgazione di informazioni e immagini”.
Ecco spiegato anche l’indirizzo falso per il titolo della mostra che, come precisa il curatore Stefano Riba: “Ospita le fotografie di un luogo che potrebbe essere ovunque. E’ una riflessione globale e non circoscritta a un determinato ambito geografico e storico. Le security estate non sono una prerogativa solamente sudafricana, ma sono propri dei paesi dove la ricchezza è iniquamente distribuita e la società è estremamente polarizzata, per citarne alcuni: Brasile, Messico, Argentina, India e Israele”.
GEORG ZELLER – KOLOKO STREET, FOTO FORUM, BOLZANO
Quella del Sudafrica, però, è una realtà particolare e una delle molte domande suscitate dalle fotografie di Zeller riguarda proprio l’apartheid e la radicale trasformazione delle sue “riserve”.
Il regime segregazionista le aveva create per accogliere gruppi di popolazione indigena africana su basi etnico-linguistiche, i cosiddetti Bantustan aboliti nel 1994. Quelle di oggi sono riserve molto diverse, è proibito entrare e non uscire e sono fondate sulla ricchezza e non più sulla razza. Come spiega Zeller: “Vi risiedono anche africani bantu e asiatici, ma in proporzione inversa rispetto all’esterno. (I “bianchi” sono oggi il 13% della popolazione sudafricana contro il 75% dei bantu ndr). Il punto fondamentale è che in questi quartieri non si fa più affidamento sulle politiche o sulle forze dell’ordine governative, ma si mette la propria sicurezza nelle mani di società private. È come vivere in una grande e lussuosa prigione. Le foto le ho realizzate in notturna proprio per amplificare l’idea della segregazione domestica. La presenza umana si intuisce solo dalle luci accese di qualche abitazione”.
La grande forza della mostra sta proprio in questo buio, in quel che suggerisce ma non mostra, nel suo farci ragionare sullo strettissimo legame che da sempre collega la libertà e la sicurezza.
La rinuncia alla politica come gestione e direzione della vita pubblica, la sua “privatizzazione”, la rinuncia a politiche di welfare e la scelta di lasciare alle forze dell’ordine la gestione delle problematiche sociali, hanno creato e continueranno a creare questi ghetti per ricchi.
Per chi li trovasse piacevoli, ecco la quotidianità di chi le abita nelle parole di Zeller: “Non vi sono scuole all’interno del quartiere e quelle esterne sono super protette. Ogni auto in ingresso è controllata anche attraverso il classico metal detector che passa sotto le auto. Per fare le spesa resta solo il centro commerciale, anch’esso sorvegliatissimo, che ospita anche palestre e altre strutture per lo sport e il divertimento”.
In sintesi si passa da un “ghetto” a un altro, ma non sembra bastare nemmeno questo. “Non ho potuto verificare di persona – conclude Zeller – ma mi hanno raccontato che nelle giornate prima di Natale, uomini armati stazionano all’ingresso di questi quartieri privati per fermare le auto di lusso. Chi è bordo, anche se si trova su un auto con i vetri blindati, preferisce scendere e lasciarla nelle mani di chi ti punta un mitra addosso. Pare che i boss della malavita utilizzino questa tecnica per regalare auto di lusso alle fidanzate”.
Massimiliano Boschi
Immagine di apertura: ©Georg Zeller