Le startup dei mercati emergenti. Intervista a Konstantin Hapkemeyer

C’è chi pensa che le startup esistano solo in USA, UK ed Europa, ma non c’è nulla di più sbagliato. In India, ad esempio, il numero delle startup è cresciuto da 471 nel 2016 a quasi 73mila nel 2022. Dietro a dati come questo, sta il fatto che la diversità culturale è alla base della creatività e la creatività è il motore dell’innovazione. Non è un caso, infatti, che le aree geografiche con la più alta densità di startup innovative siano quelle caratterizzate dall’immigrazione e da un ambiente sociale estremamente vario.
A questo proposito nel 2012 tre imprenditori svizzeri – Michael Weber, Adrien de Loës and Pierre-Alain Masson – hanno fondato Seedstars Group, una società internazionale di investimenti e formazione con sede a Ginevra. Il suo obiettivo principale è quello di costruire una comunità imprenditoriale nei mercati emergenti e di frontiera, scoprendo le più promettenti imprese early-stage a forte crescita. Konstantin Hapkemeyer, bolzanino classe ’95, lavora in Seedstars da quasi sei anni ed è stato il loro prima analista d’investimento. Lo abbiamo contattato per capire meglio come funzionano i mercati emergenti e quali sono le loro potenzialità.

Di cosa si occupa precisamente?

Lavoro nell’ambito del venture capital, ossia il capitale di rischio. Il primo passo è quello di raccogliere capitale da investitori come la Banca Mondiale o la Fondazione Rockefeller. Successivamente, facciamo tre cose: troviamo imprese interessanti, le analizziamo e le aiutiamo a crescere. Solitamente, dopo circa otto anni le vendiamo.

Cosa vi distingue da altre società di investimenti?

Direi la strategia: siamo stati tra i primi a investire in startup nei mercati emergenti, proprio perché crediamo che Paesi come il Brasile, il Messico, l’Indonesia, l’India e la Nigeria saranno le grandi potenze economiche del futuro.

Altro che mercati “piccoli e poveri”…

Infatti. Molte persone sono ancora fortemente convinte che le grandi opportunità si trovino soltanto in Europa e negli Stati Uniti, eppure, si prevede che entro vent’anni sei delle sette economie più grandi saranno paesi che oggi chiamiamo in via di sviluppo. Basti pensare che l’85% della popolazione globale si concentra in queste zone e che mentre l’età media in Europa è di 42 anni, in Africa, ad esempio, è di 18.

Quali sono i criteri con cui seleziona le startup?

Il criterio più importante è sicuramente il team. Dal momento che lavoro principalmente con startup nelle loro fasi iniziali, è fondamentale prendere in considerazione la motivazione, la dedizione e la visione del fondatore o della fondatrice. Altri aspetti importanti sono poi la validità del prodotto o del servizio proposto, la valutazione e i termini dell’investimento e la dimensione del mercato, ossia il numero totale di potenziali clienti. A proposito di quest’ultimo, infatti, capita spesso che nei mercati emergenti le idee imprenditoriali siano valide e interessanti, ma il mercato del settore sia ancora troppo piccolo.

Nello specifico, di che tipo di progetti imprenditoriali si tratta?

Il 40% dei nostri investimenti è nel fintech, ossia in startup che forniscono un servizio finanziario ai loro clienti. Un esempio è Baubap, in Messico, che si occupa di offrire microcrediti ai clienti e si sta poco alla volta trasformando in una banca digitale. Quando tre anni fa abbiamo investito in questo progetto, il loro fatturato annuo era di 100.000 euro; quest’anno si prevede che raggiungano i 100 milioni. Un altro 40% dei nostri investimenti, invece, è nei marketplace, come ad esempio quello di Jumba, una piattaforma online che digitalizza l’acquisto e la vendita di materiali da costruzione in tutto il territorio africano.

È un caso che nei progetti che segue la tecnologia sia sempre protagonista?

Assolutamente no, è frutto di un focus che è cambiato molte volte in questi sei anni di lavoro in Seedstars Group. La passione per il mercato finanziario l’ho avuta fin da bambino, nonostante i miei genitori siano sempre stati coinvolti nel mondo dell’arte e della cultura, mentre l’interesse per la tecnologia si è manifestato più tardi, durante gli anni dell’università a Maastricht. Finalmente posso dire di aver unito questi due elementi e di lavorare a progetti che utilizzano la tecnologia per sviluppare soluzioni scalabili.

Su cosa si concentrano le sue ricerche quando deve individuare le startup in cui investire?

L’approccio non è sempre lo stesso, cambia molto a seconda della zona geografica e del periodo. In linea generale, conduco una ricerca su un settore o un trend che reputo interessante circa ogni sei settimane. L’ultima di cui mi sono occupato era sulla trade finance, mentre al momento ne sto seguendo una legata all’intelligenza artificiale.

Sembra lei sia una persona molto curiosa…

Moltissimo. Penso sia uno dei prerequisiti fondamentali per fare un lavoro come questo, oltre ad una forte passione per gli ambienti di lavoro dinamici. Giusto per rendere l’idea: inizialmente ho lavorato molto in Asia e ho vissuto sei mesi in Myanmar, per poi viaggiare molto in Africa, specialmente in Kenya e Nigeria. Attualmente viaggio ogni due o tre mesi, prevalentemente in America latina, Africa o Asia, i paesi in cui opero.

Al momento invece dove vive?

Vivo a Lisbona insieme a mia moglie e lavoro interamente da remoto, eccezion fatta per le riunioni occasionali nella sede di Seedstars, a Ginevra. Nonostante un po’ di solitudine, trovo che questa soluzione sia estremamente vantaggiosa, poiché mi permette di vivere e spostarmi ovunque io voglia nel mondo.

Vittoria Battaiola

Immagine in apertura: Konstantin Hapkemeyer

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