La serie di ARTE sul futuro dell'Europa. Intervista al regista Andreas Pichler

La serie “Europa. Kontinent im Umbruch” (2022) è un viaggio incalzante, colmo di fatti, dati ed esempi dentro le pieghe dell’Europa -anche quelle meno conosciute- e che fa luce senza pregiudizi e buonismi su cosa c’è in gioco per il prossimo futuro, come un’enciclopedia o, meglio, un prontuario concreto per il futuro. Agricoltura, alimentazione, mobilità, energia, politiche sulla migrazione e digitalizzazione: questi i temi affrontanti in sei episodi di 50 minuti ciascuno girati da sei rinomati registi e registe provenienti da tutto il continente*. A coordinare il progetto nel ruolo che in termini tecnici si definisce di “showrunner”, il pluripremiato regista sudtirolese Andreas Pichler. Andata in onda nel 2022 sulla tv franco tedesca ARTE e sulla rete della televisione pubblica tedesca ARD, la serie è stata candidata al prestigioso premio giornalistico franco-tedesco 2023 (Franco-German Journalism Preis). Proviamo a far emergere lo spirito di questo ciclopico progetto parlandone con Andreas Pichler, che incontriamo in un pomeriggio di giugno a Bolzano.

“Si, è stato un lavoro complicato e faticoso, ma lavorare sul campo e con i colleghi provenienti da diversi paesi europei ha messo in atto un processo fruttuoso: da un certo punto di vista qui pensiamo di essere al centro dell’Europa e geograficamente lo siamo, ma con questo progetto ho capito le dinamiche dell’est Europa. C’è stata un’apertura che ha fatto del documentario un vero lavoro europeo” racconta Pichler.

Dalla serie emerge la volontà di gettare uno sguardo dall’alto– anche a livello grafico, con immediata visualizzazione dei dati: è immediato quanto l’Europa sia interconnessa in tutti i temi cardine che trattate, mobilità, agricoltura, energia, migrazione etc.

Spesso quando si parla di Europa si riduce tutto a una questione di territorio nazionale – i tedeschi fanno così, i polacchi colà etc.- ma di fatto ci sono dinamiche costanti, e forze che vanno ben oltre i singoli stati. Ad esempio, un aspetto che ritorna è la differenza tra centro e periferia. Anche nel ricco ovest si trovano problematiche simili a quelle dell’est, ad esempio in molti paesi periferici della Francia i servizi pubblici non arrivano; mostriamo come si sta tentando di sopperire con servizio di ufficio-bus mobile che porta i servizi agli abitanti.

Volete mostrare soluzioni e possibili vie da percorrere, a far vedere che “si può fare”, nonostante tutto…

È una questione di sguardo: all’inizio eravamo molto più critici, siamo tutti registi che lavorano con temi caldi, sul campo. Poi dopo il Covid e la guerra in Ucraina ci è sembrato importante dare esempi positivi, una speranza, e non ce li siamo inventati, si trovano, anche se raccontare storie che funzionano è meno affascinante e c’è meno attenzione. Per strane logiche psicologiche umane il giornalismo critico di sola denuncia, che rivela ingiustizie e “porcate”, è più appetibile.

Gli esempi “virtuosi” sono tantissimi, dalla svolta verso la decarbonizzazione in Danimarca con le pale eoliche, alle alle iniziative di democrazia partecipativa con la piattaforma “decidim” a Barcellona; dalla storia del giovane Andrij Zinchenko fondatore di un’azienda che produce pannelli solari in Ucraina fino alla Svizzera che è riuscita a imporre il trasporto merci su rotaia, adottato anche da colossi come Migros, solo per citarne alcuni.

Migros è un esempio di come un grande player economico sfrutti bene il trasporto su rotaia; la spinta della Svizzera viene dal basso, dalla popolazione, per imporre il trasporto su rotaia ci sono state lotte anche di strada, la signora Christa Mutter (Alpen Initiative) è un’attivista che a suo tempo aveva bloccato l’autostrada. Era importante raccontare che la società civile può arrivare a raggiungere certi obiettivi.

Un altro aspetto che emerge è la complessità: nessuna soluzione è definitiva e porta con conseguenze e aspetti da considerare come ad esempio le auto elettriche

Quello del trasporto è uno dei temi da cui emerge meglio il nostro approccio, si vede come non basta puntare ad una mobilità verde per i grandi centri cittadini, ma anche le periferie vanno incluse in questa visione di mobilità sostenibile e pubblica: se sei escluso dai trasporti sei escluso anche dal lavoro, mentre studi dimostrano che dove c’è accesso alla mobilità si muovono anche diversi gruppi sociali, come accade in alcune città della Francia. In Estonia in quasi tutto il paese non si pagano gli autobus. Insomma, si va verso il diritto alla mobilità.

A proposito di diritti: secondo lei, anche alla luce delle testimonianze e delle realtà che raccontate, in cosa l’Europa ha “tradito” i valori cardine su cui si basa, lo spirito europeo?

Non raccontiamo solo l’Unione Europea come realtà politica, ma comunque, oltre alla retorica antieuropea degli stati nazionali, il fatto è che a livello europeo c’è stata più attenzione agli sviluppi economici e meno all’integrazione sociale e culturale, è evidente.

Di tutti gli esempi e le storie che raccontate ce n’è qualcuna che l’ha colpita maggiormente?

Sicuramente quella del ragazzo ucraino Andrij Zinchenko che a Zaporižžja vicino alla centrale di Cernobyl ha avviato un progetto di fotovoltaico la Solar Town, non è un discorso puramente ecologico, ma una questione di democrazia. Una tecnologia come il nucleare, che ha portato alla catastrofe di Cernobyl ha bisogno di molto know-how, ed è in mano ad un’élite ristretta, mentre i pannelli solari sono più democratici. Per lui è importante mostrare come ognuno possa fare un cambio e decidere che energia vuole consumare.

Andreas Pichler. Foto © Julia-Sellmann

Un altro aspetto che emerge è che occorre andare oltre a categorie di pensiero rigide e opposte, come natura contro tecnologia, essere umano contro mondo animale ..mi ha colpito l’esempio dell’architetto tedesco Thomas E. Hauck, che considera il portare la natura nelle città come una forma di democraticizzazione : non tutti possono permettersi di andare in montagna e godersi la natura

Si, questo riguarda non solo il verde ma anche la fauna, ormai è un dato fatto che in molte città europee ci sia più biodiversità che nei territori limitrofi -una delle ragioni è la pressione dell’agricoltura intensiva che spinge gli animali verso le città, dove peraltro trovano da mangiare. L’architetto paesaggista Hauck è parte del gruppo Animal Aided Design, che lavora a grandi progetti di urbanizzazione e public housing, un’architettura che lascia spazio alla fauna, intervenendo in modo che le abitazioni offrano la possibilità agli animali di trovare un loro spazio (es. che gli uccelli possano fare i loro nidi).

Certo parliamo di un salto culturale. La tecnologia può aiutare anche a creare carne in laboratorio, come mostrate Mercedes Vila Juárez, co-fondatrice di Biotech Foods in Spagna

Mi sono occupato di agricoltura anche col documentario sul sistema latte “The Milk System”, l’agricoltura consuma enormi risorse, specialmente quella intensiva per la produzione della carne e la svolta verso l’agricoltura biologica non succederà, ci sono troppe lobby.  Ma vedo che anche molti giornalisti del settore, che per anni si sono schierati a favore del biologico ora ripongono le speranze nella carne in vitro. Non sarà una questione etica, ma di prezzo perché costerà molto meno e sarà una rivoluzione, cambierà tutto.

Un cambio difficile da accettare in un paese come l’Italia

Forse in Italia ci sono zoccoli più duri e più tradizionalisti, ma per paesi come gli Stati Uniti o la stessa Germania non vedo problemi, basta che abbia il sapore di carne, che poi di carne si tratta, solo cresciuta da una cellula in laboratorio. Le conseguenze saranno enormi perché abbiamo milioni di animali da allevamento…

Senza i quali ci saranno anche meno emissioni di CO2

E meno nitrati dagli allevamenti intensivi, che vanno a finire nelle falde acquifere, come mostriamo nell’episodio sull’alimentazione con la dott.ssa Manuela Lasagna dell’Università di Torino.

L’Alto Adige, secondo lei, come sta affrontando le sfide di cui parlate?

A livello di digitalizzazione siamo molto indietro, ma è un problema che riguarda tutta l’Italia. Tornando all’Estonia, che è molto avanti in questo settore: qui firmiamo fogli e fogli per la privacy ma di fatto è difficile controllare cosa succede veramente con i nostri dati, mentre in Estonia ognuno ha la sua cartella clinica digitale e può controllare chi accede e denunciare, con conseguenze penali, chi accede senza diritto. È una questione tecnica certo ma anche di fiducia nelle istituzioni, di trust, non a caso i paesi scandinavi sono all’avanguardia.

L’opinione pubblica è pronta ad accettare i cambiamenti che dobbiamo affrontare?

Ogni tema va preso a sé, poi si sa che l’opinione pubblica è “flessibile” e strumentalizzabile. D’altro canto ci sono stati molti cambiamenti e molto è successo in questi anni, la pandemia ha polarizzato ulteriormente, le persone sono arrabbiate e stanche, hanno paura…anche lavorando al mio nuovo documentario sull’orso (iniziato prima di quanto accaduto a Caldes nello scorso maggio,ndr) ho visto che si ha paura di perdere la propria identità, nelle valli e nei paesi -e non mi riferisco solo al Trentino. Si teme di non poter più vivere la vita come facevano i nostri nonni, con la sensazione di essere in gabbia, espropriati della libertà. Qualcuno mi ha detto “ho la sensazione che mi stanno togliendo la mia Heimat”. Non per nulla attecchiscono le posizioni di estrema destra.

La serie verrà trasmessa in Italia?

In Italia è difficile trovare spazi televisivi per questo tipo di prodotto, per il documentario è un deserto, anche se ci sono tanti registi e registe molto brave.

Nei suoi lavori c’è sempre una forte spinta etica, da dove viene?

Forse è una questione di famiglia a casa ci sono sempre state discussioni politiche. Per me fare documentari significa raccontare la realtà, ma anche contribuire a cambiamenti per migliorare la società. Non faccio film di lotta, sono un documentarista e anche se si sente quello che penso, preferisco lasciar che chi guarda si faccia la sua opinione.

 

*La serie di ARTE tv “Europa. Kontinent im Umbruch” è prodotta da Point du Jour, zero one film e Clin d’Œil. Oltre ad Andreas Pichler, come regista showrunner, il team di registi e registe è composto da: Pierre-Olivier François e Roland Théron dalla Francia, Joakim Demmer dalla Svezia, Nina Paschalidou dalla Grecia e Tonislav Hristov dalla Bulgaria.

Caterina Longo

Immagine in apertura: foto courtesy zero one

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