Tra i palombari della Marina al lavoro sui fondali del Lago di Varna: «Recuperiamo 800 bombe al giorno»
Era il 2016 quando una bambina ripescava una bomba a mano dai fondali del lago di Varna, poco lontano da Bressanone, facendo partire la ricerca di altri ordigni. È una magnifica giornata dell’autunno 2021 quando mi incammino verso quello stesso lago per incontrare il comandante di Corvetta Rosso e il nucleo dei palombari della Marina Militare italiana impegnati nell’opera di bonifica dei fondali. Fortunatamente, in quattro anni di lavoro hanno rinvenuto pochissime bombe a mano, in compenso hanno recuperato oltre cinquantamila bombe da fucile della prima guerra mondiali e ancora oggi ne “pescano” circa 800 al giorno.
Il lago di Varna
Percorro il sentiero che dal campeggio conduce al lago in totale silenzio, gli alberi filtrano i raggi del sole autunnale che solo in vista del laghetto riescono a dispiegarsi liberamente finendo per renderne immobili le acque. In un angolo della riva opposta, reso quasi invisibile dall’ombra degli alberi, scorgo un canotto con alcune persone a bordo, proseguo per pochi metri e mi trovo a fianco della staccionata e del divieto di accesso che servono a delimitare l’area di lavoro delle operazioni di bonifica. Non faccio in tempo a cercare l’ingresso che sento il saluto del comandante Rosso del nucleo di Ancona del Servizio Difesa Antimezzi Insidiosi (Sdai). Indossa un giubbotto aperto sopra la tuta della Marina, incredibilmente trasmette l’aria di chi si sente a casa e non può non colpirmi in una terra in cui nessuno sembra sentirsi completamente a casa propria. Che ci riesca un “marinaio” di stanza a Bressanone mi riempie di buonumore tanto che non riesco a far finta di nulla e gli chiedo come si trova da queste parti: “Beh, dopo tanto mare un po’ di montagna non fa male. Poi, nei mesi di giugno e luglio quando più a sud si soffoca per l’afa, potersi permettere le serate con il maglioncino è sicuramente piacevole”.
Il tono con cui lo dice e il contesto in cui mi trovo mi fanno venire voglia di arruolarmi, un desiderio che mi passa immediatamente dopo aver chiesto a che punto è la bonifica: “Non lo sappiamo, abbiamo già recuperato oltre cinquantamila bombe da fucile, ma non abbiamo idea di quante ne restino. Il fondo è melmoso e non conosciamo esattamente la stratificazione degli ordigni, a volte è di 20 centimetri, altre di un metro. Quel che so è che ne tiriamo fuori circa 800 al giorno tutti i giorni, da anni e finché continua così è difficile fare previsioni. Lo scopriremo solo scavando”. Le operazioni di bonifica vengono effettuate da aprile a metà novembre perché di inverno il lago ghiaccia e gli uomini dello Sdai lasciano la Valle Isarco per andare alla ricerca di altri ordigni in lidi più caldi. “Siamo tutti palombari con uno specifico addestramento, siamo sommozzatori e artificieri. Siamo addestrati a operazioni in mare, laghi e fiumi, basta che ci sia dell’acqua. Dove non si può intervenire con le galosce, arriviamo noi”.
Gli ordigni
Mentre parliamo, sull’altra sponda del lago continuano le attività di recupero degli ordigni che il comandante Rosso sintetizza così: “Siamo sette operatori che lavorano dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 16. Un nostro operatore si immerge alla ricerca del materiale che può essere fatta solo al tatto a causa della visibilità praticamente nulla. Non appena ci muoviamo dal fondo si alza una melma che rende tutto invisibile, non possiamo aiutarci con la luce perché si crea solo un effetto nebbia. Per questo, chi opera sul fondo tiene in una mano la cima che lo orienta nella ricerca e con l’altra recupera il materiale che viene controllato visivamente prima di essere inserito in apposite ceste. Queste vengono poi recuperate sul canotto e inserite in appositi sacchi, ognuno ne contiene venti. Raggiunta una certa quantità, vengono portati a riva e successivamente consegnati agli uomini del Genio Guastatori dell’esercito che li fanno brillare in una cava che si trova a circa un chilometro dal lago”.
Va precisato che non si tratta di ordigni particolarmente pericolosi, sono bombe da fucile dell’esercito austroungarico della prima guerra mondiale. Bombe che avevano una gittata di circa trenta metri ed erano utilizzate specificatamente per dare l’assalto alle trincee. Si ipotizza che ne siano state scaricate nelle acque del lago poco prima della ritirata: “Probabilmente erano conservate al forte di Fortezza e per non lasciarle in mano al nemico, le hanno trasportate con uno o più treni in discesa verso sud e scaricate in acqua”.
Un laghetto che 1918 al 2016 è stato frequentato in totale tranquillità, a dimostrazione di come il rischio sia contenuto: “Dal lato in cui abbiamo rinvenuto gli ordigni, abbiamo trovato persino delle corde legate ai rami che venivano utilizzate per tuffarsi. Non è mai successo nulla perché quelle bombe in acqua sono stabili, ma il tritolo si conserva per centinaia di anni e tirandolo fuori dall’acqua si alterano gli equilibri e, una volta asciugato, riacquista tutte le sue caratteristiche. Vista la quantità, queste bombe da fucile si possono trovare facilmente ed è proprio questo il problema. Finché non li abbiamo recuperati non possiamo rendere il lago balneabile”.
Precisato che il lago si trova su terreno privato, mentre le acque del lago sono provinciali, mi faccio spiegare cosa succede quando si trova qualche ordigno di tipo differente: “Abbiamo trovato solo qualche bomba a mano che è molto più instabile. Quando le troviamo, vengono distrutte in loco da personale dell’esercito perché sono ordigni più sensibili e non si possono trasportare”.
Mentre parliamo, dalla riva opposta fanno sapere che è giunto il momento del cambio: il sommozzatore rientra a riva, il canotto con “il pescato del giorno” anche, mentre un altro palombaro si prepara indossando la muta. A orecchio, percepisco un accento marchigiano e uno ligure, per cui chiedo dettagli sulla composizione del nucleo operativo: “Oltre al sottoscritto ne fanno parte il Luogotenente Armato, il Luogotenente Pastore (infermiere), il Luogotenente Mormile, il Secondo Capo Scelto Russo, il Sottocapo Longo e il Sottocapo Damiani”. Provengono da Marche, Veneto, Liguria e Campania e il Comandante Rosso approfitta del “cambio” per mostrarmi l’equipaggiamento: “La bombola è dotata di doppio erogatore, uno di emergenza, mentre la muta è totalmente stagna. Può essere in trilaminato o in neoprene, ma il risultato non cambia, quando l’operatore se la toglie sotto è completamente asciutto. Vista la temperatura, sotto ci si veste come per andare a sciare. Complessivamente, l’attrezzatura pesa circa trenta chili, per fare un paragone, quella classica da palombaro che viene utilizzata ancora oggi per le esercitazioni ne pesa 75”.
Il recupero
E’ quasi mezzogiorno e la temperatura dell’acqua è attorno ai nove gradi e oggi c’è uno splendido sole: “Ghiaccio a parte, siamo abituati a operare in ogni condizione climatica. Il vento o la pioggia possono complicare le operazioni ma non le fermano”.
Nel frattempo, ha attraccato il canotto, non me ne ero accorto perché non hanno utilizzato il motore. Il laghetto è un biotopo e gli spostamenti possono essere fatti solo con i remi. A bordo scorgo una ventina di sacchi e il comandante mi mostra quello meno pieno. “In ogni sacco mettiamo venti ordigni per non renderlo troppo pesante. Ogni bomba da fucile pesa un chilo e mezzo e in alcuni casi è ancora griffata con l’aquila dell’esercito austroungarico”. Altre volte sono “millesimate” e recano impressa la data di produzione. Quella che tira fuori dal sacco è un grosso proiettile arrugginito, sembra inoffensivo, ma immagino che non si possa abbassare la guardia: “Esatto, il nostro lavoro non può diventare una routine, non si deve mai perdere la concentrazione, rispettiamo scrupolosamente la check list e lavoriamo immaginando sempre che l’ordigno si trovi nella sua forma peggiore. La cautela è fondamentale e necessaria e non ce lo possiamo dimenticare”.
Il fondale del lago di Varna ripreso da una telecamera:
Prima di salutare, conto il numero di sacchi sul canotto, sono una ventina. In una mattinata di lavoro sono state recuperate 400 bombe da fucile, costruite in quantità enormi per uccidere più nemici possibili. A oltre un secolo di distanza continuano ad essere un problema. Così come le bombe d’aereo della seconda guerra mondiale che, ancora oggi, costringono interi quartieri cittadini a essere evacuati. Oggetti e immagini che stridono nettamente con la pace che ci circonda. Saluto il comandante Rosso chiedendogli se per il week end ritorneranno a casa. Mi risponde che lo utilizzeranno per “riconfigurarsi” da lago a mare, la prossima settimana hanno in programma un intervento a Termoli e a Varna verranno sostituiti da un altro nucleo. La bonifica procede senza sosta mentre io rientro camminando sul sentiero verso Varna. Pochi passi e scorgo uno scoiattolo che si arrampica in cima agli alberi, osserva prima me e poi gli uomini della Marina. Sembra perplesso.
Massimiliano Boschi