Lavoro, come occupazione solo Germania e Uk davanti all'Alto Adige
Con un tasso di occupazione riferito al 2017 pari al 72,9%, la Provincia di Bolzano si posiziona al terzo posto dopo Germania (75,2%) e Regno Unito (74,1%), di poco davanti all’Austria (72,2%). Più indietro la Provincia di Trento che, con il 67,6%, eguaglia il tasso dell’Ue a 28, ma si posiziona dietro anche all’Emilia Romagna (68,6%). Sono molto evidenti le distanze con le Regioni del Sud Italia, che vedono come fanalini di coda la Campania (32%), la Calabria (40,8%) e la Sicilia (40,6%), attardate anche rispetto alla Grecia (53,5%). È quanto emerge dall’analisi “Squilibri dell’occupazione nelle Regioni in Italia e in Europa” realizzata dal Centro Studi CNA.
«Se in questa particolare graduatoria, elaborata dal Centro Studi CNA – commenta Claudio Corrarati, presidente della CNA-SHV dell’Alto Adige – l’Alto Adige si posiziona per tasso di disoccupazione immediatamente a ridosso di due nazioni traino dell’Europa, vuol dire che le politiche economiche applicate negli ultimi cinque anni sul territorio hanno dato i loro frutti, contrastando gli effetti della crisi economica. Per il futuro, però, occorre ragionare su come mantenere questi livelli di occupazione, se possibile migliorandoli ancora, agendo non soltanto sulla leva dell’innovazione, tanto più che su R&S siamo tra gli ultimi in Italia, ma operando soprattutto sul bilancio provinciale per trovare le risorse necessarie agli investimenti».
La CNA-SHV ha preso atto con favore dell’iniziativa del presidente della Provincia, Arno Kompatscher, di avviare un dibattito con le associazioni di categoria ed i sindacati sulla situazione economica dei lavoratori e sulla qualità del salario. «Non vorremmo però – afferma Corrarati – che la preoccupazione sia tutta per il potere d’acquisto dei lavoratori e non per i datori di lavoro, che possono creare nuova occupazione ed aumentare i salari solo se si ricreano le condizioni che la crisi ha spazzato via: nei periodi di magra, i titolari di micro, piccole e medie imprese, pur di non licenziare, hanno ipotecato con le banche tutti i beni che avevano. Occorre pertanto consolidare le piccole imprese, che non supererebbero una nuova fase di crisi».
Nel frattempo, la volontà di migliorare le condizioni economiche dei lavoratori è un tema che trova l’attenzione di CNA-SHV «e che deve essere portata – prosegue il presidente – sul tavolo di confronto tra le parti sociali per sviluppare soluzioni aziendali e territoriali. L’artigianato, ad esempio, se parliamo di qualità del salario, fatica a competere con il resto d’Europa che beneficia di una pressione fiscale più bassa, ma ha sviluppato sistemi come il fondo sanitario integrativo e le prestazioni dell’Ente bilaterale artigiano che valgono svariate decine di euro al mese in più per i dipendenti e sono una forma di integrazione al reddito».
L’analisi del Centro Studi CNA evidenzia che «nel 2017 molta enfasi è stata posta sul recupero dei livelli occupazionali pre-crisi. Scarsa attenzione è stata invece posta sulle storiche rigidità del nostro mercato del lavoro, che continuano a relegare l’Italia al penultimo posto della graduatoria europea dei tassi di occupazione. Nell’Unione Europea, infatti, solo in Grecia la percentuale degli occupati rispetto alla popolazione attiva risulta più bassa di quella italiana. La capacità del nostro Paese di creare occupazione appare particolarmente deludente se confrontata sia con quelle di Francia e Spagna, sia, soprattutto, con quelle di Germania e del Regno Unito. L’Italia si caratterizza in negativo anche per la presenza di squilibri occupazionali a livello territoriale di gran lunga più accentuati che negli altri paesi dell’Unione Europea. Nel nostro Paese, infatti, coesistono tassi di occupazione più bassi di quello della Grecia e tassi di occupazione prossimi a quello della Germania. Nel primo gruppo, rientrano sei regioni meridionali, nel secondo le sole province di Bolzano e Bologna».
«Nonostante la drammaticità di questi dati, che certificano l’esistenza di una Italia fortemente diseguale – secondo la CNA – il tema degli squilibri territoriali e, in particolare, del ritardo di sviluppo delle regioni meridionali, approfonditosi negli ultimi dieci anni, non sembra trovare posto nel dibattito politico. Ci sarebbe bisogno di politiche di coesione territoriale, in grado di favorire l’imprenditorialità e di attrarre investimenti nelle regioni meridionali. Invece sembra quasi che si continui a fare finta che il problema del dualismo economico non esista, quando invece esso riguarda quasi la metà delle regioni italiane nelle quali risiede circa il 34% della popolazione attiva del nostro Paese».