L'Università di Bolzano: nessuna e trina?

In un contesto come quello altoatesino, la presenza di un’università è vitale, è probabilmente il più importante investimento sul futuro di questo territorio, non solo per evitare la fuga di cervelli e/o compensarla attraendone qualcuno dall’estero.
Per raggiungere questo obiettivo, da tempo era necessario un cambio di passo che oggi, dopo la pandemia, deve trasformarsi in un deciso cambio di rotta. I numeri forniti dall’Astat aiutano a definire il contesto. Nell’ultimo anno pre-pandemico, il 2019/20, gli altoatesini iscritti presso gli atenei italiani o austriaci erano complessivamente 12.832. Di questi, 6.144 studiavano presso le università italiane (47,9%) mentre 6.688 (52,1%) erano quelli iscritti nelle università austriache (Purtroppo, come precisato dall’Astat, non sono disponibili dati statistici relativi agli altri paesi perché “in molti casi viene rilevata solo la cittadinanza e non la regione di provenienza degli iscritti”).
Ciò premesso, di quei 12.832 studenti universitari altoatesini solo 2058 sono iscritti alla Libera Università di Bolzano, il 16% del totale, o meglio, il 16% di quelli iscritti a università italiane o austriache. Un numero che dimostra quanto ancora ci sia da lavorare per evitare la cosiddetta “fuga di cervelli”.
Non va meglio sul versante l'”importazione di cervelli” visto che gli studenti stranieri iscritti a Unibz sono il 10,7% del totale, quindi circa 450. Proveremo più avanti a spiegare le ragioni che portano a questi numeri che non possono essere considerati soddisfacenti, quel che è certo è che non sono figli della mancanza di disponibilità economiche. Il bilancio per l’anno accademico 2021-2022 di Unibz era 103, 9 milioni di euro di cui 87,2 milioni provenienti dalle casse provinciali. Un bilancio che è circa la metà di quello dell’Università di Trento (statale) che però ha circa il quadruplo degli iscritti (16534 contro 4046 – dati 2021/2022 fonte Ustat Miur).

L’attualità

Passando dai numeri all’attualità, l’ateneo altoatesino si trova ad affrontare una serie di questioni che stanno generando mugugni e lamentele che solo raramente finiscono sulle pagine dei giornali. C’è, per esempio, il braccio di ferro in atto sulla trasformazione del Conservatorio Monteverdi nella Facoltà di Musica di Unibz. I docenti di quest’ultimo chiedono di essere equiparati a quelli universitari, ma pare manchino le necessarie risorse economiche.
Di diverso tenore, invece, i mugugni relativi alla fusione tra la di Facoltà di Scienze e Tecnologie e quella di Informatica per dare vita alla  nuova facoltà di Ingegneria che avrà sede al Noi Techpark. In questo caso, le lamentele si concentrano sulla mancata partecipazione al processo decisionale che è vissuto come un’imposizione dall’alto. Una scelta quindi non condivisa che continua a destare molte perplessità. Praticamente tutti i docenti consultati – a dire il vero non solo quelli delle facoltà interessate alla fusione – si lamentano della mancanza di condivisione delle scelte, della scarsa comunicazione tra le varie facoltà e di una mancanza di trasparenza esplosa in tutta la sua evidenza con il caso delle dimissioni, poi rientrate, del Rettore Paolo Lugli.

La lettera al Rettore

In sintesi, tutti i docenti interpellati si sono lamentati del fatto di non essere stati informati delle dimissioni del Rettore e di averle apprese dai giornali. Stesso discorso quando queste dimissioni sono rientrate. Emblematica, non solo da questo punto di vista, la lettera che uno dei docenti “storici” ha inviato al Rettore e che è circolata diffusamente tra tutto il personale di Unibz. “In qualità di professore tra i più anziani in unibz, spero che mi scuserai se mi permetto di esprimere un suggerimento: secondo me sarebbe il caso di indire un’assemblea generale, dove ci illustri a grandi linee le tue vicissitudini: la rinuncia al tuo mandato e la successiva rinuncia all’incarico all’ambasciata a Berlino. Molti di noi hanno letto la notizia della tua decisione di lasciare il mandato come rettore sui quotidiani locali. So che ha spiazzato parecchi e ha aperto una serie di quesiti ai quali è difficile trovare una risposta. Ritengo tra l’altro che i docenti abbiano il diritto di conoscere i motivi di queste decisioni; l’assemblea generale sarebbe anche un’occasione ideale per iniziare ad aprire una discussione ampia sulla nostra università. avendo ultimamente parlato con molte colleghe e colleghi, ti posso dire che osservo fra noi professori una certa insoddisfazione, accompagnata però da un grande desiderio di essere coinvolti nel costruire la nostra Libera università di Bolzano”.
Lettera che è rimasta senza risposta, a dire il vero come le domande che diversi mesi fa abbiamo inviato al Rettore proprio per comprendere meglio quel che stava avvenendo all’interno dell’Università.

Il cambio di rotta

Tutto questo aiuta a comprendere con maggiore chiarezza il quadro complessivo. Un osservatore esterno non può non notare come all’interno diUnibz si ripresentino le questioni che caratterizzano questo territorio. Una su tutte: l’idea che sia il mondo a doversi adattare all’Alto Adige e non il contrario. Sono, infatti, decisioni legate ad esigenze locali che spiegano gran parte dei problemi strutturali di Unibz. Lo straordinario successo delle università dei Paesi Bassi è figlio di precise politiche avviate negli ultimi vent’anni dal governo olandese e si basa anche e soprattutto sulla vastissima offerta di corsi in lingua inglese. Un’offerta tale da permettere che la quota di studenti internazionali ospitati in Olanda superi il 20% del totale.In Alto Adige si è, invece, scelta la strada del trilinguismo per pure esigenze locali, senza chiedersi perché mai uno studente tedesco dovrebbe venire a imparare l’italiano a Bolzano invece che a Firenze, Roma e Bologna. Una scelta che, per altro, spinge molti studenti ad abbandonare l’università di Bolzano quando si rendono conto di quanto il trilinguismo complichi il percorso di studi.
Purtroppo, però, questa non è l’unica “tripartizione” che complica la crescita dell’ateneo altoatesino. L’altra riguarda la suddivisione dei corsi e delle facoltà tra Bolzano, Bressanone e Brunico. Premesso che in un contesto globalizzato come quello attuale l‘appeal di queste tre città nei confronti dei giovani è ovviamente scarso, la suddivisione in tre città diverse fa sì che in nessuna di esse si crei la necessaria massa critica che trasformi una di queste località in una città universitaria. Una di quelle città in grado di attirare i giovani per la vivacità culturale e sociale che soprattutto a Bolzano è, invece, osteggiata in ogni modo.
Quei pochi che, ostinatamente, desiderano comunque iscriversi alle Facoltà altoatesine, si ritrovano a doversi confrontare con il caro affitti che come denunciato dall’Associazione Studenti Sudtirolesi: “fino al 30% dei giovani che superano i test d’ingresso sono costretti a rifiutare per la mancanza di alloggi”.
Non è un caso, quindi, che i nuovi corsi di laurea tenacemente voluti dal Rettore e dalla Provincia abbiano faticato notevolmente a raggiungere il numero minimo di iscritti.
Il cambio di rotta a cui si faceva riferimento in precedenza si sta rendendo inevitabile e lo invocano soprattutto coloro che vogliono bene a questa università e che chiedono pubblicamente di essere coinvolti “nel costruire la nostra Libera Università di Bolzano”.

Massimiliano Boschi

 

 

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