I cent’anni di Mike Bongiorno “l’altoatesino”

Era il 26 maggio 1924 quando l’italo-americano Philip Bongiorno e la torinese Enrica Carello diedero alla luce Michael Nicholas Salvatore Bongiorno, successivamente noto come  “Mike”, il presentatore che non ha bisogno di presentazioni. Nato a New York, Mike Bongiorno arrivò in Italia solo sei anni più tardi, quando la famiglia dovette lasciare gli Stati Uniti a causa della crisi del 1929. Statunitense di nascita, ottenne la cittadinanza italiana solo nel 2003. sei anni prima della sua morte, avvenuta a Monte Carlo nel 2009. Ne esistesse una, avrebbero potuto concedergli anche la cittadinanza altoatesina ad honorem. Non solo perché parlava due delle tre lingue della provincia, l’italiano e il ladino, ma anche perché tra Bolzano e la Val Gardena visse alcuni dei momenti più importanti della sua vita.
Li ha raccontati lo stesso Mike Bongiorno nella sua autobiografia, “La versione  di Mike”, uscita nel 2007 per Mondadori. L’Alto Adige compare sin dalle prime pagine, quelle in cui racconta dei difficili rapporti tra i suoi genitori: “Rammento l’ultima estate insieme ai miei genitori; la passammo a Ortisei in Val Gardena. Fu l’ultimo momento felice in cui ricordo la mia famiglia felice insieme. Chissà, magari per loro non lo era già più, ma per me bambino fu uno dei momenti più felici della mia vita. Un momento radioso, che ho sempre custodito come un tesoro nella memoria. Viaggiammo insieme, vidi grandi e alte montagne, scene di bellezze naturali mozzafiato che mi sono rimaste impresse nella mente e nel cuore, e che probabilmente sono sempre andato ricercando nella mia vita. Forse è per questo che amo così tanto la montagna. Quelle meravigliose vacanze dell’estate del 1934 si interruppero bruscamente: papà dovette scappare, probabilmente a causa dei litigi con la mamma, ma anche per via della morte del nonno Michelangelo. Divorziarono poco dopo. Non tornarono mai più insieme. Fu una decisione che influì sul resto della mia vita”.

La copertina de “La versione di Mike” (Mondadori)

Il secondo ricordo gardenese, invece, ebbe risvolti, almeno inizialmente, più lieti. Mike frequentava il liceo classico Rosmini di Torino con risultati piuttosto mediocri in matematica, materia in cui veniva regolarmente rimandato. “Gli esami di riparazione  – scrive nella sua biografia –  li preparavo sempre in Val Gardena dove ogni estate andavo in villeggiatura con la mamma. Affittavamo sempre la stessa villa a Ortisei, Villa Vallazza. Mi sdraiavo con i miei libri su un prato verde di fronte alle montagne e studiavo matematica, poi andavo a sostenere gli esami che superavo brillantemente. Fu in quegli anni che, crescendo con i giovani di Ortisei, imparai il ladino, la lingua locale, che tuttora parlo e capisco perfettamente”. Sempre a Ortisei, Mike Bongiorno racconta di essere rimasto folgorato dalla visione di un film: “Lettere d’amore dall’Engadina” di Luis Trenker.  Fu una vera ispirazione per me. Il film mi fece sognare. venni conquistato dalla poesia della montagna che onorava, e mi appassionai alla storia del maestro di sci rubacuori e innamorato”.
Gli anni del successo, prima radiofonico e poi televisivo, erano ancora lontani, anche perché, proprio mentre frequentava il liceo, scoppiò la seconda guerra mondiale. Questo non impedì a Mike di passare le vacanze in Val Gardena anche nel 1942, quando ebbe modo di frequentare un gruppo di marinai mandati sulle Dolomiti per ossigenarsi: “Erano tutti bel ragazzi che si diedero da fare anche per infrangere il cuore a tante belle tirolesine – ricorda Mike. Mi incaricarono di far loro da guida, e partimmo cosi per una serie di gite in alcune località nei dintorni di Ortisei. Li portai all’Alpe e di Siusi, al Monte Pana, al rifugio Rasciesa, e per ultimo feci vivere loro la grande avventura della scalata in roccia, il Sass Rigais che saliva fino a 3025 metri. È un’arrampicata molto semplice con tre o quattro passaggi con corda fissa, o perlomeno lo era quando la feci l’ultima volta, nel 1942 Quando arrivammo in cima i marinai erano felici come dei bambini”. Purtroppo, come precisa lo stesso Bongiorno, quei marinai non videro mai la fine della guerra, morirono tutti a bordo di una nave affondata dagli inglesi nella zona di Haifa.

Il lager di Bolzano
Appena ottenuta la maturità nell’ottobre del 1943, Mike si ritrovò ad affrontare l’occupazione tedesca in Italia da cittadino statunitense. Finire in un campo di prigionia nazista era molto più che un’ipotesi, per questo decise di allontanarsi da Torino: “Avendo una discreta conoscenza della montagna e della neve, e sapendo che si andavano organizzando le prime formazioni partigiane, andai a nascondermi in un paesino che si chiama Sauze d’Oulx”. Lì entrò nella Resistenza. Nella primavera successiva, però, il ventenne Mike Bongiorno venne catturato dai tedeschi. Venne prima internato nel carcere di San Vittore e poi trasferito a Bolzano, nel lager di transito di via Resia dove rimase prima di essere trasferito a in quello di Spittal, in Austria. Ci restò fino al febbraio 1945, quando venne liberato grazie a uno scambio di prigionieri tra truppe statunitensi e tedesche.
Nella sua biografia,  Mike Bongiorno ricorda quando venne invitato a Bolzano nel giugno del 2004 proprio per ricordare gli anni del lager: “Del campo di Gries, che nel dopoguerra è stato totalmente demolito – si legge –  oggi esiste solo un muro davanti al quale recentemente ho pianto ricordando quei drammatici giorni. Durante la cerimonia per il restauro e la conservazione del monumento alla memoria, di fianco a me c’erano anche l’ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro e il presidente della Regione dell’Alto Adige. Anche loro, come me, avevano le lacrime agli occhi. (Nda. A dire il vero, insieme a Scalfaro era presente il presidente della Provincia Luis Durnwalder. Si dovrebbe quindi ipotizzare che fossero di quest’ultimo le lacrime).
Negli anni del dopoguerra, Mike Bongiorno divenne uno dei volti più noti della televisione italiana. Le sue gaffes, i suoi tormentoni, e il saggio che gli dedicò Umberto Eco, lo resero un simbolo dell’Italia del dopoguerra. Nonostante i brutti ricordi passati, Mike continuò ad amare e frequentare la provincia di Bolzano, non solo per sciare e per arrampicarsi.

L’ultimo ricordo altoatesino citato nella biografia, riguarda, infine, la sua amicizia con Luciano Pavarotti: “Ci incontravamo ogni anno da Henri Chenot a Merano per fare delle cure ricostituenti, per perdere peso e disintossicarci dalla cattiva alimentazione. Le ultime volte che ci sono andato, mi capitava di dare il cambio a Pavarotti nella più bella stanza che aveva Chenot, e Luciano, partendo e sapendo che subentravo io, mi faceva sempre trovare in stanza degli amichevoli e affettuosi bigliettini”.

ma.bo.

Immagine di apertura tratta dalla quarta di copertina de “La versione di Mike” autobiografia di Mike Bongiorno (Mondadori)

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