La tragica storia della piccola Olimpia Carpi tradita da chi accolse Priebke e Eichmann

La puntata scorsa era terminata in via Visitazione, poco prima dell’incrocio con via Druso, dove è ospitato un giardinetto che è poco più di uno spielplatz per bambini. È dedicato a Olimpia Carpi che, come recita una targa collocata sul cancello di ingresso: «Aveva tre anni quando fu deportata nel campo di sterminio nazista di Auschwitz Birkenauı». A lei e alla sua famiglia, sono dedicate anche cinque pietre d’inciampo collocate sul marciapiede di Cassa di Risparmio, nello spazio antistante alla “Sparkasse Academy”.

Nel 1943, infatti, la famiglia Carpi risiedeva nell’imponente edificio all’angolo tra via Cassa di Risparmio e via Leonardo da Vinci, una casa popolare costruita nel 1930 che aveva, e ha, il suo ingresso principale al numero civico 20 della strada dedicata all’autore della Gioconda. Il capofamiglia, Renzo Carpi, fu il primo ebreo italiano ad essere arrestato dopo l’Armistizio, nelle prime ore del 9 settembre 1943. Insieme a lui venne fermato  il figlio Alberto. Le donne di famiglia, la moglie Lucia Rimini, la figlia Germana di sedici anni e Olimpia, di soli tre anni e mezzo, vennero arrestate una settimana più tardi. L’unica notizia certa sulla loro sorte riguarda proprio la piccola Olimpia, uccisa in una camera gas ad Auschwitz il 7 marzo del 1944, venti giorni più tardi avrebbe compiuto quattro anni.

A quanto pare, la rapidissima detenzione della famiglia Carpi fu figlia di una delazione da parte di un negoziante di cui Renzo era cliente. I dettagli me li ha raccontati qualche anno fa Cesare Moisè Finzi, nipote di Renzo: «Ci fu anche un processo nel dopoguerra, ma si chiuse con una assoluzione per insufficienza di prove, nonostante fossero state rinvenute in casa dell’accusato alcune posate con le iniziali dello zio. Non fu nemmeno l’unico processo in cui furono coinvolti gli eredi. Renzo, attorno al 1940, aveva comprato una azienda agricola sul lago di Caldaro da un consorzio agrario pubblico. Aveva anche pagato la caparra, ma quando si recò a firmare il contratto definitivo, la vendita venne annullata perché non era permessa la vendita agli ebrei. Non gli venne nemmeno restituita la caparra. Per riaverla, servì un processo che si concluse nel 1957».

La ricostruzione dell’arresto dei Carpi è stata pubblicata da Cinzia Villani in «Ebrei fra leggi razziste e deportazioni» (edito Società Studi Trentini). All’alba del 9 settembre  un medico bolzanino P.K. e un commerciante J.C. che aveva un negozio a due portoni di distanza in via Leonardo Da vinci 16, prelevarono Alberto e Renzo Carpi e li trascinarono all’Hotel Bristol dove vennero reclusi.  Nei giorni successivi, padre e figlio vennero costretti a pulire le strade della città di Bolzano. Una settimana più tardi, nella notte tra il 15 e il 16 settembre, venne arrestato il resto della famiglia. Appresa la notizia, un’amica dei Carpi si recò sul posto e trovò l’appartamento completamente svuotato mentre lungo via Leonardo Da Vinci giacevano pezzi di mobili fracassati. Tutti gli oggetti di valore erano stati portati via.  Lucia, Germana e Olimpia furono trasferite a Reichenau già nella giornata del 16, Renzo e Alberto rimasero in carcere a Bolzano fino al 28 settembre, poi nessuna notizia.

Purtroppo la famiglia Carpi non potè contare su molta solidarietà, anzi, si  potrebbe dire che i Carpi fossero circondati. Perché mentre il commerciante delatore stava in via Leonardo Da Vinci 16, due portoni di distanza, verso sinistra, al numero 24, due portoni più a destra, venne ospitato Otto Pape, all’anagrafe Erich Priebke, il boia delle Fosse Ardeatine. Secondo la ricostruzione di Gerald Steinacher pubblicata in «La via segreta dei nazisti»  (Rizzoli 2010), Priebke restò in via Leonardo da Vinci 24 per alcune settimane nel luglio del 1948, prima di partire per Genova e quindi per l’Argentina. Nell’anno precedente, Priebke aveva trovato rifugio a Vipiteno insieme alla famiglia. Ad aiutarlo nella fuga, alcuni preti sudtirolesi di Vipiteno e Bolzano e il tristemente noto Alois Pompanin, vicario generale della Diocesi di Bressanone che soccorse, oltre a Priebke, anche Adolf Eichmann e la moglie di Martin Bormann. Va però precisato, che prima di aiutarli, li obbligò tutti a battezzarsi.

Come detto, Priebke venne ospitato per oltre un anno a Vipiteno a casa di amici, in via della Stazione, mentre anche Adolf Eichmann trovò accoglienza in Alto Adige grazie al parroco di Vipiteno che lo aiutò a rifugiarsi presso i francescani di Bolzano in attese dei documenti, ovviamente falsi. Servivano per imbarcarsi per l’America Latina, e glieli fornì il Comune di Termeno che lo dotò di una una nuova identità con il nome di Riccardo Klement. Lo stesso Comune fornì i documenti falsi anche a Josef Mengele, «l’angelo della morte» il medico del lager di Auschwitz noto per i suoi terribili esperimenti sugli internati, ma di quest’ultimo ci occuperemo  prossimamente.

In chiusura, si vorrebbero sottolineare tempistica e luoghi di quanto scritto finora. Gli uomini della famiglia Carpi vennero arrestati in quanto ebrei a dodici ore dalla notizia dell’Armistizio dell’8 settembre.  Ai criminali nazisti in fuga verso l’America Latina, invece, venne concessa ospitalità per settimane, mesi o anni, a seconda delle necessità. Criminali che hanno potuto contare su una rete di soccorso diffusa e organizzata, formata da importanti personalità di Vipiteno, Bressanone, Bolzano e Termeno. (Su Merano e dintorni si tornerà prossimamente). Eriche Priebke è morto a Roma nel 2013, aveva cent’anni, della famiglia Carpi non si è saputo più nulla, scomparsi “passando per un camino”, del vescovo di Bressanone Alois Pompanin sappiamo, invece, che venne decorato il 22 febbraio 1958 dal governo tirolese austriaco con l’”Ehrenzeichen des Landes Tirol” per “Gegner der Einflussnahme der Nazis in Kirchenangelegenheiten/Contrasto dell’influenza nazista nelle questioni ecclesiastiche”. L’aver battezzato Priebke e Eichmann si è rivelato utile.

(segue…)

Massimiliano Boschi

di Massimiliano Boschi

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