Si scrive Parthenope, si legge Instagram. La “presa di vicinanza” del nuovo film di Paolo Sorrentino
Cinema. I primi minuti di “Parthenope” il nuovo film scritto e diretto da Paolo Sorrentino sono quanto di più “confortevole” (quindi noioso?) che si possa immaginare. Profondissime scollature, spacchi vertiginosi, striminziti costumi da bagno, candidi accappatoi, terrazze vista mare inondate dal sole e nudità evocate, ma mai mostrate. Parthenope, interpretata da Celeste Dalla Porta, è sempre perfetta su sfondi perfetti, ammicca, sorride, lancia baci in impeccabile stile “reels” di Instagram. Ma Napoli non è Sorrento e soprattutto, il regista è napoletano e non sorrentino, un nomen omen che pare una dannazione.
Perfettamente in linea con questo, Parthenope è ammirata da tutti, ma non si concede a nessuno, si nega con sfacciataggine soprattutto ai più facoltosi, Instagram non è Only Fans e tocca farsene una ragione. Ma la città di Napoli non può essere ridotta a uno scenario che fu da cartolina e ora incornicia i selfie, non è perfetta e nemmeno aspira ad esserlo. Lo “scroll” viene quindi interrotto da un cambio di registro evidente, dal giorno alla notte, quando Parthenope incontra il suo Fedez e in coppia attraversano la “plebe” napoletana in una notte di Capodanno regalando sorrisi e contanti. (l pandori da quelle parti non hanno mai funzionato). Subito dopo, la coppia “simil ferragnez” si ritrova ad assistere ad un organizzatissimo amplesso in una sala da biliardo. I due protagonisti dell’evento, quelli si completamenti nudi, fanno il possibile per compiacere il pubblico molto più che loro stessi e il risultato ne è la naturale conseguenza: un disastro. Lo sguardo di chi ci circonda uccide il piacere personale e individuale, si gode nell’intimo, non in pubblico. A volte qualcuno se lo dimentica e Sorrentino fa bene a ricordarlo.
Più in generale, il film prosegue il filone già apprezzato ne “il divo”, “Loro” e “La grande bellezza”, un’indagine sul concetto contemporaneo di bellezza, senza la presa di distanza e la “denuncia” di Ruben Östlund. Perchè quella di Sorrentino non è “una presa di distanza”, ma di vicinanza. La comicità del regista napoletano – seppur per immagini – è “alla Troisi” non “alla Totò”, non c’è sberleffo o invettiva, siamo fatti così e non è nemmeno obbligatorio arrivare a farci i conti. Si ricordi, però, che la bellezza è imperfezione.
Tutto questo funziona unicamente perché resta ancorato allo straordinario cinismo sorrentiniano, un approccio che emerge splendidamente nelle invettive di Greta Cool (Luisa Ranieri) contro la città di Napoli o nella grottesca Flora Malva (Isabella Ferrari) che, nel disperato tentativo di restare bellissima, diventa inguardabile, in senso letterale. Una versione “noir” delle donne lampadario.
Per chiudere, “Parthenope” rimanda continuamente alla recente filmografia sorrentiniana a “Youth”, “The Young Pope” e “La mano di Dio”, anche se questa volta sono prima le dita e poi altre parti divine, a rendere felice Parthenope. Una scena che, grazie soprattutto all’accompagnamento sonoro, è probabilmente la più divertente dell’intero film.
Massimiliano Boschi
Il trailer di Parthenope