"Sono più brava degli uomini, ma non scrivetelo". La storia di Paula Wiesinger, campionessa su tutti gli sci
“Ero abbastanza vicina all’incidente e sono corsa giù con gli sci. Gervasutti non voleva ritirarsi e allora ho messo gli indumenti del ferito e ho continuato al suo posto. Ma su ai 4200 metri del Castore c’era un controllo medico per il cuore, il dottore è andato con la mano sotto il maglione e ha capito che ero una donna. Mi ha proibito di continuare, non per il cuore, quello era buono, ma perché ero una donna, un’irregolare ….”. Con queste parole Paula Wiesinger (Bolzano, 1907-Castelrotto, 2001) celebre campionessa di sci e alpinista, riporta* uno dei tanti racconti che aleggiano intorno alla sua leggenda, quando nella competizione internazionale di sci alpinismo sul Monte Rosa “Trofeo Mezzalama” si traveste da uomo per gareggiare al posto dell’infortunato Gervasutti. L’episodio avviene 90 anni fa, nel maggio 1935, quando le donne non erano ammesse alle gare di sci alpinismo, un tipo di competizione che alterna l’arrampicata in salita e lo sci in discesa su terreni montani impegnativi e innevati. Non a caso il trofeo Mezzalama è stato definito “maratona dei ghiacciai”. La bolzanina Paula Wiesinger era stata invitata come semplice spettatrice, ma aveva in realtà tutte le carte in regola per partecipare. Oltre ad essere una scalatrice formidabile, era un multi-talento degli sci: si era guadagnata la medaglia d’oro ai Campionati del Mondo nella discesa libera di Cortina d’Ampezzo nel 1932 e vantava un folto medagliere con quindici titoli sui 18 messi in palio in diverse specialità -discesa libera, slalom speciale e combinata- ai Campionati italiani dal 1931 al 1936, anno del suo ritiro. In particolare in quelli del 1931 a Roccaraso era entrata nel mito: pensando che fosse una competizione di sci nordico si era presentata con gli sci da fondo di due metri e venti – lei che era alta poco di più di un metro e sessanta. Ciò nonostante, aveva sbaragliato le avversarie nello slalom e nella discesa.
La Gazzetta dello Sport, Campioni del Giorno, 10 dicembre 1934
Insomma, quando avviene la vicenda del Mezzalama – la cui veridicità è stata messa in dubbio da Umberto Pelazza e Antonio Vizzi in una pubblicazione sul Trofeo – Wiesinger è comunque già una star, celebrata e ammirata dalla stampa italiana dell’epoca. Scorrendo gli articoli dell’epoca emerge, da una parte, il racconto entusiastico per il talento e l’energia di una donna straordinaria, che seppe imporsi con la semplice forza dei fatti. Dall’altro, è evidente un neanche tanto implicito “nonostante” rispetto a una certa immagine femminile dell’epoca, fascista e non: Wiesinger sarebbe incredibile nonostante il suo essere donna, nonostante le donne sarebbero destinate ad altro etc.
La Gazzetta dello Sport le aveva dedicato la Copertina di “Campioni del Giorno” del 10 dicembre 1934, con il grande volto sorridente di Wiesinger accompagnato dal semplice titolo confidenziale “La Paula”. “Ben si sa che la tua presenza rende deserte le corse e prevedibili oltre ogni immaginazione gli ordini d’arrivo” riportava invece il lungo articolo Istantanee di Paula pubblicato sulla Stampa solo pochi giorni prima a firma di Vittorio Varale (il 5 dicembre 1934), che elogia la campionessa sudtirolese con toni entusiastici e commossi: “Tra le sciatrici europee è certamente una delle migliori (ha vinto gare di eccezionale importanza) … io direi assolutamente dominante tra le alpiniste di tutto il mondo”. Come noto, Wiesinger fu, infatti, anche un’eccezionale alpinista. Unica donna in grado di superare un sesto grado come capo cordata, aveva aperto numerose vie sulle Dolomiti (Torre Winkler, Est del Catinaccio, Spigolo Sud di Punta Emma) insieme al marito Hans Steger, con cui aveva scalato la verticale della parete Sud del Catinaccio, diventando nota in tutto il mondo. Stunt women per la nota regista Leni Riefentstahl, Wiesinger è famosa anche per aver accompagnato il Re Alberto di Belgio nelle escursioni in montagna. E qui torna a fare capolino un certo pregiudizio, come emerge dal racconto pubblicato su fembio da Ingrid Runggaldier “Siccome i suoi connazionali erano spaventati per i pericoli cui il loro sovrano si esponeva durante le scalate, Alberto approfittava della presenza di Paula per tranquillizzarli: se riesce a farlo una donna, non può essere così rischioso”.
L’articolo su Paula Wiesinger pubblicato su La Stampa, 5 dicembre 1934.
Insomma, la presenza femminile doveva essere rassicurante. Al contempo, come ricordato all’inizio, il fatto di riuscire in imprese “toste” creava anche un certo disappunto negli ammiratori della campionessa, perché in troppo netta contraddizione con una certa immagine femminile di dolcezza “…certo a prima vista forte è il contrasto tra la montagna irta e ossuta, che precipita per dirupi a strapiombo o per lubriche lastre ghiacciate da una parte- e dall’altra la donna, creatura di dolcezza e di grazia, nata per la cura della casa e per le ragioni più intime della vita”, scrive ancora Varale nell’articolo sulla Stampa, interpretando sicuramente il sentire di molti, e molte dell’epoca e non. Ma in qualche modo prova ad uscirne, salvando capra e cavoli. Così continua nello stesso pezzo, a proposito delle donne scalatrici: “…che importa se il rude esercizio della montagna può togliere qualche morbidezza di contorni al loro carattere …(…) Per assurdo che sembri, la donna forte e coraggiosa s’impone e crolla l’illusione che Eva guerriera debba essere priva di fascini”.
Per quanto ne sappiamo, Paula Wiesinger era pienamente consapevole di queste contraddizioni e anche della possibile minaccia che il suo talento poteva rappresentare per gli uomini, come emerge dal ricordo scritto da Rolly Marchi sulla Gazzetta dello Sport in occasione della sua scomparsa, nel giugno 2011. Nel testo, Marchi rievoca un momento difficile di Wiesinger, quando, scalando la parete sud della Marmolada aveva visto in faccia la fine: “La roccia era ghiacciata, non potevano scalare, sono dovuta andare io da capocordata. Quella volta ho visto davvero la morte. Ma ho sempre voluto che nessuno scrivesse che pensavo di essere più brava degli uomini“, aveva detto la campionessa a Marchi, che commosso aggiunge nel suo articolo: “Nemmeno io l’avrei scritto. Ma adesso, avendolo spesso pensato, potrei farlo. A 94 anni mi avrebbe perdonato di sicuro. Addio cara, grande e unica amica.”
Caterina Longo
Immagine in apertura: Paula Wiesinger, foto Wikipedia (particolare)
*In: Enrico Camanni, Il desiderio di infinito. Vita di Giusto Gervasutti, Edizioni Laterza, 2017.