“Piccoli arcani”: la note misteriose e irriducibili di Marcello Fera

Cultura. Intervistare un musicista, non un cantante, è quasi sempre molto complicato. Bastano pochi minuti per comprendere che chi si ha di fronte preferirebbe comunicare con altri mezzi. Alla fine ci si ritrova ad appuntarsi solo poche ma precisissime parole da mettere per iscritto dopo averle diluite, stiracchiate, in altre parole, rovinate. Se poi si deve intervistare il compositore, violinista e direttore d’orchestra Marcello Fera in occasione dell’uscita del suo ultimo lavoro: “Piccoli arcani”, l’ansia cresce ulteriormente. Il nuovo album non solo contiene i “Canti dal silenzio”, ma anche un booklet che inizia con una citazione di Claude Debussy che del silenzio fa persino uno straordinario elogio. Tanto vale lasciare a casa il registratore a casa e prendere il blocco per gli appunti più leggero. E invece…
E invece ne è uscito un dialogo su libertà, creatività, sistema musicale e culturale approfondito e mai banale. Prima, però, due parole sul suo ultimo lavoro. “Piccoli arcani”, un’antologia che raccoglie musiche da camera composte da Fera negli ultimi vent’anni per violino, violoncello e contrabbasso (Trio Conductus) e per violino solo,

 

Maestro Fera, perdona la banalità della prima domanda, perché hai scelto il titolo “Piccoli arcani”?

Sono partito dall’idea che quando un brano musicale ti dice qualcosa, lo capisci immediatamente. E questo per me è un piccolo arcano. Certi brani ti parlano e ti interrogano, e per trovare il motivo del perché ti piace, chiederti devi impegnarti a fondo.

Nulla a che vedere con l’orecchiabilità…

Esatto, intendo qualcosa di più profondo che sfugge alla comprensione narrativa

“Piccoli Arcani” è il tuo nuovo disco, il tuo nuovo album, il tuo nuovo cd… Ecco, nel 2024 ha ancora senso produrre un disco, o comunque un supporto fisico che contiene dei brani musicali?

Sì, continua ad avere un suo senso, svolge la funzione di deposito di un insieme di idee, viene recensito, si trasforma in un “luogo” di riflessione e discussione.Poi è vero, quando regalo un mio cd chiedo sempre se hanno ancora il lettore, ovviamente “Piccoli arcani” è prodotto anche in versione digitale.

Ha ancora un suo ritorno economico?

No, dal punto di vista economico non serve a nulla, non solo per me, anche per i grandi nomi. Il disco, però, continua a raccogliere un pensiero estetico e musicale in forma definita ed è un biglietto da visita per l’artista.

Foto Karlheinz Sollbauer

Tu sei un musicista “anomalo” sotto diversi punti di vista, è difficile inserirti in una categoria

Ho percorso una strada in totale autonomia, una strada che non corrisponde alla fisionomia prevista dalla professione di musicista. E’ croce e delizia, ma mi permette di identificarmi molto in quello che faccio, ne sono felice, ma crea grossi problemi con il mercato della musica. Se non sei previsto in certe forme, è difficile essere accolti o anche semplicemente “collocati”.

E’ un percorso percorribile anche altrove o solo in Alto Adige?

Sono tentato di rispondere che può capitare solo qui, almeno in Italia. Ho capito che in Alto Adige/Südtirol potevo ritagliarmi lo spazio vitale adatto a questa strada totalmente autonoma.

Come te lo spieghi?

E’ una scelta legata al mio carattere, potevo fare il musicista solo in una certa maniera. Già da molto giovane ho percepito i miei limiti personali nel corrispondere alla forma richiesta, le mie difficoltà di ottemperare a quel che richiede essere un musicista. Ho quindi preferito lavorare sul patrimonio della mia diversità. Ora so quanto è stato prezioso questo lavoro, ma la scelta mi ha collocato fuori dal sistema.

Difficile conciliare libertà e reddito?

Beh, vale per tutti, ma spesso devo fare mente locale perché la realizzazione di un’idea è talmente gratificante per me, che devo usare una parte razionale esterna per considerare anche l’aspetto remunerativo  Ecco la politica culturale sudtirolese mi ha permesso di trovare un equilibrio tra i due aspetti.

In che modo?

Gli amministratori pubblici, i manager culturali credo debbano essere coscienti dell’importanza della produzione culturale, di quanto sia importante la creazione in questo territorio di opere che prima non c’erano. Perché c’è sempre il rischio di preferire la diffusione e il sostegno di quanto è già certificato altrove come importante e di successo. La creazione, la produzione di quel che ha valore è ciò che rende “centro”, la periferia compra quel che si crea nei centri.

Ma non si rischia di sprofondare in una poltrona dorata?

Sì, esiste il problema. Perché ci si potrebbe accontentare di quel che in questa ricca provincia è garantito, perché portare all’esterno quel che si è realizzato qui è complicato e perché portare l’attenzione su quello che prima non esisteva è più difficile che offrire quel che gli altri si aspettano.

I “Canti dal silenzio” li hai suonati prima in una chiesa di Merano, poi a Casa Mantegna a Mantova, quanto è importante per te il luogo in cui suoni?

Ti ringrazio per la domanda, io non ci penso a tavolino, ma ci sono luoghi in cui sento il desiderio di suonare, luoghi con cui mi piace confrontarmi, luoghi in cui sento alzarsi l’energia di quello che faccio. Esiste una corrispondenza misteriosa, potrei dire arcana, ma che mi è molto ben presente. Mi è capitato spesso di visitare un luogo e di sentir nascere il desiderio di suonarci dentro.

Forse, anche questo ha a che fare con il silenzio. Vengono in mente le parole di Renzo Piano, genovese come Marcello Fera: “Talvolta l’architettura cerca il silenzio e il vuoto in cui la nostra coscienza si possa ritrovare”. Talvolta anche la musica.

Massimiliano Boschi    

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