La vita del carcere e l'"ariaferma" del museo: “Prison Museum”, il sorprendente libro di Nicolò Degiorgis
“Prison Museum” di Nicolò Degiorgis è un libro fotografico intelligente e sorprendente che mette in dialogo due istituzioni fisicamente molto vicine, distano un centinaio di metri, il carcere di Bolzano e Museion, il museo d’arte contemporanea.
Il primo è stato inaugurato nel 1870 per rinchiudere “le persone private della libertà personale per ordine dell’autorità competente”, il secondo nel 2008 per ospitare opere d’arte contemporanea, ma nelle 420 pagine di questo libro d’artista non troverete immagini di detenuti e nemmeno di opere d’arte.
L’intero volume è completamente privo di una qualsiasi presenza umana e a due pagine con foto seguono due pagine bianche, tanto che se lo si scorre rapidamente dall’inizio alla fine, si rischia di credere che il volume non contenga nulla e solo tornando indietro, o sfogliandolo una pagina alla volta, si possono osservare le fotografie, a sinistra quelle di Museion, a fronte, quelle del carcere.
La forza dell’ordine
E’ in questo contesto che Degiorgis ha cercato meticolosamente l’accoppiamento delle immagini, affiancando il corridoio del museo al corridoio del carcere, le finestre di uno con quelle dell’altro, abbinando armadietti con armadietti e telefoni con telefoni, mostrando inattese similitudini.
Altre, invece, sottolineano le prevedibili differenze, soprattutto esteriori, tra i due edifici che si affacciano a pochi metri l’uno dall’altro in via Dante, in pieno centro a Bolzano.
Ma le differenze più notevoli, ed è questa la vera sorpresa, sono tutte “a favore” del carcere nonostante sia una struttura fatiscente, totalmente inaccettabile, non solo per una città come Bolzano.
Perché, nonostante tutto, il carcere appare colorato e vissuto, mostra i segni del tempo ed è inevitabilmente “marchiato” dalla sua funzione. Museion, invece, appare asettico, vuoto, disabitato, tanto da far sorgere il dubbio che l’autore abbia scelto il bianco e nero per rappresentarlo fotograficamente, ma non è così. La compostezza e la coerenza dell’architettura, le numerose pareti bianche, il minimalismo degli arredi, le innumerevoli “sfumature di grigio” finiscono per evidenziare la “forza dell’ordine” di un museo dove nulla appare fuori posto.
Il dialogo creato da Degiorgis tra il carcere e il museo d’arte appare, quindi, come quello tra un variopinto “clochard” logorroico e un giovanotto in grigio, elegante finché si vuole, ma impettito, conformista, perfetto nel suo silenzio.
Il sorprendente risultato è stato ottenuto grazie a un lavoro cominciato molti anni fa: “L’idea di creare un dialogo tra i due edifici – spiega Degiorgis – mi è venuta nel 2010, mentre passavo in bicicletta in via Dante. Poi nel 2013 ho tenuto un corso di fotografia in carcere e nel 2017 sono stato invitato come curatore ospite a Museion. Così, il progetto concettuale mi ha attraversato e si è trasformato in una sorta di racconto autobiografico”.
L’impostazione, che in questo volume raggiunge risultati notevoli, è quella classica di Degiorgis che da anni lavora a livello concettuale sul confronto positivo/negativo. “Ovviamente ho colto tutte le diversità tra le due strutture, ma anche le somiglianze e le suggestioni. Una reclude degli individui e li priva della vita sociale, l’altra chiude al suo interno le opere d’arte per preservarle. E già il fatto che grazie al libro si possano paragonare detenuti e opere d’arte, mi pare molto interessante”.
Rispetto alle “sfumature di grigio” di Museion, Degiorgis non intende aggiungere molto: “C’è una tendenza generale dei luoghi culturali verso il white cube, verso un minimalismo portato all’estremo per lasciare spazio libero alla creatività e all’arte, ma io mi sono limitato a fotografare quel che osservavo”.
Il volume è interamente fotografico e ospita solo due brevi testi, ognuno di una pagina. Sono scritti dall’ex direttrice di Museion, Letizia Ragaglia e dalla direttrice (ad interim) della casa circondariale di Bolzano, Annarita Nuzzaci.
L’attuale direttrice del Kunstmuseum Liechtenstein, presenta “Prison Museum” rifacendosi, giustamente, a Michel Foucault e al concetto di Eterotopia, un termine che indica “quei luoghi reali, riscontrabili in ogni cultura di ogni tempo, strutturati come spazi definiti, ma «assolutamente differenti» da tutti gli altri spazi sociali, dove questi ultimi vengono «al contempo rappresentati, contestati, rovesciati»” (Treccani).
E’ in questo contesto, che Letizia Ragaglia conclude il suo intervento sottolineando come Degiorgis utilizzi la fotografia “come mezzo concettuale convincente allo scopo di innescare nell’osservatore una riflessione sullo spazio come somma delle relazioni in esso ospitate”, ma tutto questo non deve distrarre dalla riflessione più importante, quella che probabilmente ha spinto Degiorgis a occuparsi della casa circondariale di Bolzano.
Come sottolineato nel documento dell’Osservatorio Carcere Ucpi: “Quello di Bolzano è un istituto carcerario fatiscente indegno di un paese civile, che riesce ancora a funzionare (male) solo grazie alle iniziative ed alla dedizione dell’ottima direttrice e del personale che ivi lavora”. Lo scrivevano quattro anni fa e le cose non sono certamente migliorate dopo due anni di pandemia.
Massimiliano Boschi
Prison Museum – Nicolò Degiorgis – (440 pagine – Rorhof 2021)