Quando fare un figlio costa il posto di lavoro: ecco i dati altoatesini
Avere un figlio? Costa il posto del lavoro per quattro mamme su dieci, almeno per quanto riguarda il settore privato. Gli effetti della nascita sull’occupazione dei genitori, in maniera particolare delle madri. Questo il tema al centro del nuovo numero del bollettino Mercato del lavoro news (qui la versione integrale), pubblicazione periodica a cura dell’Osservatorio provinciale del mercato del lavoro. Dall’analisi emerge che gli effetti diretti sull’occupazione sono minimi per le donne che prima della nascita del primo figlio avevano un rapporto di lavoro a tempo indeterminato nel settore pubblico: quasi tutte hanno mantenuto il proprio rapporto di lavoro a tempo indeterminato, principalmente grazie alla possibilità di usufruire di un’aspettativa della durata massima di tre anni senza perdere il posto di lavoro. Diversa è la situazione per le madri con un rapporto di lavoro a tempo indeterminato presso un’azienda privata. Circa il 40% di esse, infatti, lascia la propria occupazione a tempo indeterminato entro il primo anno di vita del bambino.
Nella maggior parte dei casi le madri si dimettono perché non possono contare sull’aiuto di un familiare, perché non è stato loro concesso di lavorare part-time o con orari di lavoro flessibili, ma anche perché desiderano dedicarsi alla cura dei figli. Al termine del periodo di erogazione del sussidio di disoccupazione, per lo più di un anno, le madri si reinseriscono gradualmente nel mercato del lavoro. Tuttavia, ottengono prevalentemente contratti a tempo determinato e lavorano più frequentemente a tempo parziale rispetto alle madri che operano nel settore pubblico. Tra le madri occupate a tempo determinato nel settore privato, solo il 40-50% conserva un impiego dopo la nascita del figlio, mentre circa un quarto è disoccupato. Se l’occupazione prevalente prima della nascita era nel settore alberghiero e della ristorazione, il numero di madri ancora occupate immediatamente dopo la nascita scende addirittura a un quarto, mentre circa la metà è iscritta come disoccupata.