Quando in Alto Adige gli «emigranti clandestini» erano i manovali del Meridione
«Foglio di via per i meridionali che sono giunti in Alto Adige», «Emigranti clandestini in patria». Basterebbe specificare che si tratta di titolo e occhiello de “La Stampa” del 9 maggio 1951 e si potrebbe chiudere qua. Gli «emigranti» sono sempre stati trattati da “clandestini” anche quando restavano all’interno dei confini nazionali. Ma non si possono trarre conclusioni fermandosi ai titoli che sono per natura delle semplificazioni. Come sempre, proseguendo nella lettura le questioni si complicano.
Era la primavera di 72 anni fa e come raccontava Enzo Forcella, ai tempi inviato speciale de La Stampa, era l’epoca in cui i manovali disoccupati calabresi e pugliesi partivano per il Trentino Alto Adige alla ricerca di un lavoro. «A Sant’Eufemia, a Corato, ad Alberobello – scriveva Forcella – ne hanno parlato tutto l’inverno. Chi v’è già stato racconta del latte a poche lire, delle verdi distese, della neve nei canaloni, delle buone paghe. Si discutono le possibilità di assorbimento dei vari cantieri, si conoscono a nome gli ingegneri e gli assistenti, sino al momento della partenza per il viaggio, intrapreso con tutto il gusto e il timore della Grande Avventura». Purtroppo, però, quella Grande Avventura era destinata a interrompersi molto presto perché, causa il perdurare dell’inverno, i manovali meridionali che avevano raggiunto il Trentino Alto Adige venivano invitati a ripresentarsi più tardi, chi dopo due settimane, chi dopo un mese. Come precisava Forcella: «Sono rinvii eterni per i meridionali arrivati sin quassù con poche ore di autonomia». In sintesi, non avevano soldi per permettersi di restare senza lavorare e non potevano permettersi il viaggio di ritorno e un nuovo viaggio di andata.
Ma è solo dopo questa lunga premessa, che Forcella arriva alla vera e propria notizia evocata dal titolo: «La polizia li sta rastrellando tutti per rimandarli ai loro paesi di origine visto che i cantieri idroelettrici non hanno ancora iniziato i lavori. In un colpo solo, anzi, ne aveva fermati una quarantina e li tratteneva in camera di sicurezza in attesa di sbrigare quelle pratiche burocratiche che sono necessarie in simili casi». Secondo quanto riportato da La Stampa, i quotidiani altoatesini di lingua italiana, avevano accettato il fermo come un provvedimento doloroso ma necessario mentre l’organo della popolazione di lingua tedesca, (Forcella non lo cita Nda) aveva salutato il provvedimento con ingenerosa soddisfazione prendendone lo spunto per esortare a finirla con la «illusione diffusa largamente tra i disoccupati delle vecchie province e soprattutto tra quelli dell’Italia meridionale secondo la quale l’Alto Adige è una specie di paradiso per gli immigrati del Meridione, un angolino della terra dove si può trovare sempre una sistemazione». E dopo aver continuato a lungo con accenti consimili concludeva chiedendo quanti di questi «uccelli migratori» non sono stati rinviati alle loro località di provenienza ma sono rimasti in provincia. Nessuno potrebbe rispondere con esattezza alla domanda poiché questi cacciatori di frodo del lavoro fanno di tutto, logicamente, per non farsi cogliere dalla polizia. Così come si comportano, per l’appunto, gli emigranti clandestini”.
A essere sinceri, se Forcella intendeva indicare il «Dolomiten» come «organo della popolazione di lingua tedesca» va detto che non si è trovata traccia della citazione virgolettata, almeno nei dieci giorni precedenti all’articolo de “La Stampa”. Quest’ultima non è più tornata sull’argomento e ho quindi cercato la notizia su altri quotidiani nazionali e ho trovato un altro unico riferimento sul “Corriere della Sera” del 5 maggio 1951, quattro giorni prima dell’articolo di Forcella su “La Stampa”. Un editoriale in prima pagina intitolato semplicemente: “Alto Adige” e firmato da Augusto Guerriero.
Anche in questo caso, la polemica nasce da articoli scritti in precedenza dalla stampa in lingua tedesca, ma questa volta la testata, anzi le testate, sono indicate esplicitamente e sono entrambe germaniche: il quotidiano «Schwäbische Landeszeitung» di Augsburg e il settimanale conservatore «Rheinischer Merkur». Come spiegava Guerriero: «Il tono e i temi di questi articoli sono stati quasi sempre gli stessi: l’autonomia minacciata, l’insoddisfazione o addirittura l’amara delusione della minoranza tedesca, le scuole, l’uso delle lingue, le opzioni etc».
A soli sei anni dalla fine del regime nazista, Guerriero disponeva di facili argomenti per invitare la stampa germanica a «smetterla di esercitare un patronato morale e politico su una delle parti in causa» e li ha utilizzati senza remore: «Ci fu un uomo il quale credette e predicò che ovunque vivesse una minoranza di lingua tedesca, fosse pure minima, ivi si dovesse estendere una sorta di sovranità ideale del Terzo Reich in attesa di tramutarsi in sovranità effettiva. Quest’uomo finì sotto le rovine di Berlino, le sue ceneri furono disperse dal vento, le sue idee e i suoi sogni mostruosi furono sepolti sotto l’esecrazione universale, e il risultato della sua insolente predicazione che ovunque fosse un tedesco ivi fosse il Terzo Reich è stato che i Paesi nei quali erano da secoli minoranze tedesche si sono disfatti dei tedeschi per non avere il Terzo Reich in casa».
Nel suo editoriale, Guerriero non dimentica le persecuzioni del regime fascista nei confronti della minoranza tedesca, ma anche in questo caso era solo una lunga premessa per arrivare al punto: il rientro degli optanti: «Il “Rheinischer Merkur” obietta: ‘Solo 3 mila atesini (optanti nda) sono rimpatriati per via ufficiale e 15 mila per via illegale: gli altri 40 mila si trovano di fronte a una porta chiusa’. Ma – prosegue Guerriero – lo stesso giornale tedesco ricorda che “condizione perché il rioptante possa rimpatriare è che egli dimostri di avere un’occupazione assicurata e un’abitazione (…) Insomma gli atesini di lingua tedesca se ne andarono, altri presero i loro posti e oggi non c’è lavoro per loro. E’ un fatto ordinario di mercato di lavoro, non una questione politica internazionale». E qui, probabilmente, Guerriero si sbaglia e la conclusione del suo editoriale lo conferma: «Comunque, ripetiamo, la Germania nulla ha a che vedere con gli accordi italo-austriaci e con la loro attuazione».
A Guerriero interessava, quindi, che la stampa e la politica tedesca non si intromettessero nelle questioni altoatesine. Non era un editoriale sul mercato del lavoro, non si interessava delle condizioni degli emigranti in Alto Adige. Così come l’articolo de “La Stampa” era stato scritto per polemizzare con i quotidiani di lingua tedesca in Alto Adige. Entrambi finivano, nei fatti, per riproporre questioni identitarie e nazionalistiche: chi c’era prima, chi era arrivato prima, le colpe dell’uno e dell’altro.
Chi emigrava, chi cercava un lavoro e un posto dove dormire, invece, forniva unicamente un ottimo pretesto per polemiche politiche. Succedeva 70 anni fa.
Massimiliano Boschi
La prima versione di questo articolo è stata pubblicata il 16 ottobre 2021