Referendum Benko, vincerà solo il non voto (ed ecco cosa pensa)

Benko sì, Benko no. Benko non voto, grazie. Il referendum Benko pur registrando un indubbio successo di pubblico (parlo di pubblico perché tutto assomiglia a un talk show più che a un processo democratico) ha e avrà un unico vincitore: il non voto. Se anche il sì o il no avessero una percentuale schiacciante sull’altro, comunque non potrebbe arrogarsi il diritto di rappresentare il pensiero reale della città. Alla fine avrà votato verosimilmente un terzo degli aventi diritto (ad oggi sono 27mila i bolzanini recatisi alle urne): risultato straordinario per una consultazione – pur spalmata inspiegabilmente in una settimana, in 28 seggi per 12 ore di apertura giornaliera – ma lontano dal “plebiscito”.  Provochiamo? Ovvio. La partecipazione democratica è un valore, vince chi va a votare. Ma a votare cosa? Il punto vero che si proporrà martedì è come interpretare veramente quei sì e quei no espressi. Lo diciamo oggi, a urne ancora aperte, ma ad affluenza acquisita, perché con lo spoglio assisteremo al brutto spettacolo di chi canta vittoria in una battaglia dove stanno perdendo tutti. Uno spettacolo che ci piacerebbe molto disinnescare. Seguiteci in questa provocazione.

Referendum Benko: le “buone e ridicole” ragioni di entrambi

Qualsiasi bolzanino assennato, di fronte alla consultazione popolare indetta dal commissario comunale Michele Penta (qui il testo), si trova a dover fare i conti con la sua razionalità. Ci sono buone motivazioni tanto per il sì che per il no. Il paradosso è che praticamente nessuna ha a che fare realmente con il quesito ma con dimensioni simboliche che vanno oltre l’oggetto stesso della consultazione. Quelle per il sì: dare una scossa a Bolzano; portare più concorrenza; far entrare in città elementi esterni di contaminazione; “riqualificare” un’area “degradata”; più sicurezza; più lavoro e ricchezza. Quelle per il no: una grande speculazione privata che privatizza parte del centro; evitare un danno al piccolo commercio e quindi perdita di posti di lavoro; la riduzione del parco della stazione; la paura per alcuni elementi strutturali come eccessiva cubatura, il tunnel di via Alto Adige, lo spostamento della stazione delle corriere. Ma anche la lotta al precariato tout-court (che in questo caso passerebbe attraverso il no a un nuovo centro commerciale) e a un’idea mercificata di cibo attraverso il no ad Eataly che è compresa nel progetto. E’ evidente che a parte i pochi elementi strutturali – valutabili seriamente solo da tecnici – si tratta di battaglie simboliche. Anche nobili. Ma che riescono a diventare estremamente povere quando sono cavalcate da politici che hanno avuto o vogliono avere ruoli di governo: cosa vuol dire invitare a votare sì invocando “più sicurezza”? Che forse il Comune di Bolzano non è in grado di garantire più sicurezza senza un centro commerciale? Come si fa ad associare un centro commerciale a un’idea di futuro? L’intreccio tra campagna elettorale per le comunali e una politica sull’orlo del fallimento ha prodotto uno spettacolo indegno e ridicolo.

Ma facciamo un gioco. Proviamo a metterci nei panni di un potenziale elettore per il sì  e un potenziale elettore per il no. Ecco perché non saremmo comunque andati a votare.

Referendum Benko: l’oscena campagna per il sì

L’unica cosa che René Benko si è dimenticato di portare a Bolzano è stata una parata di nani e ballerine. Per il resto ha comprato tutto il comprabile. E con nostra sorpresa è stato veramente tanto. Abbiamo avuto Niki Lauda a bere per i bar dei quartieri; una festa in discoteca;  volantini e “volontari” che ci inseguivano durante la passeggiata per invitarci ad andare a votare; politici che hanno prestato la loro faccia e residua poca credibilità a un’operazione privata attraverso pubblicità piazzata sui giornali e in ogni anfratto minimamente acquistabile della città; dichiarazioni di principio e di libertà piegate a qualche negozio in più. Anche se volessimo Farinetti in città e un bel centro commerciale sotto il Virgolo e a due passi dal Duomo un sussulto di dignità ci avrebbe consigliato di stare a casa.

Referendum Benko: il no non ferma il progetto (ma nemmeno il capitalismo)

Ma anche il no è difficile da sposare. Per tante ragioni. Innanzitutto la prima clamorosa trappola della consultazione: se vince il sì il commissario firma il progetto; se vince il no lo rimanda al consiglio comunale. Dove è già passato (e bocciato solo per le assurdità del regolamento bolzanino dove l’astensione vale voto contrario i sì erano 22, 19 i no e 3 gli astenuti) e dove verrà al massimo modificato ma non fermato. E per chi dovremmo votare no? Per i proprietari dei negozi dei portici? Per un progetto che se vinceva la cordata “Emozioni” promossa da imprenditori locali era buono (e non avrebbe mai portato a un referendum) e se vinceva Benko era cattiva? Per la paura di un tunnel stradale come se stessimo portando a Bolzano una centrale nucleare? Perché le persone arriveranno in auto invece che su unicorni? Perché le commesse saranno precarie invece di non avere un lavoro? O perché non ci piace che un privato compri cose e ci faccia affari? Attorno al no si è coagulato un massimalismo fuori scala che meriterebbe migliori strumenti e palcoscenici. E che ha pure fatto i conti male puntando su una battaglia quasi impossibile da vincere. La verità è che si tratta di un referendum solo ad uso e consumo delle élites: culturali e imprenditoriali. Serve ad imporre (perché vincerà il sì) l’idea che Benko possa operare a Bolzano (ed è folle che serva un’azione di questo tipo per affermare un diritto sacrosanto). Sul come si vedrà poi e si troverà un accordo tra gentiluomini, statene certi. Con tanta pace della ggente sulla quale si è giocata questa campagna elettorale.

 

Referendum Benko: il punto della questione

Abbiamo provato a districarci tra i documenti online del Piano, le riflessioni degli esponenti del no con Scolari e quelle del sì con  Hager. Abbiamo dubbi sulla nuova viabilità, su una cubatura che sembra eccessiva, sullo spostamento della stazione delle corriere. Avremmo voluto fare qualche puntata di approfondimento, ma l’unica cosa seria sarebbe stata quella di dare, appunto, la parola ai protagonisti. Perché, date un occhio ai documenti: non ci si capisce nulla. Su cosa avranno votato alla fine i bolzanini?

La verità è che questo piano non può essere oggetto di referendum e dovremmo essere tremendamente arrabbiati con una politica che è arrivata in questo punto. Chiudete Scolari, Hager e tutto il prossimo consiglio comunale in una stanza per sette giorni e trovate una mediazione tecnica che salvi i principi che tutelano l’iniziativa privata e l’interesse pubblico. Ai politici che sostengono il sì: se avete già “venduto” tutto quello che potevate vendere a Benko (cubatura, faccia e altro) trovare il modo di riprendervi qualcosa. Senza venirci a parlare di futuro, sicurezza, progresso e magnifiche sorti progressive. A quelli del no: se non ci piacciono le operazioni private in città si lotta per cambiare le regole urbanistiche; se le regole sono state rispettate Benko ha diritto di fare il suo business. Punto. Se poi vuol metterci dentro Eataly, un coffee shop o tutti i kebabbari della stazione sono affari suoi e del mercato.

Non siamo contro i referendum (anche se la loro proliferazione in Alto Adige non è necessariamente un buon segno). Ma stiamo parlando di un centro commerciale, non dei destini del mondo. E nemmeno di quelli di Bolzano. Che possono uscire da questa bolla di sospensione solo attraverso una politica che ricominci a far il suo lavoro: decidere assumendosi responsabilità chiare e alla luce del sole. Il non voto, ricordatevelo, vuol dire anche questo.

(Luca Barbieri)

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