«Resto qui», il premio Campiello Balzano sceglie l'Alto Adige
Un campanile semisommerso che emerge dall’acqua è quanto rimane di Curon Venosta, paese altoatesino che nel 1950 fu sommerso da un lago artificiale creatosi dopo la costruzione di una centrale idroelettrica. Questa è l’immagine scelta per la copertina di Resto qui, l’ultimo romanzo di Marco Balzano, in libreria con Einaudi.
«Se per te questo posto ha un significato, se le strade e le montagne ti appartengono, non devi aver paura di restare». L’essenza del libro sta tutta in queste parole. Resto qui è la storia di un borgo che Balzano ha conosciuto un giorno d’estate del 2014, mentre era in vacanza, e di cui ha deciso di raccontare la storia drammatica attraverso le vicende di Trina, vittima della violenza fascista che le impedisce di svolgere il suo mestiere di maestra. Quando il regime vorrebbe cancellare perfino l’identità di un popolo, non c’è altra strada che usare le parole per raccontare. Ed è quello che la protagonista del romanzo non esita a fare, rivolgendosi alla figlia scomparsa nel nulla. Conosciamo Trina da giovane e la lasciamo anziana, accompagnandola lungo tutto il corso della vita. Siamo accanto a lei nel grande dolore della figlia perduta, la seguiamo quando si ritira sulle montagne insieme al marito disertore, torniamo quando la guerra finisce ma non per questo arriva la pace. Anzi, la costruzione della diga sembra voler affogare, insieme al paese, anche il dolore delle persone che lo abitano.
Invito a bozze con Marco Balzano
«Non so trovare nulla che dimostri più chiaramente la violenza della storia» dichiara l’autore al quotidiano Alto Adige del 20 gennaio. Marco Balzano, nato a Milano nel 1978, insegna alla scuola media a Bollate. Il suo romanzo L’ultimo arrivato ha vinto il Premio Campiello nel 2015. Con il suo nuovo lavoro lascia Sellerio per la casa editrice torinese.
Come riporta il blog della libreria torinese “Il ponte sulla Dora”, che ha letto in anteprima il romanzo in occasione del ciclo di incontri Invito a bozze, nella nota finale l’autore spiega il motivo che lo ha portato a scrivere questo libro: «Se la storia di quella terra e della diga non mi fossero parse capaci di ospitare una storia più intima e personale, attraverso cui filtrare la storia con la s maiuscola, se non mi fossero immediatamente sembrate di valore generale per parlare di incuria, di confini, di violenza del potere, dell’importanza e dell’impotenza della parola, non avrei, nonostante il fascino che questa realtà esercita su di me, trovato interesse sufficiente per studiare quelle vicende e scrivere un romanzo».