Il piacere dello spaesamento. La famiglia, le scarpe e i sassolini di Sara Hussein
Sara Hussein lavora per l’ufficio politiche giovanili della Provincia di Bolzano, ma non è per questo motivo che ho deciso di concludere con lei il ciclo di interviste. Meglio, non è stato il motivo principale. Perché, ogni volta che è capitato di confrontarmi con lei sulle finalità del progetto, ha mostrato quello sguardo che ho cercato e trovato in ogni intervista pubblicata in questo speciale. Uno sguardo aperto, originale ma, soprattutto, interessato al mondo che la circonda.
Per prima cosa, però, ci siamo tolti il sassolino dalla scarpa, e le ho chiesto un parere rispetto al progetto e alle interviste realizzate. “Credo che sia un progetto interessante – premette – soprattutto perchè ha provato a comprendere il punto di vista di chi solitamente non viene ascoltato. E’ uscito dagli abituali schemi locali e credo che questo sia la strada giusta per riuscire a scardinare pensieri preconcetti”. Questo non le ha impedito di sottolinearne anche le criticità: “Penso che ormai non dovrebbe più impressionare nessuno che un ragazzo con background migratorio parli sia italiano che tedesco. Nel 2023 ci stupisce ancora il meticciato? Ecco, credo che, seppure involontariamente, il progetto finisca per rispecchiare il ritardo nell’elaborazione del fenomeno migratorio da parte degli italiani”.
Tolto il sassolino, siamo passati alle scarpe, quelle di famiglia, “scomode”, ma decisamente affascinanti. “Sono figlia di un palestinese e di una trentina. I miei nonni paterni hanno vissuto ad Haifa fino alla nascita dello Stato di Israele poi se ne sono dovuti andare. Mio padre è nato in un campo profughi di Amman, in Giordania. Grazie agli aiuti dell’Unrwa (L’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi) ha potuto studiare ed è persino riuscito ad ottenere la Green Card per emigrare negli Stati Uniti, ma erano gli anni della Guerra in Vietnam e ha preferito non partire. La situazione nei campi profughi diventava, però, sempre più pericolosa, così, dopo aver visto La dolce vita di Federico Fellini, ha deciso di emigrare in Italia”. Prima all’Università per stranieri di Perugia, successivamente a Roma, dove ha incontrato la ragazza che sarebbe diventata sua moglie. Lei si è, poi, laureata in Lettere e lui in Medicina.
Da questo punto di vista, Sara non ha seguito le orme famigliari, ha ottenuto la laurea magistrale in filosofia all’Università di Padova (110 e lode), ma ha continuato a “camminare sul mondo” come da tradizione famigliare. “Per motivi di studio ho vissuto a Berlino, Lubecca e Tübingen, poi ho lavorato in Spagna, Irlanda e Libano. Mi sono fermata in Trentino solo nel 2016 e ho cominciato a lavorare in Alto Adige, prima all’Arci poi alle politiche giovanili”.
L’eredità familiare non l’ha spinta solo ad ampliare l’orizzonte. “Le origini di mio padre mi hanno influenzata, non posso negarlo. Sono cresciuta anche arrabbiata, sin da ragazzina ho avuto la possibilità di visitare i campi profughi palestinesi in Giordania, Libano e Siria, ma, soprattutto, credo che mi abbia trasmesso una certa inquietudine esistenziale. Ancora adesso, non mi sento radicata in un posto, mi radico nella relazione con le persone, negli affetti, non nei luoghi. Mi piace uscire dal quotidiano e dal conosciuto e subisco il fascino del disorientamento. E’ una forma mentis che mi porta a non riconoscermi nel pensiero coloniale eurocentrico e a ripensare costantemente in modo globale le mie cornici di riferimento. Non posso dimenticare, però, che l’esilio non è una condizione teorica ma incredibilmente concreta, che porta con sé consapevolezze, ma anche frustrazioni”.
Poi, a dimostrazione della bontà della scelta dell’interlocutrice, Sara Hussein fa un esplicito riferimento a uno dei temi centrali di questo speciale: “Rispetto alle eredità familiari, non posso dimenticare che l’arma dell’istruzione è un valore che condividiamo da sempre. L’istruzione vista come strumento di emancipazione sociale e come strumento che rende possibile il cambiamento”.
Prima di salutarci, è toccata anche a lei la domanda che ha messo in crisi tutte le persone intervistate: “Come ti immagini tra dieci anni?”. Per la prima volta abbassa lo sguardo, ci pensa un po’ e confessa di sentirsi in difficoltà e di non avere una idea precisa. Il conforto le arriva da tutto quello che ha già fatto: “Sì, dai, prevedo ci saranno altri cambiamenti perché ce ne sono sempre stati. Spero di riuscire ancora a entusiasmarmi e, pensandoci meglio, vedo un filo rosso che lega tutto quello che ho fatto finora. Ecco, credo che i pezzettini del puzzle continueranno a comporsi in qualche modo”.
Massimiliano Boschi